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Un abbraccio, ecco ciò che mi avevano appena dato. Delle braccia abbronzante mi circondarono il petto e sentii qualcosa di grosso che si appoggiava alla mia schiena.
Non sono mai stata un'amante degli abbracci, o almeno non di quelli che mi venivano dati a sorpresa e senza alcuna ragione da persone che non conoscevo.

«Amica mia!», esclamò colei che aveva appena osato incastrarmi in quel gesto affettivo non voluto.

Le sue lunghe ciocche color limone ricadevano sulla mia spalla data la vicinanza della sua testa alla mia. Mi ritrovai con il viso premuto alla sua guancia da una mano con delle lunghe unghie pitturate di rosso lampone. Sentii un forte odore di cannella che mi bruciava le narici e si spingeva fin dentro alla gola.

Dallo specchio di quella stanza, che pareva più un camerino, la vidi. Non la riconobbi, d'altronde non l'avevo mai vista prima d'ora. Lunghi e mossi capelli biondi, pelle abbronzata, occhi color ambra e trucco. Pareva il travestimento che Artemide aveva indosso prima, solo con l'aggiunta di uno spazio in mezzo agli incisivi.

La ragazza appena citata doveva avermi vista parecchio confusa, e venne in mio soccorso. «Lei è Ishtar, l'altra nostra mascotte. È un Amico di Terzo grado, quindi è convinta di dover essere per forza tua amica.»

Gli Amici di Terzo grado sono quegli amici che sono principalmente dei conoscenti, né più né meno. Per loro provi affetto, ma di sicuro non rischieresti la vita per salvarli. Sta a loro decidere come morire, ma stando troppo vicino al Protagonista non dureranno a lungo.

«Ciao, Arty», salutò Ishtar. «Sono felice che anche tu sia qui! Mi hai riportato il vestito e la parrucca?»
«Sì, questa te la metto qui.», disse Artemide appoggiando l'ammasso di capelli finti sulla mensola vicino ad altri. «Il vestito e le scarpe invece te li riporto dopo.»

«Me la puoi togliere di dosso?», riuscii a pronunciare a fatica, con la guancia schiacciata contro quell'invadente ragazza.
«Tra un po' si stacca da sola. Ha una sorta di malattia, se non abbraccia qualcuno almeno una volta l'ora dimentica come respirare.», spiegò Artemide. «Dovrai farci l'abitudine.»
«Non voglio abituarmi ad avere questo genere di contatto!», replicai infastidita.

La ragazza si allontanò dal mio corpo solo dopo qualche lungo e imbarazzante minuto. Avrei fatto in modo di non avvicinarmi mai più così tanto a lei da finire di nuovo tra le sue grinfie.

«Io sono Ishtar, e sono la tua nuova amica.», si presentò lei.
«Io sono Ester, e non mi interessa.»
«Devi essere più gentile con lei!», mi rimproverò l'altra ragazza, tirandomi una manata sulla spalla.

Era ufficiale, la ferita si era riaperta e adesso avevo un bisogno urgente di cure mediche. Artemide probabilmente sentì il mio gemito soffocato e vide che mi stavo tenendo la spalla ferita. «Faresti meglio a passare dal dottore prima di incontrare Marte.»

«L'accompagno io da Anubi!», si candidò entusiasta Ishtar. «Tu hai bisogno di una ripulita. Vai pure a farti una doccia e cambiati quei vestiti.»

«D'accordo, ma tienila d'occhio. Non devi lasciarla sola con il Dottor Anubi, ricordatelo.», assentì l'Esperto di mostri con aria preoccupata.
«Certo, ci penso io.», la rassicurò Ishtar, strattonandomi per il braccio fuori dalla porta.

Artemide mi passo in mano una delle due pagnotte che aveva rubato prima dalla cucina.
«Fa attenzione», mi ammonì. «Non mi fido molto di quel dottore. È inquietante.»
«Adesso sì che mi sento meglio.», le risposi sarcastica prima di venire trascinata via da Ishtar.

Morsi il pane e solo allora mi resi conto che stavo morendo di fame. Lo mangiai in fretta e sentii lo stomaco ancora più vuoto, ma per il momento non c'era modo di trovare altro cibo. Così mi rassegnai a dover trattenere ancora una volta l'insistente brontolio che proveniva dalla pancia.
Ishtar nel mentre mi stava tirando per il braccio ferito. Provai a farglielo notare senza essere offensiva, ma lei mi ignorò e continuò a strattonarmi per il corridoio. Cercai quindi di tenere il passo e allo stesso tempo di farla rallentare.

