|𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟑𝟓|

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Pov. Cheryl

Il sole sta calando è sul confine dell'orizzonte che ho dalla finestra a cui sono affacciata; i raggi del sole che riescono a passare oltre un foro tra le nuvole mi colpisce il viso ma non mi schermo gli occhi. Lascio che quella luce investa le mie iridi fino a che impotente devo distogliere lo sguardo avendoli irritati. La voce di Lewis Capaldi mi culla insieme ad altre canzoni lente o tristi principalmente in inglese di differenti cantanti riempiendo il vuoto presente in questa casa. Poggio la testa leggermente indietro fino a toccare il muro alle mie spalle, le gambe le lascio morbide finché le punte dei piedi non toccano l'altro lato del muro. Mi sono messa alla sorta di nicchietta in fondo al corridoio, c'è una sorta di davanzale interno e poi la finestra fatta a semicerchio. Ho i polsi poggiati sulle ginocchia e mi massaggio a turno prima una mano e poi l'altra; quando mi occupo della destra mi piace passare sulla piccola cicatrice che mi è rimasta ma che si confonde benissimo con gli altri segni naturali del palmo. Schizzo indietro appena sento una mano posarsi sulla mia spalla e tolgo subito una cuffietta per capire che...

<Mamma.> Dico passando lo sguardo sull'intera sua figura mentre gli effetti dello spavento si manifestano: sento il cuore iniziare a battere velocemente e la bocca mi si schiude per riprendere il respiro mancato.

<Sono io.> La sua mano torna a posarsi sulla mia spalla in modo lento ed io abbasso lo sguardo posandolo sul suo ventre. Le cose cambiano ed io mi ritrovo abbracciata a lei che si ricava un piccolo spazietto sul davanzale mentre mi accarezza i capelli. Rimaniamo in silenzio per vari minuti in cui lei mi ruba la cuffietta che mi sono tolta per sentire insieme a me un po' di musica. Il passare del tempo mi permette di riprendere il controllo dopo lo spavento e alla fine prendo un lungo respiro.

<Com'è andata in azienda?> Le chiedo osservando il punto in cui il sole è ormai sparito facendo prevalere soltanto il buio delle nubi nere che ricoprono tutto il resto del cielo.

<Tutto bene, potresti venire con me qualche volta almeno ti...> Mi distraggo. Si blocca capendo che le parole che stava per utilizzare non erano delle migliori, ma io l'ho capita. È lo stesso motivo per cui mi spinge al semestre d'orientamento che è iniziato questa settimana, ma io neanche ho messo piede nei paraggi di quella struttura.

<Ho preparato la cena.> Le dico non volendo parlare di quello che sarebbe venuto se seguivo il discorso e lei lo capisce infatti mi dà un bacio sulla guancia e mi scuote leggermente la gamba.

<Grandioso! Andiamo a vedere che ha preparato la chef.> Si alza e mi porge la mano per aiutarmi, ma io faccio sola e allungo la mano solo per prendere la cuffietta che mi passa. La metto nella custodia insieme alla mia e poi prendo il telefono senza nemmeno degnarlo di uno sguardo come faccio per tutto il tempo in cui andiamo in cucina e ceniamo, lei più velocemente rispetto a me che invece ci gioco con la forchetta non avendo appetito. Tento di distrarmi con la tv e provare a far fesso il cervello mettendo la forchetta tra le labbra, ma poi il boccone mi rimane per lunghi minuti in bocca finché non diventa poltiglia e scende per forza di inerzia giù. Appena però succede sento un macigno nello stomaco e una forza premere verso l'alto e lì tengo la bocca sigillata non volendo mandare vano lo sforzo.
<Mangia quello che vuoi.> Mi posa una mano sull'avambraccio non insistendo più in modo pesante nel farmi mangiare, né ha subito le conseguenze.

<Vieni Cheryl, è pronto.> Sbuffo dal divano su cui sono rannicchiata a vedere la tv.

<Mamma non mi va, non ho fame.> Lo dico con voce un po' più alta per farmi sentire fino alla cucina da cui ne esce fuori un iniziare a brontolare.

<Cheryl provaci, non puoi stare a digiuno forza.> Chiudo gli occhi guardando l'ora dal telefono: sono quasi le nove. Sono riuscita a posticipare fin'ora l'ora della cena dato che non avevo fame, ma l'ansia dell'arrivo dell'ora di cena non mi ha aiutato anzi mi ha chiuso ancora di più lo stomaco.
<Cheryl dai, vieni a tavola.> Il telecomando mi sparisce di mano ed io mi sollevo frustrata da quella situazione, che diamine!

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