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Era un momento molto inappropriato, ma il mio stomaco aveva iniziato a brontolare rumorosamente. Chissà perché poi ho sempre fame nei momenti sbagliati, pensai tenendomi la pancia con la mano libera.

Feci una veloce sosta nella cucina per cercare qualcosa da mangiare. Ogni mensola della stanza era almeno parzialmente occupata da alcolici. Il cestino straripava di bottiglie di ogni genere di bevanda forte.
Aprii alcuni armadietti, trovando solo pacchi di pasta e ortaggi che andavano cucinati. In un cassetto vidi una boccetta di sonnifero e la scatolina di un farmaco chiuso.

Mentre addentavo una focaccina notai una mela gialla abbandonata sul tavolo.
Mi venne in mente lo strano consiglio del cannibale, quello di portarmi sempre dietro delle mele, e la reazione di Tiwaz quando glie l'avevo tirata contro. Ipotizzai che il frutto potesse essere una specie di arma da usare contro i mostri. Forse avremmo potuto costruire delle armature e delle armi in mela per combattere.

«Che idea stupida.», mi rimbeccò la voce. «Perché mai tutti i mostri dovrebbero avere paura di un frutto così buono?»
Aveva ragione, era un'idea stupida e non avevo bisogno di lui per capirlo. Se sconfiggere i mostri fosse stato così facile lo avrebbero già scoperto tempo fa.

Mi affrettai ad arrivare zoppicando in palestra, sperando che le liti più intense si fossero già concluse. Quando entrai nella stanza mi ritrovai ad assistere a un'intensa partita a carte. Sembrava che si fossero tutti dimenticati del problema principale, cioè me.
Mi avvicinai lentamente a un Artemide intenta a giocare una partita contro il dottor Anubi. Si accorse di me solo quando le sussurrai a un orecchio che Ishtar si era uccisa.

«SUICIDATA?!», sbraitò stupita.

Tutti nella sala si girarono verso di noi, fiutando l'odore di una nuova disputa.
Mi ritrovai in poco tempo a scappare dalla setta di seguaci guidati direttamente da Thor, il loro capo. Nel corteo era compreso anche il cane, Lucky, che sbavava sul pavimento facendo scivolare a terra gli altri.

A quanto pareva avevo di nuovo sottovalutato la loro stupidità e il loro singolare modo di ragionare. Stringevo la spada a me, ma l'utilizzo mi avrebbe procurato solo molti più guai. In verità non avevo ancora ben capito il perché quell'arma non mi avesse ancora ucciso. Ipotizzai che per morire dovessi prima usarla, o per davvero non avrebbe fatto del male a un Protagonista; il che non spiegava la fine che aveva fatto Hester.

La luce del sole pomeridiano mi accecò per alcuni attimi e avendo già usufruito abbastanza della mia dose di fortuna giornaliera andai a sbattere contro qualcosa di morbido. Quel qualcosa, scoprii quando riacquistai la vista, era un qualcuno.
Grandi corna da cervo su una testa dal mento molto appuntito. I lunghi capelli rossicci nascondevano con una frangetta gli occhi. La parte inferiore del corpo era ricoperta da una folta peluria scura, e al posto dei piedi aveva un paio di zoccoli.

«Salve, popolo di umani. Io sono Messer Nap e sono qui per dare inizio alla centoquarantaquattresima crociata indetta dai mostri.», salutò. Si prese una piccola pausa per osservare da dietro la tendina dei capelli i nostri volti basiti, poi riprese a parlare con gesti teatrali. «Se non sapete le regole... A mezzanotte precisa un esercito di creature mostruose vi attaccherà e ucciderà. Voi dovrete solo tentare di difendervi, e morire penosamente schiacciati dalle nostre forze. Tutto chiaro?»

«Cosa minchia ha appena detto?!», esclamò qualcuno, evidentemente l'unica persona che aveva trovato abbastanza forza per parlare.

«Mezzanotte, voi morite, noi vinciamo.», ripeté il mostro prima di girarsi e prendere a camminare verso la fine delle rovine. Poi sembrò come ripensarci e si girò aggiungendo: «Ah, e non provate a scappare. Fidatevi, non funzionerebbe.»

La stessa persona che prima aveva parlato doveva aver deciso che tutto questo non gli andava molto a genio. Scagliò quindi un'ascia contro il mostro. Sfortunatamente per lui Nap sapeva schivare le armi mal lanciate e anche rispedirle indietro al loro proprietario con molta precisione. Thor si ritrovò così senza più il braccio destro e un sanguinante moncherino attaccato alla spalla che diede vita alla maggior parte delle imprecazioni che pronunciò quel pomeriggio.

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