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La strada del ritorno fu se possibile anche peggiore dell'andata. L'unica cosa positiva che riuscii a trovare fu che non dovetti percorrere a piedi tutto il viaggio fino alla barca.

Le gambe facevano male, e il peso del braccio di Marte e della spada mi sbilanciava da entrambe le parti.
Fu per me un sollievo scoprire che appena fuori da ciò che rimaneva della cattedrale ci stava aspettando un elicottero. Dentro esso Ishtar sbracciava per attirare la nostra attenzione, come se un grosso velivolo fucsia non fosse già abbastanza appariscente. Si fermò quando si accorse che non c'eravamo tutti.

«Dove sono il capo e Agni?», domandò scrutando dietro le nostre spalle.
Nessuno ebbe il coraggio di risponderle subito. A mia discolpa, ancora non mi sentivo pronta a parlare.
Durante il viaggio Artemide raccontò a Ishtar e al pilota cos'era successo, mentre io e Vulcano guardavamo distrattamente fuori dal finestrino.

Ishtar era come un libro aperto, reagiva a ogni parola con espressioni di puro stupore. Il pilota, anche lui parte del loro piccolo esercito, non sembrava disposto a dare sfogo alle sue emozioni.
L'Esperto di mostri finì di parlare e nell'elicottero si poté udire solo il forte ronzio del motore. Ishtar strinse a sé il cappello di Marte che aveva tenuto fra le mani per tutto il tempo e si mise a piangere.

«Sono stata io ad avere l'idea del deltaplano. È colpa mia se lui adesso è...», iniziò a balbettare tra le lacrime.
«No, Ishtar, non è stata colpa tua.», cercò di rassicurarla Artemide. «In realtà non è colpa di nessuno.»
Nonostante le sue parole sapevo che lo sguardo accusatorio di tutti i presenti era puntato su di me.

La voce era tornata a risuonare nei confini della mia testa, incomprensibile come al solito. Disse qualcosa sul fatto che tutti mi odiavano, ma che non importava veramente dato che il Protagonista ero io, e loro semplici nullità. Questo mi fece riacquistare una certa sicurezza. Non era certo colpa mia se delle persone avevano deciso di morire oggi.

Il rumore sfrecciante delle pale dell'elicottero mi infastidiva particolarmente e fu anche per questo che trovai quel viaggio scomodo. Da lì potevo vedere le profonde acque marine che scorrevano sotto di me. Per alcuni minuti fui fermamente convinta che qualcuno mi avrebbe buttato giù dal velivolo, ma forse non lo fecero perché avevo ancora con me il braccio dell'Esperto d'armi.

Come avevo ipotizzato tempo prima la loro base si trovava su di un'isola completamente circondata dal mare.
Ad aspettarci c'erano tutte le persone che avevo visto nella mensa. Circa trentotto paia di occhi erano volti verso di noi e aspettavano una risposta. Alcuni erano vestiti con tute sportive, altri con mantelli e due o tre persone stavano in calzoncini e canottiera.

Eravamo tutti stretti nella fresca palestra, dato che l'aria fuori era pericolosamente scottante. Non mi avevano dato nemmeno il tempo di cambiarmi gli abiti o di passare in infermeria, erano tutti troppo curiosi di sapere cos'era successo. Probabilmente la visione del braccio di Marte e dell'arma trasparente, che non avevo alcuna idea di come far sparire, rivelavano già metà del racconto.

Artemide ripeté ciò che aveva prima detto a Ishtar e il biondo pilota, che ascoltava di nuovo la storia stando in mezzo alla folla. Vulcano tentò di dire la sua, senza però riuscire a pronunciare le parole correttamente. Appena se ne accorse, Anubi, lo prese con sé e lo trascinò presumibilmente verso il suo studio.

Ora che il loro capo era morto era innegabile che ci sarebbe stato un drastico cambiamento. Dalla folla provenivano tanti borbottii che stavano dando vita a veri e propri schieramenti. Il mio preferito fu quello di un certo Lucy, che voleva sciogliere l'esercito. Solo successivamente capii che si trattava di una persona molto letterale.

Senza alcun dubbio il gruppo che meno mi aggradava era quello imbastito da Thor, il cui vero nome appresi fosse Turgon Yagies. Il suo partito garantiva al gruppo la mia morte per mano di cani abilmente addestrati ad attaccare gli idioti. Perse la causa per mancanza di idioti disposti a sacrificarsi per quella da lui definita causa maggiore.

A metà della guerra tra i due schieramenti con più partecipanti Artemide mi mandò a cercare Ishtar, che si era misteriosamente dileguata fra la folla. Provai a chiedere in giro se qualcuno nella confusione l'aveva vista, sempre tenendomi a stretta distanza da Thor e i suoi adepti.

