Capitolo 50

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Manuel


Come piombi puntati su di me, gli occhi di David mi sondano come se cercassero una vittima sacrificale, si scusano prima ancora di confessare, portano alla luce la fitta rete di bugie in cui giriamo intorno ormai da troppo tempo.
Si siede sulla sedia girevole dalla parte opposta alla mia, poggiando pesantemente la schiena contro lo schienale, abbandona le sue difese facendosi coraggio inalando l'aria viziata che ci attornia. Allo stesso modo mi siedo di fronte a lui poggiando i gomiti nudi dalle maniche arrotolate, sulla fredda lastra di metallo. Un countdown silenzioso prima che svuoti il sacco per incasinare i miei pensieri.


"Tutto comincia dalla mia infanzia.
Mio padre era uno spietato capo mafia di Manhattan.
Aveva la città in pugno e si occupava di tutti i traffici.
Droga, prostituzione, pizzo.
Tutti lo temevano e lo rispettavano allo stesso tempo, era quasi venerato come un dio, perché bastava semplicemente un "no" per far premere il grilletto dritto in fronte a chiunque lo contraddisse.
Un uomo a sangue freddo, cinico, spietato.
Uccideva senza pietà e fu proprio in questo modo che i miei nonni persero la vita. Non li conobbi mai, ma erano coraggiosi.
Avevano un negozio di fiori nel quale molto spesso andava mia madre ad aiutarli. Era una ragazza appena maggiorenne, candida, semplice e bella, molto bella. Mio padre, se così si può definire, se ne invaghì volendola per sé, i genitori di mia madre si opposero con tutte le loro forze e vennero brutalmente uccisi davanti agli occhi della figlia.
Divenuta ormai proprietà dell'uomo più sanguinario e prepotente della città, visse una vita di soprusi e violenze dalle quali sono nato io. Non è facile vivere con la consapevolezza di essere il frutto di un atto di paura, di sofferenza, di dolore ma mia madre mi rassicurava dicendomi che ero il suo raggio di sole, il dono più bello della vita.
L'amore che ci legava fu la causa della sua morte. Mio padre era geloso di noi, dell'amore di una madre e di un figlio cazzo! Della cosa più scontata che potesse esistere...
All'età di 9 anni la uccise davanti ai miei occhi.
Brutale.
Non voleva dividerla con nessuno diceva.
Ero solo un bambino e lui era geloso di me, suo figlio.
Mi sembra ancora assurdo.
Odiavo mio padre con tutte le mie forze, cercai in tutti modi di scappare, pensai anche di ucciderlo più volte ma ero solo un moccioso e non ero in grado di reggere tra le mani una pistola o un coltello e per questo lui si prendeva gioco di
me, mi diceva che il mio destino era già scritto, che non valevo niente.
In quella casa non mi fidavo di nessuno, erano tutti devoti al figlio di puttana di mio padre e nessuno osava mettersi contro le sue decisioni, non avevo amici, non avevo qualcuno che si preoccupava di me, se non una domestica arrivata subito dopo la morte di mia madre."

"Cazzo David, perché non mi hai mai raccontato il tuo vero passato? Credevi che il sangue che circola dentro di te sia come quel bastardo di tuo padre? Pensavi che ti avrei giudicato?"


"No Manuel, ho sempre avuto rispetto nei tuoi confronti, anche tu sopporti un dolore simile al mio e ti assicuro che ti conosco molto meglio di quanto immagini.
Purtroppo il racconto non è finito e ti prego di ascoltarlo fino alla fine..."

Sprofondo sulla sedia temendo che ciò che le mie sentirò sarà una verità amara, che mi farà perdere il senno.
I suoi occhi dapprima sicuri, non riescono a guardarmi e si fissano su un punto indefinito del tavolo, le fievoli luci del mattino penetrano dalle tapparelle delle finestre riscaldando l'aria che sembra diventare gelida dopo le sue parole. Annuisco esortandolo a continuare, mentre la mia mente naviga, immaginando un David bambino vittima di un'infanzia rubata.

"Mi affezionai a quella donna in modo viscerale, le associavo una maternità che non le apparteneva ma che io avevo bisogno di vivere. Nonostante il suo essere rigoroso era dolce e premurosa, molto spesso capivo che doveva apparire diversa da com'era per non perdere il lavoro datogli da quel viscido schifoso.
La mattina del 12 dicembre di 20 anni fa, la mia vita ebbe una svolta decisiva, non potevo saperlo, ma col senno di poi quella fu la mia liberazione.
Era l'alba e un rumore indistinto mi vece svegliare di soprassalto, mi alzai cauto sentendo il cuore alla gola, ero solo, avvolto da una luce impercettibile, mi avvicinai davanti la porta della mia stanza quando sul pavimento trovai un biglietto con scritto di dirigermi nei sotterranei della casa senza essere visto da nessuno e di aspettare lì fin quando qualcuno non sarebbe venuto a prendermi. Il biglietto non era firmato ma riuscì chiaramente a riconoscere la calligrafia di Grazia, la domestica che mi accudiva come un figlio. Mi fidavo di lei, con tempo divenne la mia ancora di salvezza, così mi vestì velocemente e senza dare nell'occhio raggiunsi il sotterraneo deserto. Aspettai diverse ore, ma non persi mai la speranza, avevo sete, avevo fame ma la promessa scritta in quel biglietto fu l'unico appiglio per resistere.
Dopo aver sentito diversi spari e varie grida, Grazia fece il suo ingresso con un giubbotto antiproiettile, una pistola e altri dieci agenti che le coprivano le spalle.
Mio padre era morto, assassinato dagli agenti della Cia che gli davano la caccia da anni, di cui lei faceva parte. Mi spiegò che mio padre aveva fatto del male a troppe persone, che era implicato in troppi crimini e che era arrivato il momento di pagare il conto di tutte le sue atrocità.
In quel momento io conobbi la libertà, la felicità di non appartenere più ad un mondo mafioso nel quale ero nato ma che ripugnavo.
Venni portato in una casa di accoglienza, poi in un orfanotrofio, a turno tutti riuscivano a trovare una casa tranne me. Beh, in effetti era ovvio che nessuno voleva adottare un figlio di un ex capo mafia. Cominciai a perdere le speranze ma in tutto questo percorso Grazia mi fu sempre accanto, veniva a trovarmi e mi infondeva una speranza che io non riponevo più. All'età di 14 anni, quando ormai la mia fiducia si era sgretolata, mi dissero che una famiglia era venuta per incontrarmi, per conoscermi.
Misi il vestito più elegante che avevo, pettinai i capelli in modo rigoroso per poi stamparmi in faccia un sorriso forzato per auspicarmi di fare buona impressione, era la mia ultima chance, sapevo di non averne altre ero già troppo grande per essere preso in considerazione da giovani e ricchi genitori che preferivano bambini più piccoli. Percorsi quel corridoio come se stessi andando al macello, passo dopo passo la mia autostima decresceva, facendo cadere in cocci quella vana speranza di cominciare una nuova vita. Avevo paura, non volevo essere rifiutato ancora una volta, ma la curiosità di vedere chi mi cercava era più forte. Ricordo ancora il suono ovattato dei miei passi, la mano sudata che afferra la maniglia gelida dall'unica barriera che mi divideva dalla mia ghigliottina immaginaria.
Tutto o niente.
Destinato a vivere altri 4 anni in orfanotrofio e non sapere poi cosa fare o cominciare una nuova vita. I miei occhi puntati sulla punta sgualcita delle scarpe di pelle nera, timorosi di guardare in faccia gli occhi che mi scrutavano. Poi una voce, la sua voce fu un tuffo al cuore, rimasi catatonico mentre Grazia e suo marito mi corsero attorno in un abbraccio, sbattendo in faccia alla suora i documenti per l'affido
<< Ora sei nostro figlio anche per la legge!>>
Queste furono le loro parole e lì cominciai la mia nuova vita."

Dissetami come pioggiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora