Capitolo 18 - Enigma

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<<Ti andrebbe di fare amicizia... Chloe?>> chiese la ragazza, guardando verso di me per una frazione di secondo. Avrei voluto sapere che tipo di espressione avessi assunto, che tipo di sguardo stesse attirando quello della sconosciuta.







Avvicinò le labbra simili ad un gommone tinto di rosso all'orecchio dell'occhialuta, che rabbrividì appena due secondi dopo, accentuando ancora di più il colore su tutto il viso. I ragazzi la seguirono come ipnotizzati, mentre si alzava in piedi.

Le pareti del locale vibravano letteralmente sulle note della musica e delle urla, i tintinnii dei pezzi di vetro e bottiglie che cadevano erroneamente a terra dalle mani dei camerieri sballottati o dalle strette rallentate di quelli che bevevano.
Le luci delle macchine che passavano per le strade isolate dietro o accanto il locale si facevano scoprire nel buio incantevole delle vetrate, come raggi di sole provenienti dalla luna notturna, mentre a causa della scarsa abitudine quel casino mi sembrava tutto un altro ambiente alieno al mondo.
<<Torno dopo, ragazzi>> ci disse Chloe, con gli occhi incollati alla ragazza mentre evitava con poca attenzione di calpestarci i piedi.

<<Seriamente?!>> urló esageratamente Nickolas, guardandola allontanarsi con un occhio mezzo chiuso. Chloe cinse un braccio attorno ai fianchi della ragazza e il silenzio calò rigido come una pietra fra noi.
Il display del cellulare di Damon, un cinque pollici nero con lo schermo rigato da due spaccature, brilló sul suo viso assorto.

<<Ma volete dirmi che Carter è lesbica?>> disse Fred con un'espressione indecifrabile, più come per farlo realizzare a sé stesso che come una domanda. Portava gli occhi da noi ragazze a Damon ogni frazione di secondi, con attenzione, e il bianco lo ricambiava con una freddezza enigmatica. Fredda, e dispersa, bloccato su una particolare placca di ghiaccio in mezzo all'oceano.

<<Non ha mai accennato passioni per la banana>> commentó Jessica sorridendo con ironia, e mi rivolse un cenno chiedendomi conferma. Chloe aveva mai dato a vedere interesse per qualche ragazzo quando eravamo migliori amiche? Non riuscii a ricordarmene con molta chiarezza, ma solo una volta le avevo sentito dire di un ragazzo che la incuriosiva, come diceva lei "molto carino e con un buon senso dell'umorismo".

Una picca di delusione si fece sentire quando ammisi internamente che Jessica, forse, era riuscita a conoscerla più di me risparmiandola da comportamenti egoisti. Come quelli che avevo continuato a riservarle io negli anni precedenti, quando non avevo la minima idea di che tipo di futuro ci stesse attendendo. Ancora il gusto fulminoso dell'alcol si insinuava in mezzo ai denti, e feci spallucce di risposta accorgendomi del mio stesso sguardo perso.

<<Io lo sapevo già, ma non ho detto nulla perché... perché no.>> proclamò Cameron, disinvolto, mentre cominciava segretamente a frugare nel giubbotto di Fred, come se cercasse di non farsi scoprire. <<Sapete, non aveva un'aria mol- molto- aaah Fred! Hai nascosto il pacchetto di sigarette?>> <<Cameron sei una rottura.>> farfugliò Nick sotto lo sguardo cagnesco del bulletto biondo, che restò a guardarlo aspettando che dicesse altro, come un cane da guardia.

<<Scusa devi fumare per forza adesso? Tieni qua... ah, cazzo sono le canne->>

<<Se insisti io apprezzo anche l'erba, gioia>>

<<Tu non apprezzi un cazzo, vedi di non fumartelo tutto stasera.>> Fred lanciò il pacchetto incartato da avvisi sui polmoni e sulla salute contro il petto del biondino, che lo guardò storto, effettivamente più di quanto già lo avesse fatto.

<<Disse il testa di cazzo che ogni giorno chiama il pusher>>

<<Nickolas, se sei ubriaco, perché non dormi e chiudi la bocca?>>

<<Le tue incoerenze disturbano il mio sonno.>> rispose il castano tirandosi i capelli all'indietro, e chiudendoseli in una mano come un codino. Salutai mentalmente il ritorno delle sue maniere sarcastiche e convinte, il tono da snob che me lo aveva fatto conoscere dal nostro primo incontro in infermeria.

