Prologo - Nuove destinazioni

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"Sfigata! Sì, è esattamente così che mi sento: una povera sfigata che non riesce a collocarsi da nessuna parte. Anche l'ultima prova di affido è andata a farsi fottere e ora, cosa mi resta da fare?"

Sono seduta nell'ufficio dell'assistente sociale da più di mezz'ora ad aspettare di sapere quale sarà il mio destino.

"Non è sempre colpa mia però, e che cazzo, non possono sempre addossarmi tutte le responsabilità sui fallimenti delle mie prove di affido! Ho sempre trovato famiglie molto lontane da quella che è la mia visione personale di un nucleo familiare: un padre e una madre un po' fuori di testa, ma che si amano alla follia. Io sono abituata a questo tipo di famiglia, così è stata la mia fino a quando poi tutto è precipitato nell'orrore più assoluto."

Immersa nei miei pensieri, quasi senza accorgermene, mi alzo e rimango in piedi davanti alla finestra a fissare la pioggia che, lenta, sta cadendo ormai da ore.

Guardo tra i tetti di questo quartiere di periferia di Livorno, nella vana speranza di riuscire a intravedere il mare. La sua presenza è una delle poche costanti della mia vita. Come se il suo moto incessante riuscisse a trasmettermi la forza per andare avanti.

Ho freddo e come al solito le mani sono gelide.

Tiro giù le maniche della felpa oversize che indosso, nell'inutile tentativo di provare a riscaldarle.

"Ora cosa succederà? Cosa mi aspetta?"

La voglia di fumare mi sta logorando. Odio le attese, specialmente se poi queste nascondono sicuramente situazioni sgradevoli, ma se ora tiro fuori le sigarette per accenderne una e mi beccano è la fine.

"Ma chi se ne frega!"

Rapidamente mi dirigo verso il bagno, tentando di recuperare dalla tasca dello zaino il pacchetto di Camel e, cazzo, come al solito non riesco a trovare l'accendino. Nel casino totale che regna in queste tasche gli accendini spariscono sempre, inglobati chissà da cosa.

«Dove stai scappando, Eleonora?»

La voce squillante dell'assistente sociale mi fa trasalire. Velocemente nascondo nella manica della felpa le sigarette.

Ora sì che posso dire addio all'idea di fumare. Fanculo.

«Non scappo, tranquilla, stavo solo andando in bagno» mi sento rispondere con un tono che vorrei far apparire rilassato e invece viene fuori una specie di rantolo isterico.

«Vieni a sederti nel mio ufficio che ti devo parlare».

"Eh sì, tu devi parlare, ma io non ti voglio ascoltare perché so già che mi dirai qualcosa che non mi piacerà".

Con una lentezza esasperante, richiudo lo zaino e torno indietro sui miei passi, verso la stanza dove mi aspetta la tipa.

«Siediti!»

Sposto la sedia con un piede, facendola strisciare rumorosamente sul pavimento e mi accomodo lentamente, poggiando lo zaino a terra davanti a me.

Con le mani ghiacciate, riprendo a torturare le maniche della felpa nel vano tentativo di allungarle.

Comprendo perfettamente che, agli occhi della mia interlocutrice, il mio può sembrare un atteggiamento volutamente snervante. Invece sto solo cercando di tranquillizzare il mio respiro, per evitare il sopraggiungere di un attacco di panico.

Non sarebbe né la prima, né l'ultima volta che mi succede una cosa del genere.

«Eleonora, io davvero non so più cosa fare per te! Avevo sperato che questa potesse essere finalmente la famiglia giusta, ma come al solito sei riuscita a mandare tutto all'aria.» Il tono è serio e di rimprovero, e non promette davvero nulla di buono.

«Come fai a vanificare ogni tentativo che faccio per trovarti una famiglia decente? Dimmi, cosa c'è che non andava questa volta?»

"Eh... Bella domanda, e ora cosa le rispondo? Che non sono le famiglie che mi trovi che non vanno, sono io il problema! Io che non sono altro che una fottuta psicopatica, il cui unico desiderio è quello di tornare indietro nel tempo per poter vivere in quella che era la mia vera famiglia! Strana, sbandata,ma mia!"

Capisce che la mia risposta non arriverà e continua: «Volevo risparmiarti di finire in una casa famiglia, ma non mi lasci alternative. Tra un po' arriverà a prelevarti il responsabile di una struttura che si trova a Manfredonia, mi raccomando cerca di essere almeno collaborativa».

«Manfre-cosa? E dove cazzo sta?» Chiedo con un'espressione vagamente mista tra il curioso e lo scazzato.

«Eleonora! Modera il linguaggio, diamine! È un prete la persona con cui avrai a che fare! Mi raccomando continua a parlare così, sai che bella immagine avrà di te?»

"Francamente me ne frega poco dell'immagine di me che potrò dare a un prete. Un prete? Ma cosa ho fatto di male? Non sono neanche battezzata. A casa mia la religione non è mai stata cosa gradita."

Vorrei spiegarglielo alla tizia che non conosco neanche le preghiere base della religione cattolica, che la vedo dura la mia sopravvivenza in una casa famiglia a tema religioso. Ma resto immobile, in silenzio. Tiro ancora un po' giù le maniche della felpa, come a voler sparire del tutto, e intanto aspetto che mi dica dove si trova il paese che ha nominato prima.

Mi spiega che è in Puglia, in provincia di Foggia. L'unica cosa che risveglia leggermente il mio interesse è scoprire che è sul mare.

Perfetto. La mia anima depressa e solitaria già si immagina in riva al mare, in una giornata di pioggia e tempesta, seduta a pensare e a fumare.

Il mare mi piace. In inverno, sa essere triste più di me.

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Vita sbagliata - L'età dell'adolescenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora