44 - Alyssa

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Due giorni con Viktor mi sono sembrati un'eternità. Sapevo che tipo di uomo fosse. Credevo di conoscere le sue perversioni, ma non avrei mai immaginato di sperimentarle in prima persona. Ho pianto per quasi tutto il tempo; l'ho fatto non tanto per gli abusi subiti e ripetuti, quanto piuttosto per la mia incapacità di agire. Le ferite riportate in chiesa mi hanno debilitata a tal punto da non essere in grado di difendermi. Viktor ha sigillato le ferite alla gamba e alla spalla con il fuoco, scegliendo il metodo più doloroso possibile, ma me ne ha inflitte altrettante.

Tutti gli anni passati in Giappone sotto la guida del mio maestro e di Hiroto, sono andati in fumo in meno di 24 ore.

Mi ha violentata, mi ha legata e fatto di me ciò che voleva. Mi ha resa un semplice pezzo di carne da usare all'occorrenza e per questo io avrò la mia vendetta.

Questa mattina è venuto in camera da letto e mi ha picchiata ancora. Non riesco più a vedere da un occhio per quanto è gonfio e anche l'altro non è messo tanto meglio. Mi lancia dei vestiti e mi ordina di vestirmi in fretta. Non ho idea di dove siamo diretti; in due giorni che ho passato rinchiusa in questa stanza, ho perso completamente i contatti con il mondo. Mi sento invecchiata, prigioniera della mia stessa mente.

Mi vesto come mi ha detto di fare perché se non lo facessi, probabilmente mi picchierebbe ancora. Non che faccia tanto differenza, ma devo cercare di recuperare le forze ed evitare di essere pestata è un buon modo per tentare di tornare me stessa.

Scendo le scale con enorme fatica. La gamba mi pulsa il tessuto i pantaloni neri che sfrega sulla bruciatura, mi causa un dolore immenso. Prova dolore in quasi tutti gli arti, ma non gli darò la soddisfazione di vedermi trovata. A costo di spellarmi viva, camminerò a testa alta.

«Ciao, Alyssa.» Ivan Kozlov mi saluta con un sorriso che va da orecchio a orecchio.

Non mi fermo a salutarlo e ignoro del tutto anche suo figlio minore.

«Sali in macchina.» Quando Viktor mi parla, è solo per impartirmi un ordine e ho intenzione di seguirlo fino a quando non troverò l'occasione per ribaltare le carte in tavola.

Passo tutto il viaggio in silenzio, ma presto molta attenzione alle loro parole. Parlano in russo e mi è del tutto impossibile capire cosa stiano dicendo, ma i nomi di Vincenzo e Hiroto mi arrivano chiari e distinti.

Che vogliano fregare mio padre? C'è una buona possibilità che sia così. Le alleanze tra fazioni non sono mai andate a buon fine e se così dovesse essere, mio padre avrebbe ciò che merita.

Ha sparato a mio fratello; l'ha mandato in coma. Se ci ripenso, vorrei solo urlare. Non avrei mai immaginato che mio padre potesse arrivare a tanto con lui. Proprio il suo primogenito.

E Davide... È stato abbagliato dalle belle parole di mio padre ed è diventato ciò che ho tanto faticato a reprimere. Mio fratello minore è ancora giovane, ma è abbastanza adulto da prendersi le sue responsabilità e per ciò che ha fatto a me e a Vito, la pagherà cara come tutti. Io stessa sono finita nella ragnatela. Io che mi sono sempre professata paladina della giustizia e che mi sono estraniata per anni da tutto, sono diventata ciò che più odiavo. I miei pensieri sono rivolti alla vendetta. L'odio si diffonde in me come una potente malattia; come un veleno che passa tra le vene; come una droga della quale non riesco più a fare a meno.

Per un momento avevo trovato la mia cura.

Il breve tempo passato insieme a Hiroto mi ha ricordato come ci si senta a stare bene.

Non ho idea di come sarebbero potute andare le cose se non ci fossimo più rivisti.

Forse la Yakuza non sarebbe scesa in guerra; forse Tanaka-sama sarebbe ancora vivo; forse Hiroto non sarebbe diventato il capo della sua fazione così giovane... Forse io sarei stata semplicemente la moglie di Viktor Kozlov e come mi aveva detto mia madre, avrei vissuto una vita dignitosa disponendo di tutto ciò che avessi mai potuto immaginare.

Fino all'ultimo respiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora