Capitolo 56

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Nessun dolore.
Nessuna sofferenza.
Mi sento una piuma che cade dal cielo in una danza leggiadra.
Divina.
Celestiale.
La serenità mi abbraccia, mi culla in un sonno tranquillo.
Sto troppo bene per cercare di svegliarmi.
Non mi manca niente.
La pace dei miei sensi.
Non ho sete, non ho fame, nessun bisogno se non quello di continuare a crogiolarmi tra queste pareti morbide che continuano ad ondeggiarmi come fossi un'amaca. Costante, delicata fluttuazione che mi inchioda.
Una luce mi irradia, mi riscalda e io mi sento essenza.
Faccio ormai parte di questo mondo e non voglio più fare a meno di questa sensazione di beatitudine .
Tutto attorno a me si presenta con contorni evanescenti.
Tutto si muove su distese candide come zucchero filato
Non rammento niente, non so chi io sia ma non sento l'esigenza di ricordare.
Su un ruscello di acqua cristallina vedo riflesse delle mani, i contorni sono deboli, distorti.
Rimango stregata dal loro movimento, mi incitano a toccarle ad avvicinarmi sempre di più, ma sono inerme nel mio dolce far nulla. Continuo ad osservare il movimento degli arti che sembra familiare, non so nulla di me ma quelle mani mi appartengono.

Mi avvicino incerta, ma sono ancora troppo distanti per sfiorarle.
Sono attratta in egual modo dallo stare ferma e dal muovermi.

Non so cosa fare.

Incessantemente continuano ad ammaliarmi, istigandomi a seguirle.
Sono persuasive nella loro tacita comunicazione.
Nella beatitudine che mi circonda, improvvisamente una forza dirompente mi incinta a muovermi e un desiderio di fuga si insedia dentro di me.

Non sono più indecisa.

Voglio afferrare quelle mani.

Corro ma non riesco mai ad avvicinarmi, sempre troppo distanti.
Poi tutto si ferma.
Sono loro che vengono da me.
Le accarezzo, le osservo bene.
Sono grandi, morbide e mi appartengono, sono mie.
Poi le stringo.
Mi strattonano verso di loro.
Mi scuotono.
Ripiombo nell'oscurità
Tutto prende vita.
Soffoco.
Respiro.
Sento il dolore, il peso della mia anima dentro un corpo freddo. Socchiudo le palpebre.
Una luce mi investe ma è fredda, non è la stessa che mi riscaldava prima.
Ombre, figure che non conosco, si susseguono, si avvicinano.
Ovattato sento dei singhiozzi, dei pianti, delle voci confuse, mi aggrappo ancora di più alla mano che salda mi sorregge, l' unico mio appiglio per non scappare da quella sofferenza.
Adesso che ricordo quelle mani le accosto ad un nome che irrompe nella mia memoria, si fa spazio su tutto.
Mi investe di vita.
Manuel.
Non so perché.
Deglutisco.
"Manuel" mormoro,
"Manuel"  una preghiera,
Un richiamo che mi tenga in vita.
È la sola cosa che ricordo, l'unica che mi appartiene davvero.

Dissetami come pioggiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora