Se fossi stata Rebecca, Karlos o Dario sarei sicuramente morta, ma non lo ero. Io sono Ester e non sarei di certo morta in un modo del genere.Tirai via le radici con tutte le forze che mi erano rimaste, cercando di rimanere attaccata alla ringhiera. Mi spezzai quasi un'unghia nel farlo, ma la mia vita era qualcosa di molto più importante di un semplice tessuto dell'epidermide.
Il peso del mio corpo sospeso nel vuoto diede la spinta necessaria per aprire un piccolo buco dove potei infilare la mano. Schiacciai il vecchio pulsante. Le porte si aprirono cigolando e io subito mi ci gettai all'interno premendo ripetutamente un altro bottone.Mentre le porte si richiudevano, però, qualcosa riuscii ad entrare. Era il coltellino di Dario e insieme a esso si infilarono anche delle radici di Frufrù, che furono però schiacciate e spezzate violentemente dalle porte. Il coltello si era conficcato nella mia spalla sinistra. Lo tolsi urlando dal dolore e la ferita prese a rilasciare molto sangue. Sapevo che il rimuovere l'arma avrebbe causato un danno maggiore, ma non potevo certo lasciarla lì per sempre.
Con l'altra mano cercai di bloccare la ferita, mentre il liquido rosso colava tra le dita.Raggruppai tutti i cerotti che ancora erano rimasti attaccati al mio corpo e con essi iniziai a tappare la ferita. Questa procedura fu da considerarsi inutile, i cerotti si limitarono a bagnarsi e cadere a terra. Strappai un lembo del vestito ormai irrecuperabile e me lo legai al braccio per fermare temporaneamente l'emorragia. L'acqua del mare si era asciugata anche grazie al processo di pietrificazione, ma la stoffa al contatto con la ferita bruciava ugualmente.
Mentre l'ascensore scendeva di un piano mi alzai dalla posizione in cui ero caduta e aprii la botola. Dentro il topolino stava dando una festa con tanto di musica da discoteca insieme ad altri topolini marroni e grigi. Appena mi videro si spaventarono e scapparono tutti da una porticina nell'attico, tutti tranne il topolino bianco. Lui posò il piccolo bicchiere che stringeva tra le zampe e mi guardò sorpreso, forse non si aspettava di vedermi, o almeno non viva.
«Sai una cosa? Mi sono stufata dei tuoi trucchetti!», dissi afferrandolo con la mano destra. «Se tu tra dieci secondi non mi hai ancora detto come si esce da qui, allora io aprirò questa porta e ti darò in pasto a qualsiasi mostro ci sia dall'altra parte, chiaro?!»
«Licantropo.», rispose.
«Cosa?»
«Lì c'è un licantropo e dall'altra parte una mezza vipera.», continuò lui. «E peraltro io come uscire da qui te l'ho già detto. Basta scegliere la porta e dire...»«NON È QUESTO CHE TI HO CHIESTO! Io voglio solo sapere dov'è l'uscita di questo fottuto palazzo!», urlai esasperata.
«Ah, adesso capisco. È semplice, devi solo andare al piano terra, superare la carcassa del drago, i resti sciolti dei goblin e aprire la porta principale.», squittì contento.
«Non ci sarebbe magari un'uscita di servizio? Possibilmente una non sbarrata, che non mi faccia passare davanti a un gigantesco drago fatto a pezzi.», chiesi speranzosa.«Non davanti al drago.», riflettè pensieroso il topolino. «Sì, ce ne sono due. Una è qui alla tua sinistra, dove da poco vive una gigantesca vipera, l'altra è al secondo piano nell'ala che non hai ancora esplorato. Lì c'è un cannibale davvero simpatico.»
Ci pensai per un attimo. Era meglio una vipera o un cannibale?
«Tu dove andresti?», domandai all'animale.«Io non andrei, ed è ciò che ho fatto, sono rimasto in mezzo. Ma se fossi nella tua situazione, e dovessi per forza scegliere, preferirei il secondo piano. Una volta mi è capitato di vedere un mio simile finire su questo piano, ed è stato uno spettacolo raccapricciante. La mezza vipera l'ha afferrato con la coda e lo ha inghiottito in un boccone solo», raccontò rabbrividendo. «Ma in realtà non garantisco neanche per il cannibale, con quella ferita ti sentirà non appena metterai piede sul piano.»
«Come faccio a rimanere viva?»
«Prendi questa mela, vai al secondo piano e prega di sopravvivere.», rispose facendomi rotolare vicino una mela rossa.«A cosa mi potrebbe mai servire una mela contro un cannibale?», domandai dubbiosa.
«Chi lo sa, magari prima era un medico.», disse lui ridendo sotto i baffi, letteralmente.L'ascensore arrivò troppo in fretta al secondo piano. Sentivo ancora il mostro dall'altra parte che sbatteva sulla porta e urlava.
«Le scale sono in fondo al corridoio. Cerca di rimanere viva.», salutò l'animale.«Scusa, non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami.»
«Il mio nome non ha importanza, non è saggio dirlo a chiunque. Sai, i nomi rivelano molte cose su di noi, a volte anche troppe.», mi ammonì il topolino bianco.«Due», pronunciai, e le porte si aprirono.
Davanti a me trovai un lungo corridoio buio illuminato solo dalla luce che fuoriusciva da un'unica porta aperta.
Uscii dalla cabina e le porte si chiusero silenziosamente dietro di me. Il braccio mi faceva ancora malissimo, ma ero sicura che una volta fuori avrei trovato un rimedio anche per quello.Mi avviai silenziosamente lungo le pareti di quel corridoio. La porta era spalancata verso l'interno e si trovava verso la fine di quel posto. Non ce n'erano altre, l'unica porta era quella ed era anche la sola da cui provenivano rumori. Oltre ad essa c'erano le scale che, da quello che riuscivo a vedere, portavano verso il basso.
Dovevo percorrere il muro destro fino alla fine e scendere le scale senza essere vista o sentita. Il problema fu quando mi accorsi che il pavimento era fatto da assi di legno scricchiolanti, sarei dovuta andare molto piano.
Arrivata nei pressi della porta mi resi conto di quanto fosse irreale uscirne viva da quella situazione. Non era possibile passarci davanti senza essere sentita, o almeno era impossibile per me. Calcolando poi che molto probabilmente il cannibale aveva già sentito il mio odore, ormai non avrei avuto molte possibilità di riuscita.Fu solo quando arrivai di fianco alla suddetta porta che riuscii a capire cosa fossero i rumori che sentivo dall'inizio del percorso. Il mostro stava cucinando.
Udivo il rumore dei fornelli accesi e delle posate che venivano posizionate sulla tavola. Potevo vedere l'ombra del tavolino in mezzo a quella piccola cucina, che si allungava fino all'uscio della porta. Sentivo anche qualcuno che canticchiava una canzoncina che faceva all'incirca così:«Mangiamoci tuo figlio,
domani toccherà al mio.
Cuciniamolo come un coniglio,
ma in realtà al mio non dirò addio.
Il sangue cola via dall'osso,
così rosso,
così vivo,
freme dentro a questo motivo
e mai più si fermerà.»Continuò a canticchiare il resto a bassa voce e per me fu impossibile capire altro.
Sbirciai dalla porta e rapidamente ritrassi la testa. Tra tutti i cannibali della città mi ero ritrovata proprio quello che di professione faceva il mio stalker. Lui mi stava dando le spalle mentre si lavava le mani nel lavandino a fianco ai fornelli.Presi un profondo respiro. Ce la potevo fare, mi dissi.
Allungai la gamba destra e la appoggiai delicatamente sull'asse di legno che non emise alcun suono. Iniziai un po' alla volta a spostarci sopra il mio peso. Nel mentre lanciavo delle occhiate preoccupate al cannibale che si stava ancora lavando accuratamente le mani. Stavo per darmi una spinta in avanti e appoggiare il secondo piede, quando il cannibale chiuse il rubinetto facendomi sussultare.Andai nel panico, la tensione era troppa e per sbaglio misi male il piede facendo scricchiolare il pavimento. Mi voltai terrorizzata verso il mostro, ma lui si stava asciugando le mani distrattamente, continuando a fischiettare quel motivetto.
Facendo attenzione cercai di uscire dalla calda luce e di rientrare nella penombra dall'altro lato. Ci riuscii e feci altri due passi per allontanarmi dalla porta nel silenzio più totale. Quando all'improvviso sentii la sua voce dietro di me e un coltello puntato al fianco.
«Non è cortese andarsene senza salutare gli ospiti.»
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Voglio vivere
HorrorEster è una ragazza che cerca di sopravvivere in un mondo popolato da mostri. Le persone di questa realtà nascono divise in categorie, che non sono altro che stereotipi di personaggi in un horror. Per quanto tutto questo possa sembrare orribile non...