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Morte. Fin da piccola mi sono sempre domandata che cosa ci fosse dopo la morte. La mia peggiore paura è sempre stata quella di non poter morire.

«Perché?», vi starete sicuramente chiedendo.
Perché la morte mi affascina, ma allo stesso tempo voglio prima imparare tutto dalla vita per essere preparata a quello che potrei trovare. Per questo voglio vivere, ma non in eterno, perché il farlo sarebbe una tortura inimmaginabile.

Vivere, certo, non sopravvivere. Io fino a ora ho continuato a sopravvivere, non ho mai vissuto davvero, ma per qualche assurdo motivo ho comunque un forte attaccamento alla vita.
Le parole che ho letto sul Palazzo di Giustizia mi hanno fatto riflettere a lungo, perché scrivere proprio "Voglio vivere"?
In questo mondo vivere è impossibile per un umano, e questo è ingiusto. La vita non è corretta verso noi abitanti di questo sudicio pianeta abbandonato.

Ogni mattina mi sveglio, con mio sommo stupore, e fisso il soffitto nella speranza di trovare una soluzione a questa mia inutile sofferenza. Poi mi alzo e mi preparo ad affrontare di nuovo il mondo esterno che tenta invano di negare l'evidenza. Siamo tutti destinati a morire prima o poi, ma ciò non ci impedisce di sperare che il domani sia un luogo migliore di oggi.
Quindi anch'io vado avanti nell'illusione, navigo in questa bugia, pur sapendo che un giorno mi ritroverò ad affondare e annegherò nel mare che io stessa ho creato.

Ora, riprendiamo da dove avevamo lasciato prima che i miei pensieri mi interrompessero.
Il coltello si abbassò con forza sulla delicata carne umana, penetrandola pesantemente fino a toccare l'osso.
Paura, dolore, felicità e morte. Queste sensazioni attraversarono il volto dell'assassino dopo aver compiuto l'atto più estremo ed essersi accoltellato da solo.

L'uomo mi si accasciò addosso dopo l'ultimo respiro e io lo spinsi via di peso. Rimasi ferma a osservare i suoi occhi ormai privi di vita. Il sangue che gli usciva dalla ferita stava macchiando dello stesso colore del vino gli abiti, colando lentamente sul coltello e le mani callose.
Poi mi ricordai dell'uccello, voltai lo sguardo, ma esso era già sparito.

«Aaaaah!», gridò qualcuno per poi cadere con un tonfo dietro di me.
Questo era il professor Scudiero, che sveniva dopo aver visto in che condizioni riversava la stanza dove avrebbe dovuto fare lezione.

Lui è un Fifone, cioè una di quelle persone che appena vedono qualcosa di minimamente spaventoso scappano urlando oppure si pietrificano e svengono. Solitamente vengono uccise per aver fatto troppo rumore in presenza del mostro.

La polizia sarebbe arrivata di lì a momenti, e con loro tutte le tracce sarebbero state cancellate. Dovevo sbrigarmi a capire qualcosa di quella storia.
Perché si era ucciso se aveva avuto la possibilità di accoltellare me?
Perché si era spaventato per l'uccello?
Dove aveva preso l'arma?

Frugai tra le sue tasche e trovai un portafoglio con all'interno pochi spiccioli e tante tessere. Una di queste mi colpì in particolar modo per il colore giallo intenso. La afferrai e cercai di decifrare il contenuto al suo interno, nonostante le lettere fossero di un colore piuttosto simile a quello della tessera stessa.

Si trattava di un abbonamento al club dei mostri del quartiere... Nessuna creatura intelligente sarebbe mai andata per strada a uccidere con il rischio di venire individuata ogni volta che un poliziotto avesse richiesto dei documenti, riflettei mascherando la sorpresa che quella scoperta aveva portato.

Si chiamava Edward Grysae ed era classificato come assassino di basso rango. La sua foto sulla tessera sembrava recente, il che mi fece pensare che fosse un cliente nuovo di quel club. Gliela rimisi in tasca e osservai l'arma gialla che aveva ancora nello stomaco. Sopra di essa c'era una scritta, ma dovetti sforzare gli occhi per riuscire a leggerla.

«"MADE IN CH..." Ehm no», mi corressi. «"MADE IN HELL".»

