Capitolo 22

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Per qualche secondo rimasi ferma a fissare un punto a caso mentre, con la mano destra, continuavo a tenere il telefono al mio orecchio anche dopo che la chiamata era terminata. Non comprendevo ciò che mi stava accadendo o perché tutto iniziasse a provocarmi delle reazioni non indifferenti, eppure sapevo bene che ogni parte di me stesse cercando di aggrappare la mia vita passata, anche se il mio cervello aveva deciso di proteggermi da essa.

«Cosa ti ha detto? Ti ha imposto delle condizioni? Minacciata?» chiese agitata. Sentendo la sua voce poco calma mi ripresi, scossi la testa e misi il telefono in tasca.

«Ha accettato.» dissi solamente guardando il suo sguardo preoccupato.

«Senza dire nulla? Ha semplicemente accettato?» chiese confusa.

«Mi ha semplicemente chiesto il perché della chiamata e, dopo averle detto il necessario, ha voluto sapere se avessi già preparato il luogo.» le spiegai continuando ad esaminare la sua espressione sconvolta.

«Quindi mi stai dicendo che questa qui si è buttata in una situazione su cui non ha il controllo? O sta tramando qualcosa o semplicemente è fuori di testa.» disse rendendo palese il fatto che non si fidasse.

«Qual è il posto? Dove vi incontrerete? Porterai qualcuno con te?» mi chiese fin troppo agitata.

«Andrò da sola. Ci incontreremo in uno di quei palazzi al centro, ho già uno degli uffici prenotati.» spiegai iniziando a scrivere l'indirizzo sul telefono intenzionata ad inviarlo a quella ragazza.

«Aspetta... cosa? Come diavolo sei riuscita a prenotare in quel posto? Con quale nome, poi? Lì ci vanno diplomatici e chissà quali altri pezzi grossi, non darebbero mai a una persona qualsiasi la possibilità di metterci mezzo piede, figuriamoci il capo di un gruppo.» si passò una mano in faccia ed iniziò a camminare per la stanza.

«Ho i miei contatti. Secondo te a cosa servono tutte le mie ricerche e le ore che passo a raggruppare informazioni e cose simili?» chiesi sospirando per poi inviare l'indirizzo.

«Tu sei fuori dal comune, ma proprio completamente.» disse poggiandosi ai mobili alle sue spalle per poi sospirare.

«In un mondo fuori di testa non puoi essere altro. Comunque ora devo andare.» dissi assicurandomi di avere addosso la maschera.

«Cerca di non uscire di qui, almeno per un po'. E cerca di stare lontana da Rose, lei... ha davvero qualcosa che non va.» continuai guardandola per un po'. Lei mi guardò come se volesse dirmi qualcosa, poi mi sorrise leggermente e annuì.

«Tu cerca di tornare sana e salva. Se noti qualcosa di sospetto vai via, non darle la possibilità di sopraffarti.» mi disse. Io annuii e, senza dire altro, uscii dal nascondiglio.
Mi feci accompagnare, con l'auto, in un punto poco lontano dal luogo in cui avrei incontrato quella ragazza, poi congedai il guidatore, feci il restante tratto di strada a piedi e, una volta arrivata a destinazione, usai i miei contatti per entrare in quell'edificio senza troppi problemi.
Quel posto era immenso, un palazzo di circa 100 piani completamente oscurati affacciati alla città, con occhi aquilino, quasi come se fosse fatto per tenere d'occhio ogni singola persona.

Una volta dentro l'ufficio, mi guardai un po' intorno e mi accertai che fosse tutto sotto controllo, poi sospirai, tolsi la maschera, la posai sulla scrivania e mi misi vicino al vetro che mi permetteva di osservare gli altri edifici, le strade affollate, le persone indaffarate e quelle meno che, causa dell'altezza, mi apparivano davanti agli occhi come puntini in un mondo vasto e decisamente più grande di tutti loro, di me.
Tutto mi sembrava quasi poetico a quell'altezza, come se mi fosse bastato allontanarmi da tutti e avere una visione più vasta per comprendere cose a cui non avevo mai pensato particolarmente. Ai piedi di quel palazzo osservavo ogni cosa con occhio critico, quasi certa del fatto che se avessi voluto avrei potuto ribaltare ogni cosa, combattere i miei nemici, le mie paure, i miei errori, vincere contro gli antagonisti che facevano parte della storia della mia vita; ma una dopo essermi ritrovata sopra ogni cosa, mi resi conto di quanto in realtà io fossi piccola, vulnerabile, di quante cose avrebbero potuto lasciarmi a terra agonizzante o, volendo, anche uccidermi. Non ero altro che un misero puntino in mezzo a dei giganti, illuso di essere grande e forte abbastanza ma che, alla prima occasione, potrebbe essere schiacciato come fosse nulla.

«May We Meet Again» - {Addicted To You - Sequel}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora