45 - Hiroto

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Tornare a casa è difficile. Alyssa non è più la stessa. Nessuno di noi lo è.Viktor è fuggito per ora. Non si aspettava di certo una potenza di fuoco come la mia. Unire tutte le gang locali è stato un azzardo, lo ammetto, ma è servito al suo scopo. Molte di loro pretenderanno più potere e sono anche disposto a concederglielo perché in fondo, se siamo ancora vivi, è anche per merito loro.

Siamo tornati a Tokyo da tre giorni ed è stato molto difficile per me affrontare Alyssa.
Non mi permette di avvicinarla. Se ne sta rinchiusa in camera e non permette a nessuno di entrare. La prima notte, non appena mi sono avvicinato a lei, si è riparata. Ho letto la paura nei suoi occhi; il terrore che potessi alzare le mani su di lei.

Quel gesto è stato come una pugnalata per me. In pochissimo tempo il suo corpo si è abituato a ripararsi dalle percosse subite da quel maledetto bastardo.

L'ho sentita piangere, urlare e fare incubi per tutta la notte.

L'ho vista autodistruggersi e autocommiserarsi. Non è lei quella che deve vergognarsi. Non riesco a comprendere ciò che ha provato perché non l'ho vissuto in prima persona. Vorrei aiutarla ma qualunque cosa faccia, lei mi respinge.

Non è solo il suo corpo ad essere stato gravemente ferito e violato, ma è la sua anima quella che ha subito più colpi.

Dopo un giorno e mezzo che non toccava cibo, gliel'ho lasciato per terra, proprio fuori dalla porta. L'ho supplicata di mangiare, ma non ha mai aperto la porta.

Il secondo giorno è stato praticamente uguale a quello precedente.

Non possiamo continuare così, non se vuole finire di distruggersi.

Adesso sono seduto nel mio salotto e proprio di fronte a me c'è un medico. È un luminare nel suo campo e uno psicologo molto rinomato e stimato nel suo ambiente. È anche un amico di famiglia, perciò non è estraneo al nostro ambiente.

«Ti conosco da molti anni, Hiroto. Sin da quando eri solo un ragazzino e in tutto questo tempo non hai mai cercato il mio aiuto. Se l'hai fatto, è per qualcosa di importante.»

Non l'ho mai cercato non perché non avessi bisogno di un aiuto psicologico; nel nostro mondo, quello è essenziale. Non ho mai apprezzato che qualcuno si mischiasse nei miei affari e soprattutto nei miei pensieri. Non gradisco quando qualcuno gioca con la mia mente, ma adesso ho esaurito le opzioni.

«Non è per me che ho chiesto il tuo aiuto, Takeru-sama.»

Si sistema sul divano, apre quel maledetto taccuino ed è pronto a prendere appunti. Inizia già a scrivere qualcosa. Questa cosa mi manda in bestia.

«Cosa diavolo stai scrivendo se non ti ho ancora detto nulla?»

«Il fatto che tu mi abbia chiamato per aiutare qualcun altro, è degno di essere appuntato. È la prima volta che chiedi il mio aiuto e adesso vengo anche a scoprire che non è per te. Se mi hai invitato in casa tua e non nel tuo ufficio, può solamente voler dire che si tratta di una faccenda molto personale. Non ti fidi di nessuno; tuo padre ti ha sempre insegnato a contare solo ed esclusivamente sulle tue forze e che i legami personali possono solo che indebolirti. Di fronte a me però, vedo tutt'altro.»
Maledetti psicologi...

«È inutile che mi guardi con quella faccia da assassino. Sputa il rospo.» Non lo faccio fuori solo perché è un caro amico di mio padre e perché mi serve.

«Si tratta di Alyssa.»

Scrive qualcos'altro e arriccia la bocca come se stesse pensando a qualcosa.

«Mmm... una donna allora. Interessante.»

«Perché è interessante?» Gli chiedo con sincera curiosità.

Fino all'ultimo respiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora