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Come stavo dicendo prima del mio monologo interiore: la ragazza mi stava per ferire gravemente. L'arma era ormai a pochi centimetri dal mio collo esposto. È in questi casi che il mio istinto di sopravvivenza si accende. Mi ritrovai a carponi sul pavimento in un groviglio di coperte. La falce si era andata a conficcare nel muro dove fino a poco prima era appoggiata la mia testa. Artemide con un grosso strattone la tirò via facendo cadere dei pezzi dell'intonaco sul cuscino.

In poco tempo mi trovai a correre all'aria aperta con addosso un vecchio pigiama bianco con i bordi e i bottoncini rossi. I miei piedi nudi si scontrarono con la terra calda e sabbiosa. Ma il terreno non era l'unica cosa calda in quel luogo, l'aria era irrespirabile. Sentivo il mio corpo freddo che a contatto con un calore improvviso diventava sempre più pesante.
Mi fermai un attimo per guardarmi intorno mentre la vista tornava meno offuscata dopo l'improvviso cambio di temperatura. Era meglio capire prima dove fossi finita, per non rischiare di finire di nuovo in un vicolo cieco, e poi scappare da quella pazza con la falce.

Il posto sembrava un piccolo accampamento tra le rovine di un'antica città di qualche altrettanto antica e sconosciuta popolazione.
Fuori dalle tende erano sedute alcune persone dagli abiti sporchi, rimaste sorprese dalla mia improvvisa apparizione. Fui distratta dai loro volti, alcuni di essi avevano profonde cicatrici o bruciature in viso.

Schivai la falce che finì nel terreno accanto a me, non mi accorsi però di Artemide fino a ché lei mi saltò addosso. Si avvinghiò alla mia vita e cominciò a tirarmi per i capelli. Io piegai le braccia all'indietro e le afferrai i suoi, che vennero via con facilità.
Mi ritrovai a camminare a fatica con una parrucca bionda in mano. La sua proprietaria non accennava a togliersi dalla mia schiena, strillandomi nelle orecchie di restituirle l'oggetto. Si aggrappò al mio collo per sbilanciarmi e lo strinse nella speranza che io lasciassi la presa.

«Cattiva!», urlò Artemide nei miei timpani. «Sei cattiva! Ridammi la parrucca. Non è mia, devo ridarla a Ishtar!»
«Tu lasciami andare e io te la ridò!», gridai di rimando.

Caddi poi a terra, trascinando con me la ragazza che finì per schiacciarmi la schiena.
Della terra polverosa mi cadde negli occhi, e un po' anche in bocca. Iniziai a sputacchiare in giro, nella speranza di levare dalle labbra il sapore terroso. Alzai un braccio ripulendomi gli occhi con la manica del vestito.

La stramba ragazza recuperò in fretta la parrucca e la sollevò in aria, agitandola trionfante. Le poche persone presenti iniziarono ad applaudirla e a esultare per la sua vittoria.
Una figura comparve nella mia ancora limitata visuale. Era un ragazzo dall'aria abbastanza stanca.

«Arty», chiamò quasi seccato. «Stai di nuovo spaventando qualcuno?!»
«Mi sto solo divertendo un po', tutto qui», gli rispose Artemide con aria innocente.

Poi si spostò da sopra di me e si posizionò al suo fianco. Il ragazzo che era appena arrivato allungò una mano per aiutarmi a tornare in piedi, e io confusa accettai.
«Piacere, io sono Vulcano.», si presentò. «Sono un Survivalista». Poi si guardò intorno e notando la piccola folla che ci circondava aggiunse: «Ci conviene tornare dentro.»

I Survivalisti sono una specie di boy-scout. Principalmente si occupano della sopravvivenza delle persone che li circondano. Portano sempre con sé un kit di sopravvivenza che perlopiù consiste in medicinali e utensili utili per il campeggio. La loro morte è spesso causata da incidenti o nell'imbattersi direttamente con un mostro senza i propri strumenti.

Fui ricondotta nella struttura da cui ero scappata, evidentemente si trattava un'infermeria provvisoria. Lì faceva molto più freddo che fuori. Fu proprio come se fossi entrata in un frigorifero gigante o in un obitorio.
Mi sedetti sul lettino e attesi le risposte che speravo arrivassero da quel nuovo incontro.

«Scusala», disse Vulcano, sedendosi su uno sgabello. «Non si comporta sempre così. Oggi era solo felice di rivederti.»

