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Per motivi che ancora ora mi sono sconosciuti una volta condotta in presenza di Marte fui nuovamente addormentata con un sedativo, tirato per suo ordine da Vulcano.

Mi risvegliai solo quando ormai erano passate diverse ore. Potete quindi immaginare la mia sorpresa quando aprendo gli occhi scoprii di trovarmi sdraiata sul ponte di una barchetta in mezzo al mare. La mia testa fuoriusciva dal bordo del mezzo di trasporto e i capelli tendevano verso l'acqua.
Urlai per la sorpresa e mi ritirai verso l'interno, lontano da quel liquido blu.

«Visto, l'avevo detto che avrebbe reagito così!», esclamò Artemide.

Mi sedetti sul ponte della barca e arretrai con il sedere fino all'albero maestro. Avevo addosso una nuova felpa verde militare, e io odiavo quel colore.
Guardai i presenti, adesso impegnati a ridere di me. C'era Artemide, vestita con lungo giubbotto dello stesso colore del mio nuovo indumento. Vulcano, con una felpa rossa, e Marte, che non sembrava intenzionato a cambiare abiti. Tirai un sospiro di sollievo, non avrei mai voluto ritrovarmi lì con Thor o Ishtar.

«Perché siamo in mare?», domandai guardandomi intorno in cerca della terra.
«Perché dobbiamo attraversarlo.», rispose Marte sfilandosi di bocca la sigaretta.

Una risposta del tutto ovvia, oserei dire, ma non glielo feci notare.
«Dove siamo diretti?», chiesi lanciandogli un'occhiataccia.
«Dall'altra parte del mare.», insistette lui ridacchiando.

Mi voltai verso Artemide sperando in una risposta, ma ora era occupata con la bussola. Un'altra cosa che avevo notato di differente in lei era il buon senso dell'orientamento, cosa che Cinzia non aveva mai avuto.
Vulcano si occupava di far funzionare la barca e stava vicino alla ragazza per capire in che direzione farla muovere.
Marte era seduto in una strana posizione a prua della piccola nave e teneva in mano il cappello. Il fumo della sua sigaretta mi arrivava addosso spinto dal vento, così decisi di spostarmi da lì.

Finii per starmene seduta in un angolino a guardare sospettosa l'acqua, quasi mi aspettassi che da lì a poco qualcosa ne sarebbe uscito.
Il vento mi passava dolcemente tra i capelli sciolti, facendoli ondeggiare e mandandoli a finire nella mia bocca. Il caldo non si sentiva quasi più, il che era molto strano. Più tardi avrei dovuto chiederne ad Artemide il motivo.

Mi tastai con la mano destra la ferita sulla spalla. Dopo le cure di Anubi il dolore si era fatto più lieve, fino quasi a passare in secondo piano superato dagli irritanti avvenimenti di quella giornata.
Non mi ero ancora arresa nella ricerca di una via di fuga da quella pazza gente, ma al momento mi trovavo costretta a rimandarla in vista di una migliore occasione. Possibilmente che non comprendesse scappare a nuoto da una barca nel mezzo dello scuro mare salato su cui ci trovavamo.

Arrivammo piuttosto in fretta a riva, in fondo non eravamo poi così lontani dalla terra. Era ormai quasi sera, la luce del sole stava pian piano svanendo inghiottita dal mare.
Attraccammo la barca in un piccolo porto dall'aria abbandonata.

Scesi immediatamente da quel mezzo per guardarmi intorno alla ricerca di un indizio su dove mi trovassi, ma l'unica cosa che vidi fu l'insegna di un ristorante chiamato "Il Gatto del Tempo". Sotto di essa c'era un'altra insegna più lunga con sopra incisa una storiella di un gatto triste.

"C'era una volta il Gatto del Tempo che amava giocare con le lancette dell'orologio. Il suo lavoro consisteva nel far muovere i minuti, ma il più delle volte oziava sulla lancetta delle ore.

I tre Troll del Tempo si arrabbiavano ogni volta che lo faceva, perché le ore erano loro a farle muovere e il Gatto del Tempo si intrufolava spesso nella loro base e le spostava a suo piacimento sfruttando il fatto che gli scorbutici Troll fossero molto lenti.
I secondi invece venivano fatti muovere da una formica nera molto veloce, che non aveva mai tempo per riposarsi.

