22.

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Aveva una voce strana e inquietante, ma non riuscivo a capire cosa la rendesse tale. Anche se probabilmente la causa era dovuta alla mascherina che indossava.

«Qual è il problema?», chiese Anubi facendo alcuni passi fuori dalla porta, come per nascondere l'interno della stanza. «Sono molto impegnato al momento, sarebbe meglio se passaste più tardi.»

«Mi si è riaperta la ferita.», risposi io.
«Oh, ma guarda chi c'è.», esclamò rivolgendo l'attenzione su di me e non più sul bisturi che si stava rigirando tra le mani. «Non avresti dovuto muoverti dal letto prima di questa sera, sembri un soggetto abbastanza fragile.»

«È qui solo di passaggio.», intervenne Ishtar. «Tu la curi e io la riporto da Artemide.»
«Capisco. È colpa di quella ragazza se adesso ti trovi qui.», constatò freddamente. «Non ci vorrà molto, ma vorrei farti alcune domande.»

«Prima la sistemi e poi le chiedi quello che vuoi.», mise in chiaro la ragazza. «Siamo intesi?»
«Sì, piccolo fiorellino.»
«Non sono un fiore!», sbraitò lei infastidita.
«Come vuoi tu», si scusò l'uomo mentre spalancava la porta. «Entrate pure.»

Varcai la soglia. Quella era un'infermeria molto più piccola di quella dove mi ero svegliata. Si trovava inoltre divisa a metà da una tenda chiara. Il pavimento era a scacchi bianco e nero, le pareti celesti e il soffitto era uno specchio che rifletteva l'intera stanza.

«Siediti pure lì.», ordinò Anubi indicando uno sgabello vicino alla scrivania.

Mi sedetti e lo sgabello di plastica scricchiolò in modo quasi impercettibile sotto il mio peso. Ishtar prese a specchiarsi in un angolo della stanza, con la testa rivolta verso il soffitto, dimenticandosi completamente della nostra presenza. Il dottore si avvicinò, tirando verso di me una sedia con le ruote su cui poi si posizionò.

«Devi toglierti la maglietta, altrimenti non riesco a vedere la ferita.», mi fece notare.
«Oh, sì certo.», balbettai imbarazzata mentre mi sfilavo via l'indumento.

La mia pelle delicata e dal color conchiglia fu esposta alle luci dei pannelli ai lati del soffitto. Anubi iniziò a togliere delicatamente le bende dal mio braccio sinistro. Non erano più bianche come prima, adesso si erano lievemente sporcate di un liquido: il mio sangue scarlatto. Qualcuno, probabilmente il dottore, mi aveva ricucito il buco formatosi sulla pelle. In alcuni punti il filo si stava però lasciando andare, allargandosi.
Anubi afferrò una boccetta di disinfettante e ne versò sulla mia ferita, tamponando con una garza.

«Sconsiglierei l'uso di indumenti di cotone sulle ferite, mi ha dato un gran da fare rimuovere tutti quei pelucchi dalla pelle.», mi informò.
«Mi scusi»
«La prossima volta fai attenzione anche a non attaccare i cerotti direttamente sulla zona lesa.», continuò.
«Certo.», borbottai.

Non era colpa mia se non avevo avuto una vasta scelta di materiali tra cui scegliere quando ero stata ferita. La posizione del taglio inoltre non era delle migliori. La donna doveva aver puntato al cuore, ma spostandomi aveva colpito quasi la spalla. Mi irritava pensare che per pochi centimetri avrei anche potuto uscirne illesa.

Il dottore si girò a cercare qualcosa in un cassetto. Ne estrasse una confezione con una pinzetta sterile e si preparò per proseguire la sua operazione. Voltai lo sguardo inorridita dalla mia rosea ferita esposta e mi concentrai sulla realtà circostante.

«Perché c'è una tenda?», domandai nella speranza di distrarmi.
«Per nascondere quello che c'è dietro.», rispose lui freddamente.

«E cosa c'è dietro?», insistetti a chiedere.
Il dottor Anubi rimase per un po' di tempo in silenzio, poi, dopo essersi raddrizzato per bene gli occhiali sul naso mi rispose: «Un altro tipo di paziente.»

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