Subito mi resi conto dell'errore fatto. Avevo infranto il settimo punto della lista che Artemide mi aveva raccomandato di seguire alla lettera in presenza di Marte.
In testa mi rimbombò la sua voce che recitava: «Settimo punto: Non parlare mai di amore o di famiglia in sua presenza. Ha avuto un passato difficile e non credo che gradirebbe sentirne parlare.»Non che l'avessi infranto proprio del tutto, dato che non avevo parlato di amore o di famiglia, ma avevo fatto peggio costringendolo a mostrare l'immagine di quella famiglia di cui non voleva neanche sentire parlare e che forse avrebbe solo preferito dimenticare.
«Allora, ti va abbastanza bene come identikit?», sbottò Marte, interrompendo i miei pensieri. «Riuscirai a trovare la collana ora che l'hai vista?»
«Ci proverò.», balbettai tenendo gli occhi bassi. «È comunque difficile rintracciare una piccola collana in una grande città.»
La collana, da quello che riuscivo a vedere nella foto, sembrava solo una semplice cordicina con un grosso cristallo dalla forma allungata e appuntita. La indossava la donna, che intuii fosse la moglie di Marte, a giudicare dagli anelli d'oro che avevano entrambi alle dita.
La mia attenzione fu rapita da quella figura che teneva in braccio, un giovane bambino di sì e no tre anni. La donna era di carnagione più scura. Corti capelli tinti di rosso le arrivavano quasi alle spalle. I suoi occhi erano di un colore simile all'ambra, circondati da un pesante trucco nero. Nella foto indossava una magliettina nera con una scollatura a V e una scritta bianca che recitava in stampatello le parole "AMO ET ODI".
Marte chiuse il pendaglio e lo indossò nuovamente attorno al collo, nascondendolo sotto ai vestiti. Attaccati al cordino rosso del pendaglio tintinnarono due anelli d'oro.
«Andiamo a cercarla.», disse prima di girarsi e proseguire per un'altra stradina.Lo seguimmo in silenzio. Sentivo il peso dello sguardo di Artemide e Vulcano che stavano riversando su di me la colpa per l'accaduto, come se anche loro non avessero contributo. Mi distanziai da loro e raggiunsi l'Esperto d'armi.
«Hai idea di dove possa essere?», domandai quando gli fui abbastanza vicina.
«In questa città.», rispose lui guardando dritto davanti a sé.«Riformulo la domanda. Hai idea di chi la possa avere?», insistetti nel tono più gentile che mi era possibile rivolgergli.
«Sì, un'idea ce l'ho.», si arrese l'uomo, mettendo una mano sulla pistola ancora carica. «Se c'è qualcuno che può averla presa è quel vecchio mattone consumato.»Non capivo se parlasse sul serio oppure se stesse delirando, come aveva detto Artemide fosse suo solito. Scoprii cosa intendesse solo dopo aver camminato per un'altra ventina di minuti lungo quelle strette viette della città.
Ci fermammo davanti a un negozietto buio e dall'aria abbandonata. L'insegna nera aveva come unica scritta una grossa "X" intagliata sopra malamente. Le finestre avevano le inferrate ed erano chiuse dall'interno con travi di legno storte. La porta d'ingresso piena di tagli era nera e si apriva girando un pomello di ferro arrugginito. A Marte bastò tirarle un calcio ed essa si spalancò di colpo facendo entrare nel negozio una folata di vento che mosse tutte le pagine di giornale sparse sul pavimento.
«Chiudete la porta!», tuonò una voce.
L'uomo entrò nel negozio seguito da Artemide e Vulcano. Io rimasi ancora un attimo a guardare la stradina vuota, poi al secondo richiamo della voce entrai e chiusi la porta dietro di me.L'interno del negozio era buio e pieno di oggetti illuminati solo dalla luce di una flebile candela appoggiata alla scrivania. Scaffali pieni di cianfrusaglie, strumenti, libri e gioielli. Su un piccolo piedistallo era posizionata la macabra scultura di una mano mezza putrefatta che stringeva tra le pallide ossa delle falangi una rosa. Sperai che quella fosse una semplice statua, ma almeno non ebbi il tempo di avere conferma del contrario.
Ci avvicinammo lentamente ed esitando alla chiara e delicata luce.