La ragazza chiamata Ebisu mi indicò con la sua paffuta mano tatuata il corridoio dove a detta sua era scappata Ishtar piangendo.
Già mi vidi costretta a dover consolare una delirante ragazzina chiusa nel bagno, convinta di essere l'unica vittima della situazione.

Lasciai il braccio di Marte su uno sgabello vicino all'entrata, ma decisi comunque di portarmi dietro la spada per una questione di personale sicurezza.

Mi ritrovai a vagare zoppicando per il labirinto di corridoi illuminati da luci bianche. Passai più volte per il bagno a controllare se Ishtar fosse lì a piangere e per cambiarmi l'assorbente che si spostava in continuazione. Entrai nella sua stanza-camerino, ma oltre che vestiti, trucchi e cicche rosa attaccate dietro allo specchio, non trovai altro.

Arrivai anche a bussare a ogni porta che mi ritrovavo davanti, senza però ricevere alcuna risposta dato che stavano tutti in palestra.
Mi domandai il perché di quel numero di stanze se tanto la maggior parte delle persone albergava nelle tende là fuori, ma probabilmente era stata solo un'altra idea di Marte.

Mi chiesi anche per quale motivo le docce del campo non si trovassero vicino ai bagni. Avevo un urgente bisogno di lavarmi via lo sporco e il cattivo odore che mi seguivano da giorni.

Dopo un buon quarto d'ora di ricerche mi dissi che con ogni probabilità la ragazza era fuggita all'esterno. Cercarla da sola non avrebbe portato a nessun risultato. Stavo proprio per dirigermi verso la palestra per dirlo ad Artemide, quando sentii un rumore provenire da una porta lì vicino. Era il suono di qualcosa di ceramica che si rompeva al suolo.

Repressi l'istinto alla fuga e la voce che mi urlava di scappare dal lato opposto del mondo, ed entrai nella buia e per niente rassicurante stanza.

Il luogo era illuminato solo da una flebile luce azzurrina proveniente da una finestrella in cima al muro grigio. Il pavimento era sommerso da vasi con fiori e strane piante dalle fattezze umane. Ignorai l'odore di umidità e mi concentrai solo sull'unica vera figura umana presente in quel luogo.

Ishtar adesso sorrideva e colava sangue dai polsi tagliati con la limetta per le unghie. Appesa per il collo al cappio era appena saltata da alcuni vasi di ceramica marrone. Nel farlo aveva rovesciato una grossa pianta dai piccoli fiori color confetto.

Il foglietto che ritrovai di fianco, scritto con una penna rosa e una calligrafia perfettamente leggibile recitava queste parole:

"È colpa mia.
Perdonatemi perché senza volerlo ho ucciso Marte. Questa è l'unica fine che mi spetta per quello che ho fatto. La morte forse mi darà un po' di pace.

Mi avete raccolta dalla strada e io vi ho ripagato così, la mia magnifica presenza e la morte del nostro capo.
Non sono mai riuscita a capire perché vi foste sempre preoccupati tanto per una come me, mi piace pensare che sia perché tutto si può perdonare alla mia bellezza.
Vi ricorderò per sempre nel mio cuore, per voi ci sarà sempre un posto lì dentro. Soprattutto per la mia nuova amica Ester.

Con amore,
Ortensia Acibsel"

"P.S.
Guardate l'ultima puntata di Drammi di Vampiri Palestrati anche per me.
Firmato, Ishtar"

Come già mi pare di aver fatto notare, non in molti vantano di avermi sorpreso, ma Ishtar ci era proprio riuscita. Non potevo immaginare che una ragazza narcisista ed egocentrica come lei potesse davvero togliersi la vita.

Certamente aveva manifestato un certo dispiacere nell'apprendere della morte di Marte, ma arrivare a incolpare così tanto sé stessa... Qualcuno doveva per forza averla spinta a ciò. Non potevo credere che lo avesse fatto per L'Esperto d'armi, piuttosto per distogliere l'attenzione di tutti da me.

«Ti avevo detto di non aprire.», mi ripeté in modo canzonatorio la voce nella testa.
«Tu stai zitto.», lo fulminai.

«Devi andare a dirlo a qualcuno adesso.», continuò lui. «E se pensassero che sei stata tu a farlo?»
«Non mi crederebbero mai così malvagia. Io sono il Protagonista e non posso essere un mostro.», lo fermai.

«Uccidere i mostri ti rende a tua volta un mostro.», decretò lui.
«In questo caso sono circondata da mostri.», chiusi la conversazione.

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