𝐒𝐀𝐔𝐃𝐀𝐃𝐄:
𝑈𝑛 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑎𝑙𝑔𝑖𝑐𝑜 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑣𝑖𝑐𝑖𝑛𝑜 𝑎 𝑐h𝑖 𝑒' 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑚𝑎𝑡𝑜 𝑒 𝑝𝑜𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜Normale.
Così Diana definiva la sua vita, come la città in cui viveva. Liceo, amici, genitori, tutti normali. Si meravigliava a volte di quanto fossero lineari i suoi giorni, di come tutto fosse conforme e in equilibrio. Ciononostante finiva sempre per porsi il medesimo quesito: perché, tra tante presenze e luoghi comuni, lei si sentisse così fuori da tutto?
Le piaceva pensare che stesse vivendo una vita al contrario. Non come la storia di Benjamin Button, si immaginò più come un vinile, di quelli rari. Sapeva esprimere note melodiose, allegre, tristi. Ma gli stessi solchi, ascoltati al contrario, generavano un suono dettato da un male sconosciuto che riusciva a cambiare il filtro della sua realtà.
Conviveva con due lati del suo carattere che, periodicamente, prevalevano senza un equilibrio. C'erano giorni che amava stare in compagnia delle persone che la volevano bene, beava di una spensierata adolescenza, accumulando quanti più momenti felice che potesse.
Ma altre volte, invece, cadeva in un limbo senza fine. Diventava avversa ad ogni emozione. L'inadeguatezza la fissava come una sentinella. Non faceva a meno di isolarsi per giorni interi ad osservare il soffitto, a trovare un modo per liberarsi dal nodo in gola che l'affliggeva. Alla lunga però aveva imparato a fare finta di essere normale, come lo era tutta la sua vita. Quella farsa aveva forgiato la sua maschera e non si accorgeva neanche più di quando si avviasse il meccanismo. Non capiva perché si sabotasse da sola. Forse, si ripeté molte volte, stava vivendo solo per il semplice fatto di essere nata.Ma, come se non potesse andare peggio, nella settimana che precedette il suo compleanno, il tormento mentale iniziò a diventare anche fisico. Come se quella casella sul calendario, invece di simboleggiare un momento felice, indicasse la data della sua morte. Un continuo ronzio nelle orecchie iniziò a seguirla come un'ombra, solo a casa riusciva ad avere un po' di tregua. Gli sbalzi d'umore erano aumentanti, enfatizzando di volta in volta le sue reazioni. Diventava irascibile senza che potesse controllarsi. Una spirale la trascinava nelle acque profonde della sua mente fino a dissiparla, privandola della sovranità del corpo.
E il giorno del suo compleanno arrivò in fretta, Diana era in piedi, ad osservare distrattamente sua madre accendere le candeline disposte sulla torta. Le sorrise, indicandole tutte le persone che erano venute a condividere con lei quella tappa importante.
Per diamine, stava per compiere diciotto anni. Si ripeté di essere felice. Doveva esserlo, come lo erano tutti. Anche se, gran parte dei compagni della sua classe pensavano che fosse una strana. Sua madre aveva personalmente consegnato gli inviti, insistendo nella presenza di ognuno. E da come fissavano il buffet, Diana comprese il vero motivo della loro partecipazione. Solo Tommy e Arianna fremevano per l'emozione, la guardavano elettrizzati di cantarle la solita canzoncina odiosa.
Suo padre Peter, l'affiancò dall'altro lato, con il telefono tra le mani, pronto ad immortalare l'ascesa della mezzanotte. Le sorrise anche lui, invogliandola a seguire il conto alla rovescia scandito dagli invitati.
Il tempo stava decorrendo nella sua più assoluta normalità quando, come un semplice battito di ciglia, tutto cambiò.
Diana ci provò a tenere il conto alla rovescia ma un senso di nausea pizzicò la sua lingua e una vibrazione sciò sotto lo strato della pelle. Non comprese bene cosa le stesse succedendo ma i suoi organi si contrassero così tanto che pensò ad un implosione simultanea. Non è nulla, sto bene. Provò a calmarsi, più e più volte, ma ogni tentativo fu fallimentare. Un puntino dentro di sé stava macchiando la sua anima e finì per chiedersi se non stesse morendo sul serio.
La mezzanotte arrivò in punto ma Diana non fu presente. Era già corsa in bagno con i conati di vomito aumentare d'intensità ad ogni respiro.