Un signore sulla sessantina appoggiato al bancone color crema e lineato da ulteriori led gialli, osservava impaziente e sospettoso l'ambiente festivo, i ragazzi scatenati a conversazioni animate e balli divertiti che coprivano a scattia sia figura grassoccia e il punto raffinato dettato dalla cravatta scura che circondava il suo collo invisibile. Anziché godermi i discorsi tra Halsey e Jessica puntavo sempre a guardarmi intorno, senza capire se qualche razza di calamita stesse chiamando il mio nome o semplicemente io, senza vivermi l'uscita, mi preoccupavo di farmi paranoie e ansie inutili.

Dopo gli ultimi sguardi veloci sia oltre il bancone che nei dintorni, quel mezzo pelato gettò una pasticca bianca in un bicchiere dove frizzava quello che sembrava ginger. Il suo campo visivo aveva probabilmente segnalato la mia attenzione, forse l'unica ad aver visto chiaramente quel che aveva fatto, e mi guardò con occhi accusatori, dall'altra parte della sala.

<<L'altro stupido dov'è?>> la voce di Jessica mi riportò da loro, e dopo qualche secondo notai l'assenza del ragazzo più basso. Non avevo visto Blackcherry allontanarsi da noi, provai a sporgermi con lo sguardo oltre le persone appena incontravo uno spiraglio libero, quello dell'ingresso, ma ero sicura di non averlo neanche sfiorato. <<Credo sia uscito fuori, diceva di dover parlare al telefono e voleva fumarsi una sigaretta. La prima dopo tempo... dopo tempo, che gli vedo fumare.>> Fred portò un indice ad asciugarsi delle finte lacrime di commozione, e gli sorrisi.

<<Non è qui intorno, avevo solo confuso un tizio con i capelli simili ai suoi che era di spalle.>> disse Halsey, e Damon la guardò fermandosi per qualche secondo dallo smanettare sul telefono. <<Che hai? Ti senti male?>> gli chiese Jessica sistemandosi il top nero, per poi togliersi la lunga giacca di pelle e lasciarci la bella vista dei suoi bicipiti allenati. Sembrava una guardia del corpo. Il modo in cui aveva tenuto la porta aperta prima che fossi entrata nel locale, il taglio dei suoi occhi dolci che diventava più aspro e sicuro quando diveniva seria, il suo fisico, il modo in cui dopo aver parlato si era tolta con facilità la giacca dalle spalle belle quanto il resto di lei.

Damon si alzò in piedi, si piegò a scostarle una ciocca di capelli vicino agli occhi e scosse la testa. <<Non sto male.>> fece inespressivo <<esco solo a prendere un po' d'aria e se vedo Cherry gli dico di darsi una mossa.>>.
Effettivamente l'aria al Vanilla's Bud si era fatta soffocante, l'alcol oltre che berlo, lo si respirava anche di più.

<<Non metterci un'eternità, Tim, qui c'è bisogno di divertimento.>> raccomandò Fred con la sua solita aria felice ed entusiasta, frizzante come il ginger rosso sul bancone, a pochi metri da noi, che aspettava la sua vittima appoggiato sulla superficie marmorea. Tremendamente solitario, come una statua in un campo vuoto di tutto.

Gli sguardi scambiati fra il riccio e l'iceberg erano da decifrare come pagine di geroglifici, e probabilmente non fui l'unica ad accorgermene; forse l'intesa tra me e Halsey esprimeva che entrambe avevamo capito qualcosa, ma che i pensieri potevano non combaciare.

Damon si scoprì leggermente le spalle dalla giacca, in seguito la rialzò, sistemò il colletto e chiuse la cerniera fino al petto deponendo il cellulare in tasca in modo furtivo. Si incamminò verso le porte di vetro confondendosi come qualcosa di invisibile, mentre i giochi di luce arrivarono a rendere i suoi capelli lo specchio di mille colori, finchè giunsero a vedersi neri solo prima che imboccasse l'uscita. Non avrei fatto altro che restarmene seduta a conversare con i rimanenti, anche se avevo un'idea alternativa che allettava la mia curiosità.





Forse sarei andata a prendere dell'altro alcol per gli altri, o a darmi una bella rinfrescata con un qualche analcolico ghiacciato attraversando con gli occhi la pista dal lato del bancone, come un panorama. Fare finta di non sapere nulla, guardare negli occhi colpevoli di quell'uomo più da vicino, come sarebbe stato?








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