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Sfogliando il dizionario alla voce della lettera "M" potremmo trovare una parola parecchio interessante.

Mostro = Termine usato per indicare una creatura mitica risultante da una contaminazione innaturale di elementi diversi, e tale da suscitare l'orrore o lo stupore.

Essa è la definizione più comunemente usata. Esprime chiaramente e in modo abbastanza semplice il concetto di "mostro", ma, nonostante ciò, io preferisco adottarne una mia.

Mostro = Non importa dove o con chi sei, lui ti troverà.
Non è solo un essere strano,
ma anche un umano.
Non prova pietà o rimorso,
ma solo della fame il morso.
Non ti avvicinare
perché ti farà molto male.
La tua intera vita
per lui è solo una partita.

Sì, anche noi umani siamo mostri; terribili e schifosi mostri affamati di vendetta. Ci nascondiamo tra la gente e fingiamo che vada tutto bene, quando nel profondo stiamo programmando un omicidio. Persino i più buoni di aspetto sono in realtà brutali assassini.
Prendete per esempio i soldati: loro combattono per noi e ci difendono, ma guardati dal punto di vista del nemico sono mostri che uccidono le loro famiglie e gli amici. Ammazzano per noi, certo, ma comunque lo fanno e vengono odiati per questo, e l'odio causa altre guerre e tutto è un loop che non si fermerà mai.

Quindi non sorprendetevi quando vi dirò che il mostro che quel venerdì mattina fece irruzione nella palestra della scuola, altri non era che un essere umano.
Camicia azzurra macchiata, pantaloni sporchi, corti capelli neri attaccati in fronte dal sudore, che scivolava sugli occhi spalancati in un'espressione folle.

La valigetta era sparita e al suo posto nella mano destra stava un lungo coltello da cucina con il manico giallo. Era ancora affannato per la corsa fatta per raggiungermi, e ansimava pesantemente.
L'avevo riconosciuto, era il tipo che mi aveva disturbato sull'autobus. Molto probabilmente una volta percepita la mia presenza non era più riuscito a capire niente e mi aveva seguita.

Il mostro mi cercò con lo sguardo, senza però trovarmi. Ero riuscita a nascondermi dietro la cattedra nel momento in cui le porte si erano spalancate. Lui non riusciva a vedermi, ma poteva sentirmi, e sapeva che ero lì.

Afferrò per il braccio una ragazza che giocava a pallone lì vicino. La sfortunata era la rappresentante di classe. Aveva ottenuto quella carica per il terzo anno di fila, facendo leva sul fatto che avesse il diabete. Aveva perso nelle selezioni per il rappresentante d'istituto, battuta dal ragazzo sordo-muto.

Il mostro, aiutandosi con l'arma, le aprì un buco nello stomaco, sprofondando poi avidamente le dita nel caldo corpo. La ragazza urlò divincolandosi e si agitò gocciolando rosso sangue sul pavimento.

In un attimo si scatenò il pandemonio in palestra. Tutti correvano in ogni direzione in cerca di un'uscita, tranne la professoressa che si dirigeva verso il mostro per chiedergli gentilmente di uscire. Qualcuno doveva fermarla o questa volta si sarebbe fatta molto male.
Velocemente uscii dal mio nascondiglio, la afferrai con forza e la trascinai nella folla che correva verso le aule. Ma non appena ne ebbi la possibilità la consegnai tra le braccia di Lisa e mi diressi dalla parte opposta.

Pensai che con la mia fortuna forse il mostro avrebbe seguito loro e non mi avrebbe notata.
Salii le scale che portavano ai laboratori e in fretta andai a nascondermi nell'armadio del laboratorio di Chimica, rimanendo poi ferma ad ascoltare.

Passi; passi veloci e affannati che si dirigevano verso di me. Si fermarono solo una volta raggiunta l'entrata della fredda aula. Il silenzio fu padrone della stanza per alcuni brevi secondi. Poi si sentì una voce a tratti acuta e affannata.

«RAGAZZIIINAAA», mi chiamò. «Posso sentirti, lo so che sei qui. ESCI FUORII!»
Non risposi. D'altronde non ci tenevo poi così tanto a morire.
«Cosa c'è? Vuoi giocare a nascondino?», domandò lui. «Allora facciamo che se ti trovo TI AMMAZZO! HA HAAHA HAAHAA»

Chimica non è mai stata la mia materia preferita, in tutta la mia famiglia l'unico a capirci qualcosa era mio padre; quindi, non soffrii affatto quando il mostro prese a colpire tutto ciò che gli capitava a tiro. Cosa che mi avrebbe puntualmente infastidito se si fosse trattato di romanzi di avventura.
Caddero molti strumenti di metallo e alcune provette di vetro si infransero al suolo facendo colare a terra le sostanze chimiche che contenevano. Dopo che l'ennesimo contenitore si ruppe al suolo nella stanza tornò il silenzio.