Cercai con lo sguardo da chi provenisse la voce udita poco prima, ma senza alcun successo. In fondo alla stanza c'era un manichino che inizialmente scambiai per una persona o per un cadavere. Potevo vedere anche una culla azzurra con un bambolotto all'interno e un vecchio ombrello nero appeso su di un filo che attraversava tutta la stanza.Marte si spostò davanti a noi e si mise a parlare come se niente fosse. «Allora, vecchio mio, come stai? Non che mi importi davvero in realtà, sono qui solo per riprendermi un'oggetto mio di diritto.»
Mi sporsi oltre a lui per vedere a chi si stava rivolgendo, ma quello che vidi mi confermò la teoria sull'instabilità mentale di Marte. Stava letteralmente parlando con un blocco di cemento grigio posato su una poltrona.
Mi tirai in dietro e lanciai uno sguardo confuso ad Artemide, ma anche lei guardava stupita Vulcano in cerca di risposte.«Allora? Non vuoi dire niente?», continuò Marte rivolto al sasso. «Vorrà dire che dovrò farti parlare con le cattive.»
L'uomo estrasse una pistola e la puntò contro la pietra grigia. Adesso anche il Survivalista era preoccupato e cercava le parole giuste per spiegare a Marte che i sassi non parlano. Rimanemmo così tutti sconvolti nel sentire il blocco di pietra parlare e rispondere a Marte.
«Calmo, calmo», si agitò spaventata la pietra. «Metti giù quell'arma o farai male a qualcuno.»
«Qui l'unico a farsi male sarai tu se non mi dici subito dove si trova la mia collana!», esclamò l'Esperto d'armi, stringendo con forza la sigaretta in bocca.
«Collana?», domandò confuso l'essere. «Io non ho nessuna tua collana.»Osservai quel blocco di pietra parlante. La sua faccia sembrava fatta di cemento fresco, aveva delle grosse labbra carnose e un enorme naso smussato. Gli occhi erano aperti a fessura, poiché schiacciati troppo dal peso del grasso che si trovava al posto delle sopracciglia. Non aveva orecchie, ma solo due buchi ai lati del consumato rettangolo che aveva per testa.
Il corpo stava nascosto dietro al tavolo, coperto da un grande cappotto blu. Notai uno strano rigonfiamento sul suo corpo proprio dove si trovava la schiena, una gobba probabilmente.«La collana! La SUA intendo!», sbraitò Marte avvicinando sempre di più la pistola al suo bersaglio.
«Ah, adesso capisco. Sì, capisco di cosa parli, me la ricordo bene.», farfugliò l'altro. «No, non ce l'ho più.»L'uomo saltò furiosamente sul tavolo e afferrò la testa di quell'essere premendogli la pistola alla fronte.
«Dove è ora?!», domandò nervosamente Marte scandendo bene tutte le parole.
«N-non lo so.», rispose lui balbettando.«Oh, tu non lo sai? TU NON LO SAI?!», ripeté arrabbiato, lasciando cadere la sigaretta sul tavolo nella foga del momento. «Tu sai ogni singola cosa che succede alla tua merce!»
«Riflettici bene Marte, se non fossi così terrorizzato da quella persona ti avrei già detto tutto.», si giustificò la creatura.«Quella persona? Di chi stai parlando?», insistette.
«Non posso dirlo, lo verrebbe a sapere e allora sarebbero guai per me.», spiegò lui alzando le mani e spalancando le grasse dita dalle unghie storte.«Sei già nei guai!», lo minacciò con freddezza Marte, mettendo un dito sul grilletto. «Ti ho lasciato in vita fino ad ora solo perché eri utile, ma se non lo sei più allora posso porre fine alla tua inutile esistenza da mostro.»
L'essere si passò rapidamente la viscida lingua tra le grosse labbra, riflettendo sul da farsi. Era un mostro, d'altronde, non poteva aspettarsi la minima compassione da parte dell'Esperto d'armi o da uno dei presenti.
«Hai intenzione di dirmelo o preferisci un proiettile calibro nove per diciannove nel cervello?», chiese dolcemente l'uomo scuotendo l'arma come ultimo avvertimento.
«Mai.», rispose l'essere senza esitare.
«La scelta è tua.», concluse Marte premendo con forza la canna sulla testa del mostro di pietra.
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Voglio vivere
HorrorEster è una ragazza che cerca di sopravvivere in un mondo popolato da mostri. Le persone di questa realtà nascono divise in categorie, che non sono altro che stereotipi di personaggi in un horror. Per quanto tutto questo possa sembrare orribile non...