La verifica di italiano è appena terminata. Dopo due ore passate a scrivere un tema sulla questione meridionale mi sento quasi senza energie. Mi piace scrivere, soprattutto quando si parla di temi sociali, mi ci immergo anima e corpo. È come se trovassi il modo per dare sfogo a tutte le mie insicurezze personali.
Chi meglio di me ne può parlare?
Io sulla mia pelle li ho vissuti davvero. Nata in Italia da una coppia non sposata formata da un'albanese e un rom. Di discriminazioni ne ho subite tante da arrivare a pensare di essere io quella sbagliata.
E ancora oggi fatico seriamente a parlare di me e delle mie origini. Nessuno mi conosce al punto di sapere qualcosa della mia famiglia. Solo Samuel sa tutto di me. A Camilla ho accennato qualcosa, sa che vivo in una casa famiglia perché sono senza genitori.
Lei la vede come una cosa figa. Lei che i genitori li ha entrambi, vorrebbe essere come me: 'libera'. Peccato che io davvero non so cosa farmene di questa pseudo libertà. Io la mia famiglia la vorrei davvero.
Vorrei conoscere le mie origini e mi piacerebbe incontrare i miei nonni.
So solo che quelli materni vivono a Durazzo in Albania. Il paese delle aquile, come me lo descriveva la mia mamma. Lei ne era molto orgogliosa. Mi aveva anche insegnato a fare il tipico gesto che gli albanesi fanno in onore alla loro bandiera nazionale con le mani aperte e i pollici incrociati a riprodurre un'aquila con due teste. Mi raccontava sempre che la gente albanese nascondeva dietro un'apparenza dura una cuore grande. Che il suo era un popolo che aveva sofferto molto e che faticava ad adeguarsi all'evoluzione moderna della società proprio a causa dell'arretratezza culturale derivata dall'oppressione politica. Mi raccontava di un mare bellissimo, di montagne altissime e di una natura selvaggia e incontaminata. Ne parlava davvero con tanto rimpianto. Certo era stato faticoso per lei lasciarsi tutto alle spalle, soltanto perché la sua famiglia vedeva la relazione con mio padre come una specie di atto contro natura. Gli zingari erano considerati come l'ultimo gradino della società in Albania, insieme ai neri.
Per questo alla sua morte i miei nonni hanno ignorato la mia presenza. Come se fossi invisibile e non esistessi. Come se nelle mie vene non scorresse anche il loro sangue. Peccato però che quel sangue sia mischiato a quello rom. Assurdo per me riuscire a comprendere una cosa del genere.
Dei nonni rom, so ancora meno. A parte il cognome che porto 'Viiperi" che da un documento all'altro ha perso una 'i' ed è diventato 'Viperi', più italiano. Ogni volta che vedo delle giostre ci penso, io avrei potuto fare quella vita. Nelle roulotte, sempre all'aria aperta, senza mai una vera casa. Beh diciamo che in fin dei conti non mi sono discostata molto: una vera casa non la ho.
Mio papà per farmi addormentare a volte mi raccontava storie fantastiche di un popolo girovago e coraggioso che dalla lontana India era partito per viaggiare libero nel mondo. Per questo mi diceva che la sua carnagione non era chiara e pallida come quella della mamma e la mia.
Ed effettivamente il suo colorito è olivastro e i capelli neri e lucidi lo esaltano maggiormente. Peccato che faccia quasi fatica a ricordarmi il suo viso, non lo vedo da tanto.
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« Ehi ti riprendi dal mondo dei sogni?» Mi dice Camilla toccandomi leggermente la spalla. «Ti muovi o no a dirmi da quando tu e Davide Maestri vi scambiate occhiate di fuoco? Mi aggiorni o no?»
Ecco lo sapevo che sarebbe successo! Ora mi tocca raccontarle tutto per filo e per segno. Perché tanto lo so che se risponderò in maniera evasiva mi sottoporrà a un estenuante fuoco di fila di domande. Tanto vale anticiparla e raccontare ogni dettaglio.