Non avrei mai pensato di morire in un armadio del laboratorio di Chimica della Pervinca, e invece adesso mi trovavo in questa situazione, e sarei morta anche in un modo stupido. Si tratta di una delle prime regole, recitò la voce nella mia testa, "Mai nascondersi in posti che potrebbero essere usati come trappola". L'avevo dimenticato.

I suoi passi si facevano sempre più vicini al mio nascondiglio.
"Io non posso morire qui", continuavo a ripetere come un mantra. Sono sopravvissuta già tante volte in diverse situazioni, ma ogni volta penso sempre che potrebbe essere l'ultima, ed è per questo che non lo è mai.

Mi guardai intorno nello stretto mobile di legno illuminato solo da una piccola fessura nell'anta. Questo è l'armadio che usiamo come magazzino per gli animali impagliati che il preside Acquamarina regala sempre al professor Scudiero.

Il fatto che tra loro ci fosse qualcosa di più del semplice rapporto professionale era stato confermato in una delle tante volte in cui il professore aveva perso i sensi durante una lezione. Per errore aveva dimenticato il telefono incustodito e i miei compagni, da gran curiosi quali sono, sbloccandolo avevano scoperto come schermata home una foto di lui e il preside intenti in un'intensa pomiciata.

Le mie compagne avevano agito come una qualsiasi Antipatica avrebbe fatto, raccontandolo all'intera scuola e scrivendolo su headcover, app molto popolare ultimamente, facendo si che il professore decidesse quasi di dare le dimissioni e abbandonare l'istituto.

Al mio fianco nell'armadio, si trovava un falchetto impagliato, che assomigliava in modo inquietante alla mia ex-insegnante di Tecnica delle medie, la professoressa Schadenfreude, per il modo accusatorio con il quale mi osservava. Era morta appena prima di andare in pensione, quando il soffitto le era caduto addosso durante una mia interrogazione. Io mi ero salvata per un soffio, ma non era stato lo stesso per lei, e ora il suo sguardo mi accusava.

Finalmente trovai lo spray anti-cimici che l'insegnante teneva sempre in caso di un'infestazione, cosa che era del tutto giustificata data la vicinanza con il giardino. Non appena afferrai l'oggetto l'interno dell'armadio si fece improvvisamente buio. Mi voltai verso la fessura, ora occupata da uno scuro occhio marrone che mi fissava.

«Tro-va-ta!», esclamò il mostro.

Le ante dell'armadio si spalancarono e in un lampo gli spruzzai l'anti-cimici in faccia. Lui barcollò all'indietro e io ebbi tutto il tempo di saltargli addosso e immobilizzarlo.
In mano stringeva ancora il coltello che non gli ero riuscita a sottrarre. Si agitava, cercando di liberarsi, e con la mano ancora libera mi imbrattava il viso col sangue della ragazza uccisa.

A tratti sussurrava qualcosa di incomprensibile che suonava come: «Ho fallito... ho fallito... ho fallito...»

Improvvisamente cessò il borbottio e prese a ridere senza più badare al fatto di trovarsi bloccato e in svantaggio. «Uccidimi.», urlò. «TI PREGO UCCIDIMI!»

Ero sconvolta, un assassino voleva che lo uccidessi. Qui qualcosa non andava, pensai. «Perché?», gli chiesi stringendo ancora di più i suoi polsi.

Lui aprì gli occhi, che con mio stupore erano diventati completamente gialli, e con la testa si avvicinò a sussurrare: «Perché altrimenti lo farà lui.»

Poi iniziai a sentire l'aria farsi pesante, la finestra era aperta e lasciava entrare un caldo venticello tipicamente estivo. Mi girai solo un attimo con la coda dell'occhio a guardarla e vidi appollaiato sul margine un uccello. Da quello che riuscivo a vedere sembrava avere bianche piume dall'aspetto morbido e leggero.

Ci stava osservando. Qualcosa in tutto questo mi disturbava, ma non ne comprendevo ancora il motivo, e senza volerlo persi la concentrazione. In quell'attimo l'assassino si liberò dalla mia presa e alzò in aria il coltello.

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