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Il goblin si avvicinò alla grossa cassa vicino a cui ero nascosta. Emanava un forte odore di qualcosa andato a male e di feci. Io trattenni il respiro e rimasi immobile cercando di capire cosa avrebbe fatto. Arrivato alla cassa l'afferro con entrambe le sporche mani e si rovesciò addosso il suo contenuto.

Un vomitevole olezzo di putrido arrivò fino alle mie narici. Trattenni la bile che premeva lungo la mia gola per fuoriuscire.
Sotto i miei occhi si presentò una scena disgustosa. Parte del pavimento di fronte a me si trovava ora immerso in una gelatinosa brodaglia rossa dall'odore ferroso. Immerse in esso emergevano parti del corpo umane sul punto di andare in putrefazione.

Gli altri goblin lo videro e gli saltarono addosso per avere un pezzo di quella marcia carne, ma nel farlo lasciarono andare il drago. Esso si liberò senza esitazione dalle catene, e iniziò a bruciare i mostri con le sue intense fiamme ardenti di rabbia.

Nel panico mi alzai in piedi e nel farlo schiacciai senza volerlo con la punta dello stivale un bulbo oculare semi ricoperto di sangue. Nella confusione un goblin mi vide e cercò di afferrarmi. Con un salto evitai le sue lunghe dita, e presi scappare nella direzione da cui i mostri erano arrivati.

Scavalcai la grossa coda del drago, che si agitava contro le pareti del salone come una frusta. Corsi fino a un ascensore e senza pensarci due volte schiacciai il primo pulsante che trovai all'interno. Le porte si richiusero lentamente e l'ascensore iniziò a salire.
Il calore prodotto dalle fiamme e l'odore di quei mostri carbonizzati si disperse nella grande e fredda cabina a motore.

Mi guardai intorno, era molto spazioso. C'erano due porte numerate "1" e "2", e una piccola botola sulla parete vicino ai pulsanti. Quando l'ascensore si fermò le porte non si aprirono, provai a muoverne una, ma non c'era niente da fare.

A quel punto una voce acuta rimbalzò dolcemente sulle pareti di metallo. «È inutile che ci provi, per aprirne una la devi chiamare.»
Mi guardai attorno, ma non vidi nessuno eccetto me in quello spazio.
«Sono qui dentro», continuò la vocina.

All'inizio pensai che la mia voce interiore fosse andata in tilt, poi mi accorsi che la piccola voce proveniva da dentro la botola. Mi ci avvicinai e la aprii. All'interno trovai un minuscolo attico a cinque stelle, con divano, televisione e vista sulla città.
In mezzo alla stanzetta sedeva un topolino bianco in divisa rossa da facchino, che mi guardava con i suoi piccoli occhietti neri.

«Salve», disse il topolino.
Ed io, che ero ancora sorpresa per il fatto che pur essendo chiusi dentro un ascensore lui avesse una vista sull'intera città, risposi senza pensarci al saluto. Poi mi ricordai che ero inseguita dai mostri e che stavo salutando un topo.

«Come faccio ad aprire la porta?», domandai ignorando il suo aspetto.
«Ti basta dire il numero scritto sopra e lei si aprirà da sola.», spiegò l'animale.

Alzai lo sguardo al di sopra di quella da cui prima ero entrata, c'era inciso il numero "1".
«Uno», pronunciai ad alta voce.

La porta si aprì mostrando un lungo corridoio illuminato da luci fredde. Titubante uscii dall'ascensore, le cui porte si richiusero dietro di me, ma non prima che il topolino potesse dire «Io ti aspetterò qui se vorrai tornare.»

Camminai per il corridoio bianco pieno di grigie porte di metallo numerate.
Arrivata alla fine, però, mi resi conto che non c'era alcuna via d'uscita, neanche delle scale d'emergenza.
Tornai indietro. Ero arrabbiata, il topolino avrebbe almeno potuto avvisarmi che non c'era un'uscita su quel piano. D'altro canto io non avevo detto niente per fargli intuire quale fosse il mio proposito in quel palazzo.

Avevo ormai raggiunto la porta targata "222" quando vidi quella davanti a me aprirsi. Ne uscirono tre ragazzi, due maschi e una femmina. Appena mi videro urlarono per lo spavento, ma poi si resero conto che non li stavo attaccando, e quindi a fatica smisero di gridare.

