|𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏|

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<Se vuoi il suo sangue allora prendi il mio! È lo stesso!>

<Toni! Toni svegliati!> Sussulto con il cuore in gola mentre mi sollevo dal materasso. Oh merda!

<Cazzo.> Mi lamento toccandomi la fronte dopo averla colpita con un'altra altrettanto tosta.

<Sono abbastanza certa di non averlo. Come te infondo.> Faccio un verso di frivolezza alla risposta e la sposto con il braccio per alzarmi e uscire dalla sua camera.
<Toni...>

<Ora no.> Lei si zittisce subito ed io prendo dal tavolo il pacchetto di sigarette da cui ne tiro fuori una portandola alle labbra. Mi avvicino alla finestra che apro senza tanti problemi nonostante sia novembre. Faccio scivolare più volte il pollice sulla rotellina dell'accendino finché una fiamma abbastanza alta colpisce la sigaretta permettendomi di accenderla. Lascio cadere l'oggetto sul divano per poi volgermi verso l'estero completamente avvolto nella notte.
È un tempo che molti definirebbero di merda, però a me piace. La pioggia incessante, il ticchettio che produce quando colpisce il terreno, i bagliori dei lampi e il boato dei tuoni che irrompe in modo potente sul ritmo base.
Scocco un'occhiata al mio fianco quando sento dei rumori e la vedo camminare per il salone ormai illuminato dalla luce del lampadario; va verso il piano della cucina prendendo un bricchetto di metallo.
<Non berrò nulla.> Le dico con tono duro aspirando un po' di fumo che poi rilascio verso l'esterno.

<Perché?> La sua domanda risuona quasi innocente e priva di presa per il culo, ma per chiunque non fossi io perché non so quante volte le ho detto che non serve a nulla.

<È acqua per me, lo sai.>

<Se non ti fa nulla non vedo il perché non berla.> Trattengo un ringhio di frustrazione ignorandola e tornando a fumare guardando fuori. Capisco che non sono riuscita a farla desistere quando riconosco il rumore di due tazze che si scontrano: testarda.

<Devi ascoltarmi! Non è così!>

La sua voce mi risuona ancora nella testa, ma senza preavviso e a me va di traverso il tiro facendomi tossire sentendo quasi la nausea.
<Toni.> In un secondo ce l'ho vicina che posa una mano sullo stomaco e l'altra dietro la schiena.

<Sto bene.> La rassicuro appena sono sicura che dopo un respiro non mi viene il voltastomaco.
<Sto bene.> Ripeto battendo un pugno sul muro tra la finestra e la porta. Lei non dice nulla, ma in pochi secondi la mia sigaretta viene spenta ed io mi ritrovo sul divano abbracciata a lei. Non mi dice nulla, non mi rimprovera per il pugno, non insiste per la camomilla, non mi domanda come sto e non mi compatisce. Lei mi abbraccia soltanto.

<Aspetta un secondo.> La lascio rimanendo comunque ferma mentre la osservo togliere il bricchetto da sopra la fiamma per poi metterci dentro una bustina. Appena ha fatto torna da me che mi stendo parzialmente portandola su di me. Chiudo gli occhi non volendo piangere, in questi mesi raramente l'ho fatto e non voglio aggiungere questa notte alla lista. Rimaniamo in silenzio con lei tra le mie braccia ed io che non la guardo, non posso, mi ricorda troppo lei se lo faccio. Avvolte nel silenzio lei riempie due tazze di camomilla porgendomene una che accetto senza fiatare, non ho la forza di farlo.
<Non puoi continuare così.> La sua è un'affermazione, un dato di fatto che però io non accetto.

<Lei ci riesce benissimo, l'hai vista?> Le chiedo in modo retorico stringendo il manico della tazza quasi a volerlo rompere mentre evito il suo sguardo, ma non lo faccio.

<No perché tu non me lo permetti.> Mi risponde risoluta e quasi arrabbiata, se vuole litigare pur essendo uscita da un sonno non bello sono pronta.

<E metterti in pericolo? Mai.> La mia è più una voce animalesca, il capo che protegge il branco, la mamma che protegge i cuccioli, io che difendo lei.

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