Quaranta

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Passarono così, interi giorni, senza la paura di invadere i propri spazi, svegli fino all'alba e senza preoccuparsi di usare i vestiti

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Passarono così, interi giorni, senza la paura di invadere i propri spazi, svegli fino all'alba e senza preoccuparsi di usare i vestiti. Il livello di concentrazione di Diana in quei quattro giorni fu messo a dura prova. Maris era la personificazione perfetta del disturbo dell'attenzione. La costrinse ad imparare almeno la base del legno intagliato e a guardare i suoi film preferiti - che non terminavano mai di vedere. Ma era bello, rimanere abbracciati e mezzi addormentati, reduci dalla passione. Si raccontavano delle proprie cicatrici e dei tagli nei loro cuori. Dei progetti che avrebbero voluto portare a termine se, almeno, la normalità fosse stata dalla loro parte. E quella conoscenza divenne una guerra continua, un unione continua. Esoneravano la mente dalla realtà fino a farla espatriare dal proprio corpo attraverso il piacere.
Diana ascoltò con cura quando Maris le raccontò della sua prima esperienza con la tatto-ipnosi, quella volta, fu anche la sua prima esperienza con la morte. Fu un macello, così lo descrisse quando, il liceo che suo padre cercò di fargli frequentare, organizzò una gita in uno zoo.
Maris aveva sedici anni, sapeva già parlare con gli animali ma solo quel giorno conobbe la portata della tatto-ipnosi. Si sporse di nascosto verso la gabbia di una tigre, conversarono per un pò e quando la toccò, desiderò inconsciamente che dovesse scappare. E così fece il felino, iniziò a sbattere verso la porta in legno che la divideva dall'area interna dedicata per dormire - chiusa dagli addetti per pulirla. Quando la tigre riuscì a travalicarla, sbranò quei due uomini sotto gli occhi di Maris e ben presto anche quelli degli altri visitatori. Ci volle qualche minuto prima di ritrovarsela libera all'interno dello zoo, scattò l'allarme e... fu un macello.
Quando raccontava le sue esperienze, Maris, si sorprese di quanti ricordi avesse sotterrato nella sua mente. Non aveva mai avuto nessuno con la quale parlarne e Diana, invece, gli mostrava la sincera curiosità di voler scoprire tutto il suo mondo. E a lui piaceva, lo rendeva sconsiderato. La sua corazza si scioglieva ad ogni bacio. Il tempo passava sconosciuto, come se i giorni passavano come non cominciassero mai.
Ma spesso bastava poco per sentirsi spaventati nell'essere vulnerabili e Maris lo patì quando, una mattina, Diana uscì dalla doccia e lo sorprese a fissare la foto di sua madre che aveva sulla scrivania. Gli andò da dietro, abbracciandolo, l'accappatoio umido rinfrescò il tessuto della sua maglietta. Protese il volto al lato della sua spalla, perdendosi ad osservare anche lei Kali. Capelli neri, sopracciglia folte, occhi azzuri, carnagione scura. Era bellissima.
«Guarda tua madre e tutti i colori che indossava.» Disse ad un tratto Diana, indicando il vestitino arancio, rosa e azzurro. «Che vivacità le davano in volto.»
Ma solo dopo il respiro malinconico di Maris, lei comprese la sua dura scelta di indossare solo il bianco e il nero. I colori gli ricordavano sua madre, i colori gli ricordavano un amore perduto.
«Oh...» Gli sussurrò. «Non ci avevo pensato.» Lo strinse più forte tra le sue braccia.
Maris rimise la cornice a posto, irrigidendosi e scostandosi tra le braccia di Diana. «Non è né stupida né patetica la mia scelta.»
«Non l'ho pensato.» Replicò e, nello stesso istante, rifletté su quella rabbia ingiustificata. «Forse sei tu che lo pensi di te stesso.»
Maris fece per scattare verbalmente ma Diana lo arrestò prendendo di nuovo la parola. «Non sei né patetico, né stupido... hai sofferto e ciò ha cambiato il tuo modo di essere. Ricorda quello che una volta mi hai detto: non sprecare la tua sofferenza, usala, approfittane.»
Maris scoccò una smorfia divertito. «Ho già approfittato della mia sofferenza, uccidendo Iside. Ma ora voglio di più, voglio radere al suolo il Sacro Triskell.» Gabriel e Leopold erano in cima alla sua lista, confidava in Diana che lo desse per scontato.
«Ancora?»
«SÍ, Lykke, ancora.» Affermò inquieto. «Sono insaziabile, lo sai.» Maris ammorbidì le dita, sciogliendole al contatto con pelle di Diana, le accarezzò le anche e poi la schiena.
«No, è il senso di vendetta che ti ha lasciato in astinenza.»
«Mi vorresti fare la morale ora?» Si ritrasse, abbastanza da fissarla negli occhi. «Mi vorresti dire che uccidere è sbagliato bla bla bla? Chi sei Suor Diana?»
Diana arricciò il muso, divincolandosi del tutto da lui. La distanza aumentò attimo dopo attimo irata della sua testardaggine a voler portare avanti ideologie senza morale.
«Conosci il piano, trovare la fonte, eliminarla.»
«Il tuo piano.» Sogghignò. «Io ho firmato il tuo piano come un cazzo di contratto, ma ci ho sottoscritto una clausola: Uccidere la fonte e fare lo stesso con Il Sacro Triskell. Tanto se non ci sono più gli Oscuri, a che servono loro?»
«Spero che tu mi stia prendendo in giro.»
«Pensaci, solo io e te. Nessuno che ci insegue o che cerca di ucciderci.»
«Ti odierei a morte.»
«Anche prima mi odiavi a morte e com'è finita?» Maris calcò sulla domanda, indicandole il letto. «Diana dici solo una marea di cazzate. Mi hai baciato e sei venuta a letto con me nonostante io ti abbia uccisa. Tu sei come me ma semplicemente non lo vuoi ammettere. Preferisci nasconderti.»
«Lo sai cosa penso io, invece?» Diana sbuffò. «Penso che per te nessuno ha il diritto di vivere perché devi riempire un vuoto che non riesci a colmare. Ma prima o poi la vendetta ti farà imbattere nel tuo riflesso e lì capirai che hai solo cercato di scappare da una gabbia creata con le tue stesse mani.» Così dicendo, gli indicò la foto di sua madre.
Maris aggrottò le sopracciglia, la mascella tremò per qualche secondo. Si sfilò la maglietta, buttandola a terra con ira. «Beh, invece di perdere tempo a psicanalizzarmi dovresti pensare alla tua di vita.»
«E cosa vorresti dire con questo?»
«Stai rincorrendo i fantasmi con questa storia della missione.» Sbottò lui, discostando le tendine del bagno. «E lo fai solo perché devi passare per l'eroina di turno.»
«Mi rifiuto di continuare questa conversazione.»
«D'accordo... passiamo ad altro?» Maris alzò le braccia verso l'alto, aggrappandosi all'asta fissata. Portò il suo corpo teso verso avanti, facendole osservare ogni punto del suo petto, consapevole di provocarla. Ma Diana scese di sotto, sopprimendo la rabbia in una smorfia di disapprovazione. Faceva sul serio a non voler più continuare la conversazione.

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