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Per volere del fato, o di non so quale ditta di armi magiche, lo specchio di Tiwaz ci ributtò fuori solo con qualche livido. Per volere, invece, del proprietario fummo rigettati verso il soffitto.

Finita la spinta della precedente caduta ci ritrovammo a ridiscendere verso il basso. In quell'attimo mi sentii come su quella giostra a forma di colonna che ti fa sfrecciare su e giù dandoti la strana sensazione di avere il corpo vuoto e troppo leggero. Per non parlare di quella bizzarra sensazione alle parti basse che solo le donne possono sperimentare.

Uscirono con noi anche tavoli, sedie e blocchi di marmo che ricaddero anch'essi verso il basso. Il pavimento della cupola pieno di occhi sparì sotto ai piedi di Tiwaz, trascinando pure lui in una caduta. Le piante, la tavolata e le statue furono gettate di sotto con noi.

Cercai di attaccarmi in volo a qualcosa prima che la forza gravitazionale spingesse il mio corpo a schiacciarsi a terra.
Afferrai i rami di un albero procurandomi qualche taglio, ma essi, non reggendo il mio peso, non fecero altro che attutire la caduta. Spezzai qualche ramo e caddi sul terreno dove, come se non bastasse, rotolai per qualche metro giù da una piccola collinetta di terra e ciottoli.

Alzai la testa, stordita dalla situazione e dolorante per il maldestro atterraggio.
La parte all'interno del vestito si era strappata contro un ramo e adesso avevo un orrido spacco sul lato sinistro. Non era certo quello a preoccuparmi quanto più lo era la grossa pozza di sangue sotto di me.

Il mio cuore perse un battito alla vista di tutto quel rosso che macchiava i miei vestiti bianchi. Solo dopo un attimo di buona osservazione mi accorsi di essere rotolata su un corpo sfracellato a terra. Mi sentii sollevata e disgustata allo stesso tempo da quella scena. Di fianco a me si trovava il braccio di una persona il cui bianco osso usciva completamente dal gomito.

Trascinai via il mio corpo da quello che rimaneva di quel cadavere schiacciato e presi a controllarmi in cerca di ferite.
Usciva sangue dai tagli sulle gambe e quasi temetti di essermi rotta il braccio, ma fortunatamente, alzando la manica del vestito, mi accorsi che aveva solo il gomito ammaccato e graffiato. La testa durante la caduta aveva assunto posizioni molto dolorose e ancora non riuscivo a muoverla troppo bene.

Marte si trovava già in piedi davanti a me, impegnato a riattaccarsi la mano robotica utilizzata come rampino per scendere. Vicino a lui, a ridosso di una panca di legno, si trovava Vulcano, ma a giudicare dal sangue che gli colava da un lato della testa non sarebbe rimasto cosciente ancora per molto.

Sotto alle macerie circostanti uscivano pozze di sangue e parti del corpo di persone rimaste schiacciate. Artemide era stata la più fortunata di tutti. Rimasta appesa per il mantello a una statua sporgente si dimenava cercando di recuperare l'equilibrio. Agitava l'arco con una mano e con l'altra cercava invano di afferrare lo scettro della statua che la teneva bloccata.

Tiwaz sembrava però essere sparito, di lui non c'era più nessuna traccia. Provai a mettermi in piedi, ma dalle gambe iniziò a colarmi più sangue. Mi scappò un gemito di dolore e mi lasciai riscivolare al suolo. A quanto pareva non avrei potuto muoverle per un po'.
Forse Vulcano aveva delle fasce dentro al suo sacchetto, anche se probabilmente le avrebbe usate per sé stesso.

Mi guardai intorno cercando qualcosa con cui potermi aiutare, ma prima che potessi fare altro cadde dal soffitto un oggetto che tintinnò più volte contro al pavimento. Era appuntito, trasparente e legato con una cordicella. Il cristallo stranamente non si ruppe a contatto col suolo, fermandosi vicino alle macerie a circa cinque di metri da me e Marte.