«Mi stai dicendo quindi che ti dà fastidio che Davide ti abbia quasi imposto di accompagnarti all'uscita di scuola?» Mi chiede dopo che le ho raccontato tutto «Tu secondo me non stai bene! Uno del genere che ti dice che ti vuole accompagnare e tu ti fai tutti 'sti problemi del cavolo?»
«Odio le persone che mi impongono quello che devo fare!» Dico mentre sento il telefono vibrare e leggo nell'anteprima di WhatsApp che mi è arrivato proprio un messaggio di Davide. Non apro subito, non voglio dargli l'impressione di stare lì ad aspettare un qualsivoglia segno di attenzione da parte sua. Per vedere le due spunte blu mi sa che dovrà aspettare molto tempo! Lo leggerò con molta calma.
Mi alzo e chiedo al prof di diritto se posso andare in bagno. Ho bisogno d'aria e ho voglia di scendere alle macchinette a prendere un caffè. Dopo la verifica di italiano ho bisogno di ricaricarmi e solo una buona dose di caffeina e una bella sigaretta potranno darmi la forza per affrontare due ore di diritto e una di economia aziendale.
Sto per infilare i soldi nel distributore automatico quando vedo arrivare alle mie spalle un braccio che mi supera in velocità «E no, ora il caffè te lo offro io! Come lo prendi macchiato o normale?»
«Macchiato grazie!» Rispondo e lo so già chi è. Il tatuaggio sulla mano che mi ha battuto in volata mi ha fatto capire tutto.
E resto lì, immobile, perché se mi giro verso di lui praticamente andrei a sbattergli contro.
Tutto il tempo di attesa che il caffè a pioggia cada nel bicchierino di plastica sottostante, lui lo passa alle mie spalle, attaccato a me, sento il suo respiro nitidamente. Io invece non respiro più, sono in apnea. Sentirlo dietro di me mi trasmette una sensazione che non riesco a definire. So solo che vorrei che il caffè continuasse a scendere per ore, per avere la scusa di restare vicina a lui.
Quando poi si allunga a prendere il bicchiere continua a restare alle mie spalle, poggia la mano sinistra sul mio fianco e con la destra lo preleva. Mi giro e restiamo così, quasi abbracciati, a guardarci negli occhi.
Cazzo se sono belli i suoi. Mi ci perdo. Vorrei che il tempo si fermasse in quel preciso istante. Dimentico di essere a scuola, che siamo sotto gli occhi di tutti, che forse ci stanno guardando.
Non so davvero cosa mi stia succedendo, gli fisso le labbra, e lui fissa le mie.
«Il caffè si fredda» dice sorridendo.
Faccio fatica a riprendermi e con molta riluttanza prendo il mio caffè e mi allontano da lui.
Balbetto come un'idiota un «Devo tornare in classe, grazie!» E risalgo verso la mia aula sorseggiando piano la bevanda ormai tiepida. Perché sono così stupida? Dovevo restare, perché me ne sto andando? Ma soprattutto perché sentirlo così vicino mi ha fatto quell'effetto sconvolgente?
Rientro in classe che è meglio. Troppe domande a cui non so dare risposta.
Mi ricordo solo allora del messaggio di Davide, apro WhatsApp: Scusa il tono di prima, forse ti sono sembrato troppo insistente. Comunque dopo ti aspetto all'angolo vicino al semaforo, ho la macchina parcheggiata lì. Poi un emoji del bacino con il cuore.
La mia classica risposta: OK
Intanto mi ritornano in mente le labbra di Emanuele...
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Vita sbagliata - L'età dell'adolescenza
Romance*Ci sono vite che nascono segnate. Destini che sembrano essere già tracciati. E per quanto si possa provare a liberarsi dalle pesanti catene che ci tengono intrappolati alle origini, ci si ritrova sempre e inesorabilmente, sopraffatti dal proprio pa...