Guardai Artemide mentre appoggiava sul tavolo la parrucca e si toglieva le lenti a contatto colorate mostrando il reale colore dei suoi occhi. Mi sembrò familiare, ma capii chi fosse solo quando si passò una salvietta umida sul viso, togliendo così parte del trucco e l'abbronzatura finta.
Capelli lunghi bianchi, occhi rossi, due occhiaie da paura e carnagione cadaverica.

«Cinzia?!», esclamai stupita.
«Non chiamarmi così qui.», si affrettò a dire lei, guardandosi in giro con fare preoccupato. «Se tutti dovessero scoprire quel nome sarebbero guai seri.», poi continuò in tono più allegro. «Comunque sono felice anch'io di rivederti, Ester.»

«Che cosa ci fai qui? Perché non hai i tuoi occhiali?», domandai confusa di trovare lì l'amica sempre troppo stanca per andare a scuola e che non mi sarei mai immaginata di trovare in un posto del genere. «E aspetta, tu sei un Esperto di mostri?!»
«Io qui ci lavoro», rispose tranquilla lei. «E sì, sono un Esperto di mostri non un Amico di secondo grado.»

Gli Esperti di mostri sono, come dice il nome, quelle persone che sanno quasi sempre tutto riguardo ai mostri. Per esempio, possono dirti il loro habitat, oppure le strategie che utilizzano vari tipi di mostri, o ancora, di cosa si nutrono, ma questa è facile dato che tutti sanno che la maggior parte si nutre di carne umana. Solitamente muoiono perché sono troppo sicuri di sé, non si aspettano reazioni diverse da parte dei mostri, se non quelle che hanno imparato nel tempo.

Gli Amici di Secondo grado sono invece quelle persone che hanno con il Protagonista un legame di affetto reciproco. Solitamente vengono uccise solo per causargli una reazione di sconforto, la morte non è specificata.

Avevo conosciuto Cinzia a scuola. Era il primo anno di superiori, il primo giorno di scuola. Ci avevano raccolti nell'Aula Magna per smistarci nelle classi. Il preside chiamava il tuo nome, tu dovevi alzarti e metterti in fila con gli altri che sarebbero diventati poi i tuoi compagni per i prossimi cinque anni, salvo per i soliti che vengono sempre bocciati.

Il mio non è esattamente un nome facile da dimenticare, sono comparsa sui giornali per anni anche dopo essere nata. Quando il mio nome era stato pronunciato si era udito un sonoro borbottio da parte dei presenti, ma nessuno aveva fatto nulla di particolare.
Inizialmente i miei compagni si erano elettrizzati all'idea di avermi in classe, ma presto avevano scoperto che passavo la maggior parte del tempo a fissare il vuoto e se parlavo dicevo cose troppo complicate per le loro menti inferiori. Sta di fatto che io mi ritrovai in fila di fianco a lei, Cinzia Moonbeam.

Per il primo giorno di scuola ci diedero delle schede da compilare con i nostri interessi. Ovviamente io scrissi di amare la lettura, libri, manga, fumetti. Non fu una cosa molto apprezzata da tutti. Alcuni si limitarono a dire cose tipo "Oh, forte, leggi i fumetti" oppure "Wow, una volta anch'io ho aperto un libro".

Mi stavo rassegnando all'idea di dover passare cinque anni senza poter tenere una conversazione con qualcuno, quando poi si presentò lei.
Cinzia si era avvicinata al mio banco con in mano la sua scheda compilata. Aveva allungato il collo sulla mia e aveva detto: «Anche a me piace quel libro. Ti va di parlarne?».
Fu una frase semplice, ma quella mi bastò per creare una lunga amicizia con quella ragazza il cui nome avrei chiesto solo settimane dopo quel giorno.

«Quindi è da quasi quattro anni che mi menti.», mormorai. «Per quale motivo?»
Artemide ci pensò un po' prima di rivolgersi a Vulcano. «Vulc, tu ti ricordi perché non gliel'ho detto subito?»

«Perché l'aveva ordinato Marte.», rispose lui.
«Giusto!», annuì lei. «Era un ordine di Marte.»

«E perché l'aveva detto?», domandai.
«Perché l'aveva detto?», chiese lei, di nuovo rivolta al ragazzo.
«Non lo so.», scosse le spalle. «Lo sai com'è lui, non si sa mai quello che gli passa per la testa.»
«Giusto!», assentì, poi si rivolse a me. «Meglio non farsi domande.»

«Chi sarebbe questo Marte?», insistetti in cerca di risposte.
«Il nostro capo», mi informò Vulcano.

«Esattamente che cosa siete voi?»
«Noi siamo...», iniziò a dire lui, ma fu interrotto da Artemide che a gran voce completò la frase: «...GLI STERMINA MOSTRI!»

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