Hell è una famosissima località del sottosuolo abitata da soli mostri. Nessun umano è mai riuscito a entrarci, o almeno, nessun umano vivo e non mostro era mai riuscito a metterci piede.

A quanto pareva qui nei dintorni c'era un ingresso. E, a giudicare dalla qualità del manico dell'arma, nonostante fosse stata affidata a una nullità come Edward, doveva portare a una città importante.
Quasi mi stupì il fatto che la scuola fosse stata fondata proprio in quel posto, o forse erano stati i mostri a fare una città lì per avere così una ricca riserva di caccia. Probabilmente non solo la scuola, ma anche l'intera città di Lipton, luogo in cui abitavo, era soggetta a quel vicino pericolo.

Tornando alla storia principale: la mia teoria era che l'assassino fosse stato incaricato dall'uccello bianco di uccidermi, ma non essendoci riuscito era stato impossessato e costretto al suicidio.
Quindi, seguendo questo ragionamento, l'uccello mi voleva morta, ma perché? Non mi pareva di aver mai fatto un torto a un gufo, o civetta che fosse, a meno che quella non fosse la sua vera forma, in quel caso poteva essere chiunque.

Una voce nella testa mi ricordò che, effettivamente, qualsiasi mostro mi voleva morta, e che il mio precedente ragionamento non aveva senso.

Uscii dall'aula scavalcando il corpo del professore e gli strumenti che erano stati gettati a terra, per dirigermi poi verso il corridoio. Forse sarebbe stato meglio tornare a casa per oggi, riflettei.
Poi mi ricordai del sangue, ne avevo i vestiti ricoperti a causa di quello stupido mostro. Non potevo andare in giro con i vestiti grondanti di quello sporco liquido rossastro, mi avrebbero subito arrestato e accusato nuovamente di omicidio.

Tornai a passi veloci in palestra, entrai nello spogliatoio e mi cambiai gli abiti stando attenta a non essere vista da nessuno. Indossai altri indumenti che mi ero portata di ricambio: una maglietta azzurra con su scritto "I love books", e un altro paio di pantaloni neri.

Provai inutilmente a lavare dai vestiti il sangue con l'acqua del rubinetto, ma oramai erano rovinati perciò decisi di buttarli lì nel cestino dello spogliatoio femminile. Nessuno si sarebbe sorpreso a vedere del sangue in quel luogo.
Fortunatamente le scarpe non erano troppo sporche, così le rimisi nella sacchetta nera e indossai gli stivali che avevo nascosto sotto la panchina.

I miei compagni erano probabilmente già usciti dalla scuola, oppure stavano ancora rinchiusi in qualche aula ad aspettare i rappresentanti della pubblica sicurezza.
Uscii dalla palestra con la cartella sulle spalle e attraversai il cortile della scuola. Superai con molta attenzione l'albero di ginkgo biloba che con le sue piccole bacche rosa e violette, spesso rimaste attaccate alle suole delle scarpe dei poveri sfortunati che non erano abbastanza bravi a schivarle, lasciava addosso un forte e disgustoso odore.
Feci lo slalom tra quelle piccole bombe puzzolenti, saltellando su di un piede solo.

Nel mentre la polizia aveva circondato il cancello della scuola e non fece neanche caso a me che sgattaiolavo fuori dall'uscita secondaria.
Le loro uniformi blu e i distintivi dorati non incutevano paura nemmeno alla più sciocca delle creature. Le loro pistole nere sono solitamente la parte meno apprezzata dai mostri, le sputano sempre fuori dopo averli ingoiati.
Le foglie leggermente bagnate si erano ora appiccicate sotto le marroni scarpe, attaccandosi alle ruote delle auto al loro passaggio.

Andai alla fermata dell'autobus e mi sedetti ad aspettare e pensare.
Voi di certo vi aspetterete che io mi metta a cercare un modo per entrare in Hell, scoprire chi mi vuole uccidere e fermarlo.
Sbagliato. Io non farò assolutamente nulla se non tornare a casa e barricarmici dentro.
In tutto questo tempo ho imparato che se sei un Protagonista non ha senso cercare i guai, tanto prima o poi saranno loro ad arrivare, e allora mi farò trovare preparata.

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