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Il sangue cola sempre sulle pareti della mia mente, ma io non me ne curo più di tanto.

So già che tutto questo è falso.

Le persone di questo mondo non sono altro che stereotipi della realtà e i mostri sono le paure che albergano nei nostri cuori.

Io voglio vivere.

Capii che la giornata sarebbe stata brutta non appena uscendo di casa sollevai lo sguardo. Un'alba di un rosso cremisi sbucava tra i tetti delle villette del quartiere. Il resto del cielo era ricoperto perlopiù da lunghe nuvole dalla sfumatura rosa pastello, scurite di quel colore che i miei occhi percepivano come un viola. Visioni del genere erano più che rare in questa cittadina sempre immersa nella nebbia.

Raggiunsi la conclusione che quest'oggi, con molte probabilità, mi sarei trovata ad affrontare un mostro e altri avrebbero raggiunto la lunga lista di deceduti annuali. Sospirai, rassegnandomi al dover passare una tremenda giornata, e ripresi il cammino verso la fermata. Percorsi a grandi passi quel poco di strada che mi separava dal cartello dello stop e attesi.

Scrutai il grigio asfalto in cerca di quel bus dalla scritta "44" che mi avrebbe portato a destinazione. Generalmente il mezzo arrivava puntualmente in ritardo di cinque minuti rispetto a quello che segnava il cartello.
Mi ritrovai a pensare al motivo per il quale quando si aspetta l'autobus esso non arriva mai, e quando invece c'è lo sciopero dei mezzi se ne trova in giro più del solito.

Sentii un lento strascicare di piedi alle mie spalle. Mi voltai solo per ritrovarmi a guardare la mia anziana vicina di casa, la signora Russel. Lei mi sorrise con la sua solita espressione melliflua e lentamente riprese a salire i tre gradini della sua malconcia villetta.
Indossava, come di suo solito, un largo grembiule blu a fiorellini bianchi e un paio di ciabatte rosa. I capelli grigi li teneva raccolti in uno chignon che ondeggiava a ogni suo passo, sembrando sempre sul punto di sciogliersi. Portava spesso degli occhiali con la montatura dorata, anche se sospettavo non ne avesse affatto bisogno.

Il suo viso, come d'altronde tutto il sottile corpo, era ricoperto da spesse rughe che la rendevano parecchio anziana e brutta da vedere.
Era da un po' che la tenevo d'occhio e a quanto potevo constatare anche lei ricambiava.

Una Quarantaquattro raggiunse silenziosamente la fermata, aprendo le porte per permettermi di salire. Mi sedetti sul davanti del mezzo, appoggiando la testa al freddo finestrino. Il sedile di plastica scricchiolò sotto il mio peso, gli altri passeggeri si girarono contemporaneamente rifilandomi le tipiche occhiatacce di chi si è di nuovo svegliato con la luna storta.

Nell'aria lievemente consumata di quello spazio chiuso albergava un forte odore ferroso che mi diede da subito il voltastomaco.
Dalla mia postazione osservavo il modo in cui la strada veniva percorsa dal mezzo con eccessiva rapidità. Più di una volta mi si strinse il cuore nel vedere un piccione volare davanti alle ruote anteriori e scampare per un soffio a quell'orrenda fine.

La Quarantaquattro si fermò per qualche secondo davanti al Palazzo di Giustizia, dandomi il tempo di scorrere velocemente lo sguardo sulle scritte disegnate sui muri. Nei giorni scorsi aveva avuto luogo una polemica riguardante un'incisione comparsa dal nulla al fianco del portone principale. Non era una novità che le persone esprimessero il loro disappunto pitturando i bianchi muri della struttura con scritte volgari, ma quest'ultima in particolare aveva smosso le acque più del dovuto. La frase in questione era composta da due semplici parole, "Voglio vivere".

L'artefice di tale atto non era ancora stato rintracciato, e forse era questo il motivo del perché ormai quella frase si trovasse sulla bocca di tutti. Le telecamere del palazzo non avevano ripreso nessuno, come se quella rossa scritta si fosse fatta da sé. La conclusione più razionale che avevo raggiunto era che si trattasse di un qualche scherzo compiuto da un uomo invisibile, o il desiderio di un fantasma disperato.
Sta di fatto che, dalla prima volta che le avevo lette, quelle parole non avevano smesso neanche un attimo di tormentarmi.

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