Artemide lo indicò e disse qualcosa che non riuscii sentire a causa del rumore di un tavolo che venne con forza rovesciato. Tiwaz sbucò a tentoni da dietro esso, la coda di capelli che aveva in testa era sul punto di sciogliersi da sola e il suo candido vestito era sporco del sangue che gli colava dalla tempia.

Gli occhi completamente bianchi dell'uomo venivano rivolti confusamente verso il luogo circostante in cerca di qualcosa. Nella mano sinistra stringeva convulsamente lo specchietto che aveva ripreso il suo originario colore verde.

Ci mise poco a rintracciare il cristallo, fu come se qualcosa lo avesse guidato verso l'oggetto prima che noi potessimo fare altro. Lo sollevò in alto e quasi sembrò che il cristallo stesse prendendo un'altra forma, si stava allungando, diventando sempre più appuntito.

Marte era ora riuscito a riagganciarsi il braccio. Avrebbe potuto sparare qualche missile o proiettile dalle dita, o fare qualcosa di eroico per salvare la situazione, ma non sembrava volersi muovere. Evidentemente la vicinanza con quell'arma doveva aver risvegliato in lui altri vecchi ricordi che lo avevano paralizzato.

Artemide tentò di scoccare una freccia dalla sua postazione, ma essa non fece altro che scivolarle di mano e cadere tintinnando sul pavimento. L'unica che poteva fare qualcosa ero io, ma al momento non riuscivo a muovermi.

Abbassai le mani, che avevo precedentemente alzato per proteggermi dagli oggetti lanciati insieme al tavolo, e con il palmo tastai qualcosa di tondeggiante e duro. Senza pensarci due volte lo afferrai e lo scagliai con tutte le forze che mi rimanevano contro la snella figura di Tiwaz.

Dal suo corpo uscì un altro braccio che, aprendo un buco nella veste, afferrò senza scomporsi l'oggetto che gli avevo tirato. Dall'altro lato del busto ne spuntò un quarto che prese a toccare distrattamente quell'oggetto, come incerto sul da farsi. Avrebbe forse dovuto provare a tirarmelo dietro o stritolarlo tra le sue mani?

Per un attimo credetti che fossero questi i pensieri che attraversavano la sua contratta fronte, poi i suoi occhi si sgranarono e lasciò cadere con un grido tutti gli oggetti che stringeva.

Lo specchietto finì ai suoi piedi, ma anche esso non si ruppe, né si incrinò.
Il cristallo, che aveva ormai assunto le sembianze di un'affilata spada dai riflessi argentati, cadde a qualche metro dal Fedele. La mela verde che gli avevo tirato era stata da lui scagliata con forza e terrore contro la vetrata centrale della cattedrale. Il vetro colorato era andato parzialmente in frantumi e adesso permetteva ad una leggera calura di entrare nella chiesa.

Come in uno strano sogno i capelli di Tiwaz si tramutarono in fiamme ardenti che si agitavano sulla sua testa con frenetiche movenze. In poco tempo aveva superato lo shock iniziale che la scoperta del frutto gli aveva procurato e adesso stava cercando di nuovo le armi.
Si getto immediatamente a terra, recuperò lo specchio e lo portò con una mano al petto. Le altre mani tastavano frettolosamente il terreno in cerca della preziosa spada.

Le lunghe dita affusolate avevano unghie placcate di uno smalto chiaro che creava un lieve contrasto con la sua carnagione. Nella sua mente si affollavano troppi pensieri e i suoni del mondo esterno erano per lui come ovattati. Aveva paura di non riuscire a completare la sua missione, di non essere all'altezza del compito assegnatogli dalla forza superiore.
Non potete immaginarvi il suo sollievo quando una delle mani libere si strinse intorno al manico argentato.

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