«Stai bene?»
Sua madre l'aveva seguita con un viso corrugato dalla preoccupazione. Le portò indietro i capelli mentre lei rimise perfino la sua anima. Diana strinse gli occhi per tutto il tempo. Non voleva, in futuro, associare quello spettacolo al famoso passaggio all'età adulta. Iniziò a sudare, dei pungiglioni invisibili le conficcarono la pelle, perfino i muscoli iniziarono a tremare.
«Diana, cosa hai bevuto?» Le domandò sua madre. «O è per qualcosa che hai mangiato?»
Ma ogni gesto d'apprensione perse l'effetto sperato quando la voce le fece eco nelle orecchie come unghie sulla lavagna, colpendo Diana così tanto da farle venire i capogiri. Si agitò, mentre il suo corpo iniziò a ribellarsi inconsueto. La mente si pervase di una rabbia improvvisa e non si rese neanche conto quando spinse via sua madre con veemenza.
Il cranio si era distaccato dal corpo. Aveva perso il controllo.
Per un momento si fissarono entrambe spaventate. Diana si guardò le mani, incredula del proprio comportamento. Non era stata lei, almeno, non era stata sua intenzione.
Non so cosa mi sia preso «Mi hai preso in giro tutto questo tempo!» In quell'istante i suoi occhi perlustrarono spaventati la stanza, poi di nuovo sua madre. «Perché... cosa mi nascondi?» Le chiese come se quella che avesse parlato poco prima non fosse stata lei.
Ma dovette inspirare di colpo, mantenendosi stretta la testa fra le mani, una voce iniziò a fare pugni nella sua testa. Le urlava che quella donna non fosse chi diceva di essere. Non sapeva neanche Diana di cosa stesse parlando ma un peso nel petto accrebbe sempre di più. Una parte di sé ebbe vita propria fino a farle perdere il pilota delle sue volontà.
I muscoli delle braccia agirono prima dei pensieri, Diana afferrò una statuetta posta sulla mensola del bagno. Le nocche sbiancarono per la pressione e avanzò un passo verso sua madre. Voleva fermarsi ma la sua anima si soppresse, divenendo un automa. Quella parte di sé emersa, le sussurrò che voleva solo spaventarla. Che alla donna non sarebbe successo niente.
E durante tutto quel frangente, suo padre Peter, stava assistendo alla scena sulla soglia della porta. Incapace di comprendere cosa stesse guardando, si avventò su sua figlia, le sfilò l'arma insolita e la strinse tra le braccia, facendo forza con il suo peso. Se la caricò come un sacco di patate sulla spalla e, nonostante cercò di divincolarsi, raggiunse a chiuderla nella stanza.
Ci vollero svariati tentativi prima di riuscire ad inserire la chiave nella toppa in modo corretto, gli tremarono le mani dallo spavento, era successo tutto così veloce. Effettuò tutti i giri disponibili sopprimendo i lamenti dall'altra parte della porta. Sospirò così profondamente che, per un momento, pensò di essersi sgonfiato come un palloncino. Fu incapace di dare una spiegazione a ciò che aveva assistito ma, una parte del suo inconscio, possedeva già la risposta.
Diana aveva iniziato la transizione, un ingresso in una realtà che neanche lui conosceva.
«Tutto bene Signor Mitchell?»
Trasalì quando si accorse della presenza di Arianna, la migliore amica di Diana. Si raddrizzò falsificando il miglior sorriso che avesse, nascondendo la preoccupazione che invece iniziò a mangiarlo vivo.
«Diana non si sente molto bene. É meglio che vi vediate domani, ora ha bisogno di stare sola.»
E così si giustificò anche con tutti gli invitati nell'altra stanza. Lo aveva descritto come un virus intestinale facilmente trasmissibile. Gli ospiti non fecero domande, anzi, furono felici di lasciare la casa preoccupati per la loro incolumità.
***
STAI LEGGENDO
Una Realtà a Colori
FantasyVOLUME 1 - COMPLETO 𝑻𝑹𝑨𝑴𝑨 Tutto è cambiato per Diana. 24 ore 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 dell'incidente era solo una comune ragazza, soffocata dal futuro e dall'inadeguatezza. 24 ore 𝑑𝑜𝑝𝑜 l'incidente, Diana è un membro della triarchia del Sacro Triskell...