«Chi sei?», chiese uno dei due ragazzi.
Ma prima che potessi avere il tempo di fare una presentazione l'altro ragazzo rispose al posto mio. «È il Protagonista, l'ho vista alla festa di prima che parlava con quel Fifone.»

«Ah ok, allora siamo a posto. Ci tirerà fuori lei da qui.», disse sollevata la ragazza. «Il mio nome è Rebecca, e il tuo?»
«Ester», risposi.
«Bene, Ester, devi ritrovare il mio amico scomparso, dare fuoco all'edificio per uccidere i mostri e portarci vivi fuori da qui.»

Mi sentii come se mi trovassi all'interno di un videogioco e stessi parlando con un NPC che assegna le missioni da compiere in quell'avventura. Sfortuna per me che quella fosse una missione secondaria che avrei benissimo potuto evitare se solo non avessi interagito nel campo di quel personaggio.

«Perché mai dovrei farlo?», chiesi scocciata.
«Perché altrimenti ci mettiamo a urlare che tu sei qui e farai la stessa fine del Fifone di prima.», spiegò lei sorridendo.

«Ed esattamente che fine avrebbe fatto?», azzardai.
«Perché non vai dall'altro lato del palazzo e glielo chiedi ai suoi resti?»

Ci dividemmo in coppie seguendo lo stupido consiglio dato da uno dei ragazzi e cominciammo la ricerca dell'amico che, non si sa come, era sparito non appena messo piede su quel piano.

Finii in coppia con il ragazzo che dava l'impressione di essere il più irritante fra i due maschi. Aveva i capelli biondi tirati in dietro con una grande quantità di gel. Indossava il giubbotto di una qualche squadra da baseball, che teneva aperto per mostrare il petto nudo. Osservandolo si poteva dedurre che si trattasse di uno Stupido, e non solo per il suo strano modo di vestirsi, ma anche per come ci provava sfacciatamente con me.
Dopo l'ennesima frecciatina da parte sua sul mio ormai aderente vestito decisi di allontanarmi da lui e andare a fingere di cercare il loro compagno da sola.

Fantastico, pensai, adesso dovevo pure aiutare degli esseri fastidiosi a ritrovare il loro amico. Meglio di così non poteva andare.
Ma avevo parlato troppo presto, il peggio si presentò sotto forma di urlo femminile.
Uscii dalla stanza in cui stavo cercando e, contrariamente a ogni mio principio, mi diressi correndo verso quella da cui proveniva l'urlo.

Curiosamente le stanze non erano chiuse a chiave, così bastava spingere la maniglia per entrare, e ognuna di esse era numerata di modo da non poterle confondere. Ma ovviamente tra tutte le stanze che c'erano, Rebecca aveva scelto proprio quella rovinata, senza alcun numero e con sopra degli evidenti graffi.

Lei si trovava sulla soglia e guardava dentro terrorizzata. Mi sporsi anch'io e ciò che vidi fu molto prevedibile. Al centro si stagliava uno strano mostro verdastro, composto essenzialmente da un enorme corpo da larva, due bracci meccanici gialli, e occhi come fari rossi. Tra la doppia fila di fauci aveva un braccio, e teneva il resto del corpo senza testa fermo con le chele meccaniche. Stava voracemente divorando quello che una volta doveva essere stato l'amico di Rebecca.

Quel mostro, di cui adesso mi sfugge nome, si girò verso di noi e lasciò cadere il corpo della sua vittima a terra. Afferrai la ragazza per il braccio e cominciai a correre verso l'ascensore. Si unirono anche gli altri due, terrorizzati dall'apparizione della creatura mostruosa.

Essa, o esso, era uscita dalla sua stanza dando inizio a un inseguimento dai risvolti raccapriccianti. La sua enorme mole strisciava a terra, la coda sbatteva da tutte le parti, le sue tenaglie schioccavano verso di noi. Emanava un tremendo fetore di uova marce e perdeva una specie di bava gialla dalla bocca. Ma la cosa più terrificante era il suo verso, sembrava poter copiare perfettamente la voce delle persone, e in questo momento stava imitando l'urlo di Rebecca.

Corsi verso il muro dell'ascensore e premetti il pulsante per chiamarlo.
Subito le porte si aprirono e rapidi entrammo dentro cliccando ripetutamente un altro pulsante.
Il mezzo si richiuse appena in tempo, e sentimmo il mostro sbatterci contro. Poi l'ascensore prese a ridiscendere al primo piano.

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