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Agni si era piegato a coccolare il suo rettile, e ogni tanto gli sussurrava paroline dolci di conforto. Durante la mia assenza aveva cambiato gli abiti e si era legato i lunghi capelli bianchi in una coda sulla testa.

Il coccodrillo si era avvicinato per farsi accarezzare il dorso dalla mano tesa dell'uomo, lasciandomi così libera dal pericolo. Più che un feroce rettile adesso pareva tanto un grosso e pericoloso cane squamoso.

«Adesso puoi pure scendere.», mi informò Agni.
Esitando allungai un piede verso il terreno, ma il coccodrillo si voltò di colpo verso di me, e io, nonostante la lontananza dall'animale, lo ritirai di scatto.

«Scusalo», disse, sempre rivolgendosi a me con voce tranquilla e pacifica, tenendo fermo il coccodrillo con una mano. «Il mio Loricati non è abituato a vedere estranei.»
«Scommetto che di solito se li mangia prima ancora di poterli vedere.», borbottai tremante mentre ritentavo l'impresa prima fallita di scendere da quella scomoda statua.

«Devo anch'io scusarmi per averti lasciata sola», continuò Agni. «ma dovevo proprio cambiarmi gli abiti, erano troppo bagnati.»

Cercai di tenere a freno il flusso di pensieri che mi affollava il cervello.
Domande di cui non avevo bisogno di una risposta, ma che pretendevo di sentire.
Avevo capito all'istante che c'era qualcosa che non andava. Quell'uomo era troppo sicuro nel salire i tanti gradini dell'ingresso illuminati dal sole. Persino io avevo dovuto socchiudere gli occhi a quel riflesso accecante.

Si era inoltre fermato perfettamente davanti al portone d'ingresso, senza bisogno di usare il bastone, inciampando così nel secchio d'acqua. Una volta entrati non aveva avuto bisogno di guardarsi intorno. Per non parlare del fatto che era sparito così rapidamente, come sapendo già dove andare.

Avevo cercato di giustificarlo fino ad ora, ma nel profondo sapevo già la verità ancora prima di iniziare a cercarlo. Non so perché ci rimasi tanto male nel venirne a conoscenza. Pensai che sarebbe stato meglio se Agni fosse stato catturato e dato in pasto al coccodrillo piuttosto che scoprire che ci stava tradendo.

«Allora?», domandai impaziente.
«Allora cosa?», ripeté l'uomo con voce innocente.
«Hai qualcosa di importante che devi dirmi?», insistetti rimanendo sul vago.

«Oh, sì.», esclamò Agni portandosi la mano alla fronte come se improvvisamente avesse ricordato qualcosa. «Se hai fame puoi pure prendere della frutta. Tranquilla, non è avvelenata.»
«Non è questo che volevo sapere.», lo informai, più scocciata dal fatto che mi avesse offerto solo della frutta per saziarmi che del suo modo di evitare il discorso.

«Oh. Come mi stanno questi vestiti?», domandò facendo lentamente un giro su sé stesso e mostrandomi così gli abiti da sacerdote, così simili a quelli che stavo indossando. Con l'eccezione che i suoi non avevano quella ridicola gonna in più. Portava inoltre una lunga fascia rosa appoggiata alle spalle, che qualcosa mi diceva avesse a che fare con la carica religiosa.

«Intendevo qualcosa a proposito del tuo ruolo in questa faccenda», insistetti esasperata da quel suo modo di fare.
«Non capisco quello che intendi.», rispose confuso.

«Tu chi sei veramente?!», mi arresi.
«Ah», sospirò, come se fino ad ora non avesse davvero capito le mie precedenti allusioni. «il mio nome è Tiwaz III e sono il capo della Chiesa.»

«Ci hai mentito allora!», esclamai stupita dalla sua affermazione, che era stata ammessa prima di quanto normalmente avviene nelle storie.
«No», scosse la testa.

«Sì che lo hai fatto!», sbottai.
«No, io non ho mai mentito a nessuno, perché nessuno mi ha mai chiesto chi fossi veramente.», rispose calmo Tiwaz. «Tu più di chiunque altro non puoi dire che io ti abbia mentito. Ricordo bene di averti avvertito di non essere Agni.»

«Tu hai detto solo che hai una seconda personalità. Come potevo sapere chi fossi?!», cercai di giustificarmi, perché sapevo, nonostante quella sua maniera astuta di rigirare la situazione, che io avevo ragione.

«Ho detto di avere dentro un'altra persona, sì, Agni, ma non ho mai detto che fosse lui ad avere il controllo su questo corpo.», continuò con una tranquillità che metteva quasi paura. «A volte ci alterniamo, altre volte prendo solo io il comando finché non ho raggiunto i miei scopi.»

«Quindi per te era solo un gioco? Hai davvero finto di essere un loro alleato?», lo interrogai.
«Il mio non è un semplice gioco. Questa è una missione affidatami direttamente dal divino.», rispose esaltandosi.

«Chissà perché me lo aspettavo.», commentai con voce stanca e divertita. «Voi Fedeli date sempre la colpa alle divinità, non assumete mai le proprie responsabilità. Se ve lo chiedono l'avete fatto per volere di un vostro sconosciuto dio protettore, che vi ha preso in simpatia e vi ha scelto come portatore di pace e dispensatore del suo culto.»

«Osi prendermi in giro?», sputò perdendo un po' della maschera di calma che indossava. «Davvero? Sei così sfrontata!»
«Dico solo le cose come stanno, forse esagero un po' ma ciò che conta è che è vero.», continuai.

«Tu menti. Lui mi ha scelto tra mille altri Fedeli. Solo io posso avere l'onore di compiere il suo volere.», recitò.
«Il suo volere?», sbottai con fare beffardo. «Sentiamo allora di che volere si tratta.»

«Devo portare a lui tutti i Protagonisti.», rispose facendosi improvvisamente più serio.
«Uccidermi? Scontato!», esclamai di rimando, spruzzando veleno da quell'affermazione.

«Tu non sai cosa stai facendo.», minacciò facendosi più freddo. «Continuando così finiresti solo per creare molti più problemi di quanti tu non ne abbia mai fatto finora.»

«In che modo potrei creare problemi?», domandai in modo arrogante. «Vivendo?»
Ormai non mi importava più molto della missione di Marte o di darmi alla fuga. La faccenda stava prendendo una piega più personale. Volevo sapere.

«Se muore il Protagonista la storia finisce.», spiegò l'uomo. «Ma se il Protagonista non esiste allora non è mai iniziata.»
Restai in silenzio a rimuginare per un po'. Poi, esitante, vedendo che lui non faceva ancora niente, chiesi: «Perché non mi hai ancora ucciso?»

Non riuscii mai a sentire la sua risposta, ma probabilmente assomigliava a qualcosa del tipo: «Volevo affrontarti in uno scontro alla pari», oppure «Non lo so neanche io. Non è forse una legge di noi cattivi cercare di uccidervi solo all'ultimo?».

La sua voce fu coperta da un forte rumore proveniente dall'alto, subito seguito da una pioggia di vetrini trasparenti.
Mi tolsi velocemente da lì, lanciandomi di peso sotto al tavolo. Tiwaz si spostò appena in tempo, andando a nascondersi dietro a un salice piangente. Il coccodrillo rimase stordito per alcuni secondi, poi zampettò frettolosamente fuori dalla serra, tornando dai suoi compagni non più tanto addormentati.

Dal soffitto scesero tre scure figure incappucciate che atterrarono con l'aiuto di un grande deltaplano nero. Li osservai bene e mi accorsi con mio stupore che si trattava di Artemide, Marte e Vulcano.

Lei teneva in mano il grande arco, nella faretra le sue frecce appuntite e in testa delle nere orecchie da gatto finte. Il Survivalista, per qualche assurdo motivo, indossava una bianca maschera da medico della peste e stava in bilico abbracciato alla schiena di Marte. Quest'ultimo stringeva nella mano robotica una clessidra d'argento e contemporaneamente cercava di stare in equilibrio sul deltaplano.

Quando toccarono terra rotolarono su sé stessi, incespicando e rovinando completamente l'entrata in scena. Dopo pochi secondi, e proteste da parte dell'Esperto d'armi che era stato brutalmente schiacciato dagli altri due, si rimisero in piedi come se niente fosse e tornarono ad avere lo stesso sguardo fiero di prima.

Marte sollevò la clessidra e la tenne dritta davanti a sé concludendo così l'entrata con una tipica frase ad effetto. «La sabbia è finita. La tua ora è giunta».

Voglio vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora