Capitolo 1: In viaggio verso il futuro

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L'autostrada è quasi deserta. Chi mai si metterebbe in viaggio con questa pioggia?

Qualcuno c'è! Il prete che guida qui di fianco a me.

Quando è arrivato, ho faticato a capire che fosse un prete. Mi aspettavo il classico tipo con l'abito nero lungo e il collettino bianco, invece il 'mio' prete veste 'normale': jeans e maglione. Solo al collo indossa un piccolo crocifisso.

Mi pare si chiami Antonio. Sì, così lo ha chiamato l'assistente sociale: 'Don Antonio'.

Parla troppo per i miei gusti. Mi sta spiegando dove stiamo andando, come si svolgerà la mia vita in quello che scopro essere una specie di centro di recupero per disadattati.

E sì, evidentemente io sono stata annessa a questa categoria. Devo dire che ho lavorato molto duramente negli ultimi anni per farmi catalogare come tale.

«Ma mi stai ascoltando? Ele?»

Evidentemente io e il Don siamo diventati così intimi amici che autonomamente ha deciso di chiamarmi 'Ele'.

Ma questo è solo un suo pensiero. Io non ho amici intimi, cioè non ho mai avuto il tempo di farmene qualcuno.

«Sinceramente no.» Gli rispondo acida.

Ma poi acida perché? Cosa mi ha fatto questo poveretto per meritare questo mio tono?

«Scusami Don, ogni tanto mi faccio prendere la mano e rispondo male anche quando non è necessario. Comunque non ho ascoltato una parola di quello che mi dicevi, stavo pensando.»

«A cosa?»

Faccio con la mano un gesto vago per fargli capire che non fosse nulla di importante.

«Mi stavi dicendo che starò nella tua comunità fino a quando non troverete una famiglia disposta a prendermi in affido?»

Spero mai. Tra due anni sarò maggiorenne e potrò finalmente decidere quello che voglio fare della mia vita, senza dover dipendere da nessuno.

«Ma ci vuole ancora molto per arrivare?» Lo so, sto diventando insofferente.

È quasi buio e sono stanchissima. Ho fame, ho freddo, ho sonno e ho voglia di piangere.

Sì, cazzo, ho voglia di piangere! Non ne posso più di girare da una città all'altra, di sradicarmi ogni volta da un posto per cambiare di nuovo. Non ne posso più!

Le maniche della felpa sono ormai tutte stropicciate. Finirò per strapparle e le mani continueranno a essere gelide lo stesso.

«E se invece di distruggere quella povera felpa provassi a parlarmi?» Mi chiede all'improvviso il Don, continuando a prestare attenzione alla strada bagnata davanti a noi.

«La fai facile tu. Io non sono abituata a parlare. Poi parlare, per dirti cosa?»

«Che ne so, quello che ti passa per la testa in questo momento.»

«Ma anche no, e poi non sto pensando a nulla.»

Chiudo gli occhi e fingo di dormire, non avverto la necessità di sostenere un dialogo. Ora voglio restare sola con le mie elucubrazioni mentali.

Devo essere sembrata davvero convincente perché il prete accende l'autoradio a volume basso, come per non turbare il mio riposo.

Perfetto, con la musica in sottofondo i miei pensieri scorrono tranquilli.

Penso a te papà, provo a immaginare una volta in più come te la stai vivendo questa vita di merda a cui ci hai condannato.

Certo non starai sicuramente meglio di me. Io almeno giro libera, tu in cella credo proprio che te la stia passando male.

Che vitaccia eh, 'papo'? Chi l'avrebbe mai detto che saremmo finiti così?

Chissà cosa penserà di noi, lei lassù.

Basta, ora la devo smettere!

Ogni volta che la penso piango. Invece io ora sto fingendo di dormire e le lacrime non devono proprio venir fuori.

La mia finzione è stata talmente realistica che alla fine mi sono addormentata davvero. Appena riapro gli occhi faccio fatica a ricordare dove sono e cosa sto facendo.

Sì, sono in macchina e il Don guida, mi sta portando alla casa famiglia.

Che bellezza, davvero una prospettiva meravigliosa.

Provo a stiracchiarmi per svegliare le braccia che sento essere intorpidite. Certo non è il massimo addormentarsi con le mani strette a pugno.

Guardo fuori dal finestrino. Ha smesso di piovere ma è ancora buio. Non riesco a vedere nulla oltre il guard rail.

«Se ci fermassimo per un caffè?» Dico con voce incerta, rivolgendomi al mio nuovo compagno di avventure.

«Finalmente sei sveglia! Bella idea, un bel caffè è proprio quello che ci vuole»

Sento la freccia ticchettare e capisco che stiamo per entrare in una stazione di servizio.

Bene, così dopo il caffè potrò andare in bagno e approfittare per fumare lontano da occhi indiscreti.

**************

«Sento odore di fumo, signorina!» Dice il Don qualche minuto dopo esserci rimessi in viaggio, e mi guarda con aria interrogativa.

«E sì, non guardarmi così. Ho fumato in bagno, che dici Gesù mi punirà per questo?»

«Credo che Gesù abbia di meglio da fare che punire te per aver fumato una sigaretta. Piuttosto è la tua salute che ne risente. Fumare a sedici anni non è proprio il massimo. Ma vedo che alzi gli occhi al cielo e non voglio annoiarti con le mie prediche».

Ecco, bravo, niente prediche. Non ne ho bisogno e poi con me non attaccano, in silenzio torno a fingere di dormire.

Non si arriva più, ma che gran rottura di palle!

Vita sbagliata - L'età dell'adolescenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora