24.

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«Ero sicura di averti detto di non rimanere sola con lui!», sbraitò Artemide. «Si comporta troppo come un mostro, non mi fido.»

Si era cambiata gli abiti. Adesso indossava una maglietta a righe orizzontali bianche e nere, dei pantaloni scuri e una felpa azzurra legata in vita. Non aveva più addosso l'abbronzatura finta, evidentemente se l'era lavata via. Era anche arrivata di fretta, perciò non aveva avuto il tempo di asciugarsi bene i capelli che adesso lasciavano gocce sul pavimento.

«La colpa è di Ishtar, è lei che se n'è andata e mi ha lasciato lì.», le feci notare.
«A lei ho già fatto una ramanzina, e poi da te mi aspettavo di più.», sputò fuori con cattiveria.

Mi sentii profondamente offesa. Quella ragazza si aspettava un comportamento migliore da parte mia? Cosa avrei dovuto dire io che solo dopo anni scoprivo la sua vera identità. Non aveva fatto altro che mentirmi fin'ora e francamente non sapevo se sarei mai riuscita a fidarmi ancora di lei.

«Cosa vuoi che ti dica?! Non abbiamo fatto niente, mi ha solo parlato.»
«È quello che ti ha detto problema!», esclamò quasi sul punto di una crisi di nervi. «Cosa ti ha detto?»

«Mi ha detto qual è il suo tatuaggio, cosa che tu non hai mai fatto nonostante i nostri lunghi anni di falsa amicizia», le risposi acida.

Artemide sembrò imbarazzata e messa a disagio da questa osservazione. Forse aveva pensato che con tutte le informazioni che mi erano state date avrei scordato quella faccenda. Fece per dire qualcosa, ma poi ci ripensò e cambiò argomento. «Comunque, adesso non importa.», disse mettendo da parte la conversazione appena avuta. «Dobbiamo raggiungere Vulcano, così potrai conoscere Marte.»

Camminammo in silenzio lungo un altro corridoio passando a fianco a molte altre stanze, tra cui anche la palestra interna, dove, spiando dal vetro vidi due ragazzini che stavano giocando a pallavolo. Sentii le loro risate divertite e la palla che cadeva e rimbalzava al suolo. Dovevano essere due gemelli, uno maschio e l'altra femmina. Quando gli passammo accanto si girarono a guardarci incuriositi, ma si stufarono in fretta e ripresero il loro gioco.

Nel corridoio vidi una ragazza ferma a una macchinetta del caffè e al distributore di merendine, in attesa che ciò che aveva ordinato le venisse dato. Più mi avvicinavo più lei sembrava aumentare di qualche taglia. Indossava vestiti larghi e teneva i capelli biondi e opachi legati in una coda dietro alla testa. Quando passammo ci salutò tirando fuori una mano dalla tasca della grande felpa grigia e ci mostrò un grande sorriso.

«Ciao anche a te, Ebisu.», la salutò Artemide mentre le passavamo vicine.

Quando la rimise in tasca vidi che aveva sul dorso di quella mano sinistra il tatuaggio di una Balenottera che liberava l'acqua dallo sfiatatoio. Pensai che fosse una coincidenza un po' crudele che a una ragazza della sua stazza fosse stato assegnato quell'animale, ma non conoscendo le circostanze preferii soffermarmi poco su quell'idea.

Proseguimmo fino a fermarci davanti a una porta blindata che interrompeva il corridoio.
«Eccoci, siamo arrivate.», annunciò l'Esperto di mostri con fare ansioso. «Adesso devo solo darti alcune fondamentali istruzioni su cosa non puoi fare in presenza del nostro capo.»

Prese un respiro profondo e tirò fuori dalla tasca della felpa un fogliettino di carta più volte ripiegato su sé stesso. Con molta cura lo aprì e lo tenne davanti a sé per leggerlo. Se fino a poco prima mi era parso un fogliettino con su scritte poche informazioni adesso sembrava più un grande elenco della spesa.
La ragazza si schiarì la gola prima di iniziare a leggere ad alta voce quel poema.

«Punto primo: Non dire niente sul suo aspetto o sulle sue strane abitudini, lo renderebbe nervoso.
Punto secondo: Non parlare di armi a meno che tu non sia un esperto, lo prenderebbe come un affronto personale.
Terzo punto: Non parlare senza essere stato interpellato, questo lo irrita parecchio.
Quarto punto: Non chiedergli di spiegare niente, lui dà sempre tutto per scontato e non ama che la gente non lo capisca.
Quinto: Ascolta sempre quello che dice perché non lo ripeterà un'altra volta.
Sesto: Non contraddirlo, potrebbe mettere il broncio per un po' e non rivolgerti mai più la parola, quindi dagli sempre ragione anche se dice cose senza senso.»

Si interruppe un attimo per controllare se la stessi ancora ascoltando e costatando che lo stavo facendo continuò la lettura.

«Settimo punto: Non parlare mai di amore o di famiglia in sua presenza. Ha avuto un passato difficile e non credo che gradirebbe sentirne parlare.
Ottavo punto: Ci saranno volte in cui, come ho già accennato, si comporterà in modo strano. Tu devi solo fare finta di niente e annuire se ti chiede qualcosa.
Nono: Non si ricorderà mai il tuo nome, quindi si inventerà mille soprannomi per te e tu dovrai intuirli.
Decim...»

«Ne abbiamo ancora per molto?», domandai interrompendola. «Perché, sai, iniziano a farmi male le gambe a furia di rimanere in piedi.»
«Sì, ce ne sono molte altre, ma credo che le più importanti siano quelle che ti ho già detto.», disse Artemide piegando il foglietto e riponendolo nuovamente in tasca.

Si avvicinò alla porta e dopo essersi guardata più volte intorno in maniera sospetta schiacciò dei tasti, inserendo un codice sulla tabella. La password consisteva in una serie di numeri che la ragazza ripeté per quattro volte. Spiando da dietro alla sua spalla vidi quei numeri e cercai di memorizzarli, "5-9-0-5-8". Dopo che ebbe digitato l'otto per l'ultima volta la manopola girò da sola su sé stessa e la porta si aprì con uno scatto improvviso. Feci un balzo all'indietro per non venire colpita dall'anta che si spalancò con un forte rumore.

Entrai. Artemide dietro di me tirò la porta con forza e per essere sicura che fosse chiusa bene provò anche a darle una leggera spinta verso l'esterno.
Ci ritrovammo in una luminosa sala d'aspetto. Le pareti erano arancioni e appesi su delle lavagnette di legno c'erano vari articoli su eventi catastrofici e attacchi da parte di alieni.

La stanza era piccola e aveva solo due porte, quella da cui eravamo appena passate e l'altra che si trovava alla parte opposta della stanza. Su un lato della stanzetta c'era un divanetto rosso praticamente nuovo e lì sopra sedeva Vulcano. Quando ci sentì arrivare posò velocemente la rivista che stava leggendo, nascondendola sotto le altre che erano posate sul tavolino trasparente.

«Dovevate essere qui un quarto d'ora fa!», esclamò il ragazzo guardando l'orologio a pendolo appoggiato alla parete. «Sai che Marte non sopporta di dover aspettare! Ho dovuto promettergli che gli avrei comprato un altro pacchetto di sigarette se fosse rimasto buono ancora per un po'.»

«Le faceva male il braccio e ho dovuto portarla da quell'essere spregevole che abbiamo come dottore.», si giustificò Artemide.
«Sì, e magari nel mentre ti sei anche cambiata e hai fatto il bagno.», commentò Vulcano, riferendosi ai capelli di lei.

L'Esperto di mostri si zittì non sapendo come rispondere. Non poteva certo negare di essersela presa comoda con il giro turistico per il campo e la doccia.

«Adesso ci conviene entrare prima che Marte inizi a perdere la pazienza e distrugga qualcos'altro.»
«Cosa ha rotto questa volta?», domandò la ragazza esasperata dal fatto.
«Ha sparato ancora al pupazzo», rispose semplicemente lui. «gli ha di nuovo fatto uscire l'imbottitura. Poi toccherà a Ebisu ricucirlo.»

«È la quarta volta in una settimana che lo fa, dev'essere più nervoso del solito.», notò Artemide.
«Con tutto quello che sta succedendo è normale che si comporti così.», spiegò Vulcano, mettendo una mano sulla maniglia della porta.

La aprì ed entrammo in una stanza molto buia e logorata. L'unico fascio di luce proveniente da una lampada era puntato su una figura stravaccata sulla sedia con le gambe appoggiate al tavolo di fronte. Aveva un grande cappello marrone da cowboy calato sulla testa e in bocca teneva due sigari accesi.
Avanzando nella stanza tirai inavvertitamente un calcio a un pupazzo a cui avevano ripetutamente sparato. La figura sollevò appena il cappello e mi squadrò dall'alto in basso.
Solo quando parlò fui sicura di una cosa: ero proprio finita in una gabbia di matti.

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