È notte inoltrata e ho veramente tanto sonno. Oggi è stata una giornata piuttosto sfiancante. Ho litigato di nuovo con Vito; lui mi prende sempre in giro e a me dà fastidio essere trattata in questo modo. Ultimamente si diverte a prendere in giro anche Davide, ma per fortuna ci sono io a difenderlo. Domani sarà il mio compleanno e sulla torta spegnerò quattordici candeline. Mia madre avrà organizzato, come ogni anno, una festa a tema. Non ho idea di quale sia sinceramente, ma non me ne importa più di tanto. Odio queste feste... Odio essere messa al centro dell'attenzione.
Sto per addormentarmi, ma sento dei passi fuori alla porta. Non mi preoccupo più di tanto; saranno sicuramente le guardie che fanno il loro solito giro notturno.
Mi volto dell'altra parte e mi rimbocco le coperte. Sento vagamente le ombre della notte calare su di me e i miei occhi stanno per chiuderci quando sento la porta aprirsi. Si può dire che non ho quasi nemmeno la forza di alzare le palpebre, anche se sono costretta a farlo quando sento qualcuno afferrarmi per i piedi e per le braccia. Il primo istinto è quello di urlare, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. L'uomo che mi ha afferrata per le braccia mi mette un panno umido sulla bocca e perdo immediatamente i sensi. L'ultima cosa che ricordo prima di svenire del tutto, è un terzo uomo che si avvicina a me con un cappuccio nero.
Quando riprendo i sensi mi sento come appesantita e rallentata. Non sono più nella mia stanza; intorno a me ci sono delle strane porte scorrevoli. Non ci sono vetri su queste porte; sembra che siano fatte di carta. Non c'è un lampadario sul soffitto; intorno a me ci sono molte candele accese. Il letto sul quale sono sdraiata, è praticamente fatto di un semplice materasso appoggiato sul pavimento di legno.
Ho bisogno di circa cinque tentativi prima di riuscire a rimettermi in piedi.
Inizio a sudare e il mio respiro si fa sempre più pesante. Non sono a casa mia. Comincio ad avere paura, e tanta.
Credo di stare quasi per impazzire e per avere un attacco di panico. Li conosco molto bene dal momento che mio fratello minore ci soffre.
Mi accovaccio sul letto, tirando su le coperte quando entra un uomo nella stanza.
«Anata wa tsuini megasameta.»
Non ho idea di cosa stai dicendo quest'uomo. L'unica cosa che so è che voglio tornare a casa mia.
«Chi sei?» La mia voce è praticamente un sussurro.
Quest'uomo non è italiano; i suoi occhi visibilmente a mandorla rendono molto chiaro a quale etnia appartiene.
«Watashi to kite.»
L'uomo tende una mano verso di me, ma sono talmente spaventata che mi ritraggo ancora di più. Ripete la stessa frase di prima, ma non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo. La ripete per una terza volta e quando alla fine mi afferra per un braccio, intuisco che forse mi stia dicendo di andare con lui.
Mi trascina per dei corridoi a me sconosciuti. Anche qui, come a casa mia, ci sono parecchie guardie armate. Quando arriviamo di fronte a due enormi porte scorrevoli, l'uomo dice qualcosa bussando alla porta. Non capisco la risposta del suo interlocutore, ma quando le due porte si aprono, ritrovo lo stesso uomo che era a cena da mio padre.
Per un attimo sento montare me una rabbia smisurata.
«Ecco gli occhi che stavo cercando.» Dice in italiano.
Satoshi Tanaka si alza in piedi e viene verso di me.
«Perché sono qui? Dov'è mio padre?»
«Vedo che hai ritrovato la tua spavalderia. Bene, molto bene...»
Si avvicina ancora di più e mi porge una lettera sulla quale intravedo il timbro di mio padre. La leggo a mente e i miei occhi cominciano a lacrimare. Ogni singola parola è una pugnalata al cuore, ma è l'ultima frase a darmi il colpo di grazia.
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Fino all'ultimo respiro
ChickLitAlyssa fa parte di una delle famiglie più potenti e pericolose del mondo. Ha tutto ciò che una ragazza possa desiderare: soldi, fama e potere. Peccato che lei desideri l'unica cosa che non può avere... la libertà. Alyssa non vuole far parte della ma...