Il Gatto del Tempo era dunque l'unico ad avere abbastanza tempo e voglia per prestare attenzione a quello che avveniva fuori dall'orologio.
Lui vedeva degli annoiati ragazzi seduti a dei bianchi banchi che fingevano interesse per la lezione. Fuori dalla finestra gli uccellini volavano liberi nel cielo in cerca di cibo, gli alberi venivano mossi dal gelido vento, le foglie secche cadevano e i fiori dai mille colori sbocciavano.

Lui lì dentro si annoiava. Non voleva più muovere i minuti, lui voleva uscire dell'orologio e vivere all'aperto.
Così un giorno particolarmente noioso spaccò il vetro dell'oggetto e uscì.

Dietro di lui i Troll esultarono per essersi finalmente liberati di quel fastidioso Gatto del Tempo, ma la formica continuò il suo lavoro dicendo: «È inutile che scappi Gatto del Tempo, prima o poi dovrai comunque tornare a lavorare. È scritto nel nostro destino.»

Il Gatto aveva fatto due balzi ed era uscito dalla finestra senza neanche guardarsi in dietro, talmente era felice di quell'avvenimento.

Quel giorno inseguì gli uccellini, si arrampicò su un albero, giocò tra le foglie e tra i fiori profumati.
Fu un momento bellissimo per lui, ma non per gli altri. Quel giorno stava durando troppo. I secondi passavano, ma non i minuti e di conseguenza neanche le ore.

Gli studenti fissavano disperatamente l'orologio sperando che il tempo andasse avanti, per poter così tornare a casa, ma non succedeva niente.

La formica continuava il suo lavoro, ma i tre Troll che erano sempre stati degli scansafatiche non si preoccupavano di niente, usando come scusa il fatto che se i minuti non scorrevano allora le ore non sarebbero arrivate.

Il Re Gadiu indì quindi una caccia al Gatto, per poter riavere il controllo sul tempo. Tutti si precipitarono per le strade alla ricerca del Gatto del Tempo.

Fu un cane di nome Dog a trovarlo. Lo pescò in un ristorante mentre ancora stava mangiando il pane e lo trascinò a forza davanti al Re. Lì il Gatto del Tempo fu condannato a passare l'intera vita segregato nell'orologio, fino a ché le pile non si fossero scaricate.

Triste, ma rassegnato, il Gatto del Tempo tornò nel suo orologio e si dice che ancora oggi sia lì dentro a far girare i minuti e a oziare sulle ore."

Sotto a quella storia una nota spiegava che il Gatto del Tempo si trovava proprio in quel ristorante quando il cane lo catturò. Il proprietario del ristorante si lamentava del fatto che il Gatto non avesse ancora pagato il conto e pregava che chiunque l'avesse rivisto avrebbe dovuto fargli la cortesia di ricordargli dei soldi che gli doveva per il pane.

Che storia ingiusta che è quella del Gatto del Tempo, pensai. Avrebbero potuto almeno raggiungere un compromesso lui e il re. Lasciarlo uscire per qualche secondo o trovargli un collega che potesse sostituirlo durante le vacanze. Non avevano neanche ascoltato i suoi motivi, condannandolo senza esitazione a quella morte apparente.

«Svegliati, amica dei mostri.», esclamò Marte, mettendomi la mano destra sulla testa. «Siamo qui per uccidere non per perdere tempo in storielle.»

Poi buttò a terra la sigaretta, la pestò e si piegò alla mia altezza.
«Tieni, è per te.», disse allungandomi qualcosa con la mano finta.

Studiai lo strano oggetto arancione prima di notare la parte di metallo sul fianco. Tirandola feci uscire la lama, ritrovandomi a tenere un coltello tra le mani.

«È un Bom02057 Boker Magnum, trasporto pratico e facile da maneggiare. Vedi di non perderlo, mi c'è voluto un po' per trovarlo.», continuò l'uomo.

Si tirò di nuovo su, riaggiustandosi il cappello, e cominciò a camminare per una vietta. Vulcano lo seguì immediatamente rimanendogli vicino, Artemide invece mi prese per mano e mi costrinse a seguirli.
Nascosi il coltello nella grande tasca della felpa, ma tenni comunque stretta l'impugnatura con l'altra mano. Se avessi davvero dovuto usarlo almeno mi sarei fatta trovare pronta.

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