Aveva dei lunghi stivali rossi con il tacco che le arrivavano fino al ginocchio. Mi sorprendeva il fatto che con quelli ai piedi non fosse ancora caduta sbattendo la faccia sul pavimento. Indossava dei corti pantaloncini blu e una piccola canottiera rosa molto attillata, attraverso la quale si potevano intravedere le sue abbondanti forme. Al collo aveva appese una miriade di collanine dalle colorate perline luccicanti. Per ogni dito portava un anello scintillante che tintinnava con gli altri quando la ragazza muoveva la mano. Sul lato più a sinistra del petto c'era il tatuaggio di un ariete che, proprio come quello di Agni, aveva solo i contorni neri.

«Lo sapevi che il tuo nome deriva dal mio?», mi informò emozionata Ishtar.
«Sì, lo so.», risposi semplicemente.

«Ti piacciono i gatti, vero?», domandò, senza dare l'impressione di volersi fermare.
«Sì», dissi fredda.

L'idea che Cinzia avesse parlato dei miei interessi personali con quella ragazza mi infastidiva ancora di più dell'intera situazione. Non sarei mai riuscita esattamente a scoprire quanto altro doveva aver raccontato di me in giro.

«Io qui sono conosciuta da tutti come Ishtar l'ariete, ma avrei tanto voluto essere un felino, come per esempio una volpe o un leone.»
«La volpe non è un felino», le feci notare. «è più vicina alla famiglia dei cani.»
«Stessa cosa.», rispose scuotendo la testa.

A primo impatto la ragazza non sembrava starmi troppo simpatica, ma si trattava pur sempre di un Amico di Terzo grado quindi in un modo o nell'altro ci avrei fatto amicizia. Non che mi sentissi proprio in vena di fare nuove amicizie, sono sempre stata abituata a relazionarmi con le poche persone che conoscevo da tempo, ma nell'ultimo periodo ero rimasta sola. Tutte le persone che conoscevo avevano finito per morire prima del previsto, e frequentare qualche persona in più può risultare utile.

«Perché ti chiamano l'ariete? Oltre che per il tatuaggio intendo.», domandai con finto interesse, sperando che dialogando avrebbe rallentato il passo.
«È stato Marte a darmi questo animale, ne ha dato uno a tutti, e adesso ognuno ha il proprio tatuaggio con l'animale.»

Ancora a parlare di Marte, a questo punto volevo proprio conoscere questo misterioso soggetto. Qualcosa mi diceva che non aveva tutte le rotelle al proprio posto. Con un po' di fortuna sarei riuscita a convincerlo a lasciarmi andare con un discorso sull'importanza di avere libertà per un Protagonista. Tutti erano a conoscenza del fatto che non si potesse tenere a lungo il Protagonista lontano dai guai. Rinchiudermi in questo posto avrebbe solo reso le cose più complicate per loro.

«Artemide che animale è?», continuai.
«Lei è la civetta.»
«Avrei detto il cervo.», dissi pensierosa a bassa voce.
«Non capisco», mormorò confusa Ishtar.

«Fa niente, non me lo ricordo già più. Dimentica.», risposi gesticolando per sviare il discorso. «Dove ce l'ha il tatuaggio?»
«Se non sbaglio è sulla gamba.»
«Non gliel'ho mai visto addosso prima.», riflettei.

«È un po' più in alto. Magari i vestiti lo nascondevano.», raccontò Ishtar ridacchiando. «Hai già conosciuto Thor?»
«Un cuoco davvero simpatico. Ha un insulto pronto per chiunque.», commentai.

«Non è colpa sua. Hai visto il suo aspetto, no?», si fece seria. «Le persone così vanno rispettate. Pensa che beve ogni notte fino a svenire pur di scordarsi di avere i capelli rossi.»

«I capelli rossi?», ripetei confusa. Non capendo in quale norma sociale non scritta fossi incappata.
«Sì, è molto sensibile su questo argomento.», proseguì la ragazza annuendo. «Oh, ma tu guarda, siamo arrivate!»

Si fermò davanti a una porta con il pomello luccicante, nel quale potevo vedere riflessi il corridoio e le nostre figure. Su quella porta color cielo c'era una targhetta placcata d'argento. Osservai il nome inciso al suo interno, "Dr. Anubi".
Ishtar bussò con forza, chiamando a gran voce il dottore, che ci mise poco ad arrivare. La porta venne aperta e mi si parò davanti una strana figura.

Era un alto uomo dai capelli color lavanda raccolti in una coda, e gli occhi magenta che spuntavano da dietro un paio di squadrati occhiali da vista. Indossava un lungo camice da dottore, una mascherina bianca sul volto e un paio di guanti turchesi in lattice.
La cosa che certamente mi colpì di più di quella persona fu il sangue che gli colava sul camice e il bisturi che teneva alzato pericolosamente verso di noi.

«Salve, Dottor Anubi», lo salutò Ishtar.
«Salve a voi, piccole cavie da laboratorio.», rispose lui sorridendo da sotto la mascherina.

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