Capitolo 8

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Y's pov

In quel momento mi sentivo stranamente leggera, come se per un attimo mi avessero svuotata di ogni paura e preoccupazione per darmi un attimo di respiro. Le mie gambe quasi non le sentivo, e lasciavo che si muovessero come se non avessi più il controllo del mio corpo, come se ormai fossi diventata una macchina che segue un percorso già scritto, incapacitata di sfuggire ad un finale che mi attendeva con ansia.
Il mio sguardo era chino, fisso sui miei piedi o sul suolo, e per un attimo mi sentii di nuovo bambina, quando per sfuggire alle occhiatacce e agli sguardi taglienti, abbassavo il mio sguardo e lo inchiodavo al suolo, come se in quel modo potessi proteggermi. Il mio ragionamento era "non può ferirmi ciò che non vedo", e quindi con andamento sbilenco e impaurito, camminavo a spalle strette, ignoravo i rumori, silenziavo le voci, e andavo verso la mia meta perché, ormai, così abituata a non guardare in faccia la realtà, avevo finito per memorizzare ogni strada per evitare di alzare lo sguardo.
Presto però, capii che erano proprio le cose che non potevo prevedere né vedere a travolgermi con più forza, a schiacciarmi, a privarmi dei bei pensieri, dei sorrisi sinceri; come un parassita. E come potevo lottare contro qualcosa che non vedevo e che non aveva una forma fisica? Come potevo silenziare tutto quel chiasso che avevo nella mia testa? E con quale forza dovevo spingere il mio cuore a battere sempre più forte contro il mio petto?
Alla fine però, le cose non erano cambiate poi così tanto. Crescendo ho sempre avuto la medesima difficoltà, ovvero capire se il mio cuore ancora batteva con ritmi costanti, se nelle mie vene scorreva ancora quel sangue essenziale, e se il mio respiro fosse ancora in grado di catturare aria pura e non frammenti di ciò che mi uccideva.

Ormai non sapevo più se fossi viva o meno, se vivevo in un incubo o se stavo vivendo l'incubo, ma poco importava. Il dolore c'era, non cessava, ma alcune volte diventava una sensazione lontana, un suono fioco, come se, ogni tanto, io lasciassi il mio corpo e cercassi un luogo pacifico, tranquillo, dove ricominciare a respirare. Ma poi ritornavo alla realtà, con il mio sguardo spento, con il dolore lancinante che tornava a rubarmi il fiato senza che io potessi rincorrerlo per recuperarlo, perché ormai non ero altro che un semplice ramo caduto in acqua, che si lasciava trasportare, ormai arreso al fatto di non essere più parte di qualcosa, morente, senza più linfa.

Mentre camminavo con sguardo assente e un andamento meccanico, sentii come se i miei occhi stessero diventando sempre più pesanti, come se non avessi più le forze di fare ancora qualche passo. Ma io continuavo a camminare nonostante il mio corpo mi pregasse di smetterla, la testa iniziò a pulsarmi e le mie gambe iniziarono a perdere colpi e per poco non mi ritrovai a cascare per terra.
Poco dopo iniziai a vedere un po' sbiadito, i suoni li sentii un po' ovattati e quasi mi sembrava come se qualcuno mi stesse chiamando. Poi di colpo puntai i piedi per terra quando sentii chiamare il mio nome, e presto la mia coinquilina mi prese in pieno dato che stava camminando proprio alle mie spalle.

«Ma sei scema o cosa? Perché ti sei fermata così di colpo?» mi chiese facendo spuntare la sua testa dalle mie spalle, e solo in quel momento notai che avesse le mani poggiate sulla mia schiena.

«Mi hai chiamata per nome?» le chiesi girando leggermente il capo verso di lei.

«Cosa? No. Non sono un'idiota.» mi rispose guardandomi confusa. In effetti lei non mi chiamava mai per nome, perché avrebbe dovuto farlo proprio in quel momento?
Così la guardai ancora per qualche secondo, e poi tornai a camminare come se non le avessi chiesto nulla di particolare.

«Si può sapere cos'hai? Da quando hai visto quella lì sei più strana del solito. E se mai dovessi rivedere ciò che ti manca, come reagirai? Tornerai a vivere un minimo?» mi chiese spuntando al mio fianco.

«Oppure morirò un'altra volta, chi può dirlo.» le dissi vedendo in lontananza un ponte, mi sembrava di conoscerlo.

«Ne dubito. Sembra quasi che tu viva solo per quello.» mi disse, e per un attimo cercai di crederci, quasi come se volessi davvero sperare di avere qualcosa per andare avanti, per cui valesse la pena continuare a lottare e sopportare il dolore che mi portavo dietro.

«May We Meet Again» - {Addicted To You - Sequel}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora