Quarantatré

27 3 0
                                    

Ok, bene, dopo quella piacevole avvertenza, la tartaruga marina si immerse tra le onde del mare fino a dileguarsi

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Ok, bene, dopo quella piacevole avvertenza, la tartaruga marina si immerse tra le onde del mare fino a dileguarsi. Maris fece una pausa di riflessione durante il quale elaborò un piano d'accatto. Anzi, di difesa. Non sapeva cosa lo aspettasse oltre la folta vegetazione, l'unica certezza era la necessità di recuperare il mistico Kris che avrebbe spezzato l'Oscurità ma, per farlo, doveva prima trovare dove essa fosse imprigionata. E lì partivano i cazzi.
Una cosa alla volta, si ripeté per non pensare al fatto di essere arrivato su un'isola inesplorata, quasi morto, basandosi sulle poche e vaghe indicazioni provenienti da un sogno che gli aveva confidato Diana. A tratti si dava dello sciocco ma, allo stesso tempo, ripeteva nella mente che aveva sognato anche lui e la sua singolare cicatrice. Gli sembrò abbastanza per crederle. Abbastanza per sacrificarsi.
Si tirò leggermente la manica della maglia, riflettendo sulla sua voglia che già conosceva a memoria. Gli eleggenti del Triskell, forse, potevano nascondere doti che, come i sogni di Diana, non tutti potevano sapere di avere per poi svilupparmi a proprio vantaggio.
Quando la pausa di riassestamento terminò, Maris si mise lo zaino in spalla e, tra le dita, si strizzò i vestiti ancora bagnati. Provò ad asciugarsi il volto che stava bruciando al sole e si avvicinò verso la folta vegetazione che lo divideva dalla base del vulcano. Allungò solo un dito, sfiorandola appena e la sua pelle si irritò al contatto.
Chiuse gli occhi e pensò di nuovo a Diana.
Trattenne il respiro per qualche secondo e si addentrò a passi veloci. Non ci fu modo di ripararsi che gli alti fili d'erba gli pungolarono ogni zona scoperta. Schivava, a tratti, i tronchi gracili degli alberi che contribuivano con le loro foglie a chiudere la visuale sopra di lui. Pian piano il fastidio divenne strazio come se la vegetazione si fosse trasformata in tanti spilli appuntiti. Così aumentò il passo ancor di più, fino a ritrovarsi a correre alla cieca. Sperò solo di non finire in culo a qualche Oscuro, non voleva mica disturbali durante il loro pascolo.
Quando Maris percepì di nuovo il sole sulla pelle, capì di essere arrivato al capolinea. Da una ricca vegetazione, le suole delle sue scarpe, approdarono su una terra arida. Prima di avanzare, si girò alle sue spalle, si accorse di aver lasciato un sentiero di erba e foglie spezzate. D'un tratto, però, ogni pianta iniziò e lavarsi verso il cielo, rigenerandosi fino a far scomparire ogni traccia del suo passaggio. Merda, è stregata quest'isola!
Sul terreno arido, i prodotti vulcanici si erano solidificate come serpenti, alcuni fiori di un viola lucente, fuoriuscivano come superstiti. Alla base del cratere si stagliavano piccole bocche eruttive, lo stesso scenario contornava il perimetro del vulcano. Alzando lo sguardo, Maris osservò, con un po' di paura, il NeverDied ergersi come un muro sopra di lui.
Prese a camminare lungo il sentiero, questa volta con calma. Si sentiva la pelle in fiamme, sulle mani si erano formati degli eritemi fastidiosi. Aveva provato a usare il suo Kris a mo' di Indiana Jones, nella vegetazione assassina, ma nel film il protagonista aveva un machete e Maris solo una lama di 17 centimetri. E il correre come un forsennato, gli era sembrata l'unica soluzione ragionevole. Ma ciò aveva elevato la forza di impatto contro la pelle, facendolo patire una distrazione che non poteva permettersi.
Passo dopo passo, ripetendo al suo corpo di riprendersi, gli sembrò di star percorrendo la medesima tratta. Erano passati svariati minuti e ad ogni rintocco, iniziò a perdere la speranza di poter trovare qualcosa. Più la pazienza terminava e più il bruciore in volto si accentuava.
Con le gambe tremolanti, recuperò dallo zaino la trascrizione della pagina del Diario dedicato all'isola, l'acqua di mare aveva compromesso gran parte del contenuto. Maris si lasciò andare a delle ardite imprecazione e, sbuffando, elaborò nella mente ciò che si ricordava. Ma si ritrovò ad essere un fascio di nervi e gli ingranaggi della testa non funzionarono come lui sperasse.
Qualcosa mi sarà sfuggito, per forza, ma, ripeterselo nella mente, gli diede modo di percorrere un altro chilometro scarso prima di... «Fanculo tutto!» Sbottò, esausto dal susseguirsi dell'identica scena: erba alta a destra, vulcano a sinistra.
Si trascinò fino a sedersi su un macigno, crogiolandosi dalla sconfitta. Infilò la lama del Kris nel terreno scuro, rabbrividendo per l'infusione di rabbia dentro di lui. Anche se fosse sopravvissuto di nuovo alla corsa suicida nella folta vegetazione, non sapeva come tornare a Caserland, la sua barca si era distrutta. Era bloccato su quella dannata isola.
Afferrò un fiore tra i residui vulcanici, stropicciandolo tra le mani con foga. Ogni petalo fu così delicato al tocco che finì solo per sporcarsi le dita di polline. Non ebbe la ben che minima soddisfazione per scaricare il suo grandioso fiasco. Così saettò all'impiedi, con la mascella contratta, afferrò il macigno su cui era seduto. Lo aizzò verso il cielo ma delle cavità ossee risaltarono dal terreno. Maris rimase immobile per qualche secondo poi riposò con delicatezza il masso sul terreno. Recuperò il Kris dal terreno e con la punta di esso dissotterrò quello che scoprì essere una carcassa di qualche animale.
Uno scricchiolio ruppe il silenzio, uno stormo di uccelli ciancioni passò sopra la sua testa. Per qualche istante, subito dopo, l'aria gli soppesò sui polmoni. Qualcosa non andava, lo sentiva come un sassolino nella scarpa. I fili d'erba non sussurravano più, non si udiva niente, neanche il mare in lontananza. Tutto rimase immutabile.
Maris non si accorse subito dei due occhi luminosi che lo fissarono attraverso la fitta vegetazione. Si girò verso di essi solo quando del vapore ardente gli sfiorò il collo.
Con una mossa istintiva pugnalò alla cieca qualsiasi cosa ci fosse nascosta, ritrasse l'arma quando un latrato acuto fece tremare il terreno sotto ai suoi piedi. Poi altri due occhi si aprirono, due bottoni infossati dal magma presero volume attraverso una figura di tre metri. Le otto zampe appuntite espellevano lava dalle crepe della pelle.
Maris sentì anche le se membra tremare quando dalla bocca dell'Oscuro, contornata da antenne, emise un fragore che riuscì a raggelargli il sangue nelle vene. Era come un ragno gigante ma con una faccia deturpata da un pneumatico, perché sì, era davvero brutto. I quattro occhi senza pupilla traboccavano come una pentola piena d'acqua lasciata sul fuoco. Più il ragno infernale divorava la distanza da lui, più Maris camminava all'indietro riflettendo a come arrivare alla testa per ucciderlo.
«Io direi di dare una sfoltitina a queste zampe.» Ringhiò Maris con un sorriso ammiccato tra le labbra. Schivò con un balzo una delle zampe e, sovrapponendosi al centro, con la lama del suo Kris aprì uno squarcio su entrambi le zampe anteriori.
L'Oscuro si inclinò verso il terreno, trovando instabilità. Anche se non fu abbastanza, Maris riuscì lo stesso nel suo intento. Con la lama a serpentina del suo Kris, trafisse la mandibola del ragno.
Ma l'Oscuro non morì anzi si apprestò a vendicarsi: colpì il ragazzo alla sprovvista, scaraventandolo contro la parete del vulcano con una delle sue zampe ancora funzionanti.
Maris fu colto con le spalle al muro e non seppe neanche lui quale Dea della fortuna lo assistette che riuscì ad afferrare in tempo le antenne del ragno, prima che gli finisero dritto in bocca.
L'Oscuro fece pressione con il suo peso tanto da far slittare la schiena del ragazzo a qualche centimetro da terra. Il calore gli bruciava il volto, Maris prese a boccheggiare e l'ossigeno iniziò a mancargli. La creatura continuava a spingere tanto da mostrargli la fila di denti posti in fila oltre la cavità orale. Al tatto le antenne, con il quale faceva resistenza, erano come rocce appuntite e abbastanza incandescenti da avvertire la pelle squarciarsi ad ogni secondo che passava a lottare contro morte certa.
Maris urlò con tutto il fiato che avesse in gola, saldò ancora di più la presa e tirò le antenne dalla parte opposta, in modo da farle spezzare per la tensione. L'Oscuro, dal dolore, indietreggiò e il ragazzo approfittò per afferrare il Kris e squarciargli la mandibola con un altro taglio netto. Il ragno super brutto scomparve all'istante e Maris ricadde sul terreno sfinito.
Controllò l'andamento dei battiti del suo cuore o, almeno, tentò con l'adrenalina che aveva in circolo. Ma doveva muoversi a trovare... in verità non sapeva cosa trovare. Immaginava che vi fosse una porta, indicata con lasciate ogni speranza, voi che entrata. Cose così. Ma oltre agli Oscuri, sembrò non esserci più niente.
Maris riprese a correre, avvertendo dei rumori provenire alle sue spalle. Capì di avvicinarsi al fulcro quando sul terreno iniziò a passare vicino ad intere carcasse di vari animali. Per lo più sembravano uccelli, altri pesci grandi anche come squali. Riconobbe subito anche alcuni teschi umani, forse poveri pescatori.
Schӓden aveva usato il termine giusto nel Diario: sventura. Chiunque si imbattesse sulla spiaggia del NeverDied, finiva morto.
Maris perse quasi l'equilibrio quando superò due Oscuri dalle sembianze di un orso intenti a divorare un delfino, probabilmente arenato a causa delle correnti. Erano partiti dalla pancia, due enorme bocche con fauci appuntite trituravano la carne dell'animale come se dovessero ricavarci della carne macinata. Scappo o rimango? Maris si rispose che doveva combatterli, ci avrebbero messo poco a raggiungerlo e ad ucciderlo.
Ma quando pose il primo piede nei loro confronti vide arrivare dalla direzione inversa dei serpenti. I crani spigolosi erano munite di occhi pronti ad eruttare e, al termine della coda, un sonagli gli procurò un sfarfallio dell'udito. Un rumore fastidioso, come unghie sulla lavagna.
Capì che era meglio scappare. Più veloce che poteva.
Ma non ci volle molto che, davanti a sé, un altro Oscuro gli sbarrò la strada. Si muoveva come un felino, esercitando pressione ad ogni passo. Sul suo dorso delle farfalle, per niente incantevoli, lo ricoprivano come un lenzuolo. I loro occhietti minuscoli si concentrarono su di lui. Si aizzarono in volo all'unisono e lo iniziarono a puntare come un bersaglio.
Maris pensò di buttarsi nella boscaglia, ma non lo fece. Sapeva di non poter resistere a lungo a contatto con la vegetazione. E di sicuro gli Oscuri ne erano immuni, come aveva potuto già costatare.
Si appoggiò alla parete del vulcano, con uno strano senso di annientamento, percependo la montagna respirare sotto di lui.
Chiuse gli occhi, aspettando la morte.
Pensò a sua madre, ad Aegir. Poi a Diana.
La discendente delle ceneri, recitò come una poesia quello che non aveva trovato.
Poi la terra tremò. Il suo corpo cadde all'indietro, sembrò che fosse passato attraverso la parete rocciosa. Ogni parte dentro di sé sobbalzò, sentendosi perfino distaccato dalla sua stesse pelle.
In controluce adocchiò una sorta di barriera, non capiva cosa fosse successo ma fu soddisfacente vedere tutte quelle creaturine voltanti morire nel tentativo di oltrepassarla. I latrati rimbalzavano da ogni direzione e Maris si godette lo spettacolo, ancora immobile sul terreno.
Si alzò da terra, con il palmo della mano cercò di scrollarsi via il terriccio che vi era rimasto attaccato.
«Andate a farvi fottere.» Sbottò con una risata compiaciuta mentre tendeva il dito medio a mezz'aria.
Si era materializzata una rientranza nella parete vulcanica, come se fosse stata sempre lì. Di quell'isola, Maris, davvero non ci stava capendo niente. Si sentiva inquieto ed eccitato, era comunque scampato alla morte, per ora.
Quando si rigirò sul posto, i respiri gli si bloccarono in gola.
Al capezzale della parete vi era una lupa alta quasi due metri, seduta e immobile come una statua. Il folto pelo colorato di nero sprigionava una strana aurea, creando un campo di forza fatto di rossi sfarfallii lucenti che donavano volume in più alla sua stazza. La coda attorniava le zampe sul masso su cui era seduta, gli artigli affilati sembravano essere perennemente in allerta. Il corpo snello ma lungo, non si espandeva neanche per respirare. Tanto dalla sua fermezza, Maris, pensò che fosse davvero una statua.
Più vi si avvicinava e più riusciva a coglierne i dettagli. Le sue mani sudavano ad ogni passo, non aveva mai visto niente del genere. Si schiarì la voce per attrarre l'attenzione su di sé. La lupa tenne ancora gli occhi chiusi, il muso leggermente inclinato. Un triskell celtico era tatuato, senza inchiostro, sulla sua fronte. Una collana piegava il suo pelo vicino il collo, il pendente aveva una forma circolare, troppo irregolare, quasi dalla forma di una "D", per sembrare una luna piena. Gli sembrò più una gibbosa crescente. Il materiale richiamò quello della collana di Diana, ma Maris non ne fu certo.
La lupa si rianimò lentamente quando udì i passi a poca distanza, degli occhi gialli come il polline lo studiarono con calma, mantenendo il silenzio carico di tensione.
«Benvenuta Anima d'Oro.»
La voce fu come un canto. Nonostante ne rimase affascinato, Maris cercò di tenere a freno le sue emozioni. Non sapeva cosa o chi potesse essere questa "discendente delle ceneri" ma fu più che sicuro che quello che stava cercando fosse alle sue spalle. Vi era un'entrata livellata nella roccia, divisa in due facciate e decorata con colonne e bassi rilievi. Almeno sarebbe morto dentro un fantastico palazzo snodato nella montagna.
«E tu sei?» Maris fece svolazzare le dita nei suoi confronti.
«Sono la discendente delle ceneri, guardiana dell'antica malvagità.»
Il ragazzo sorrise, sono nel posto giusto.
«Io son--»
«So chi sei, Maris Jessen.» Il nome fuoriuscì con violenza. «E so anche che non eri tu l'Anima D'oro che doveva giungere davanti i miei occhi.»
Maris fece un passo indietro, quella lupa come faceva a conoscere il suo nome, perfino il cognome di suo padre. «Solo Maris... grazie.» Ma soprattutto, pensò, chi aspettava al posto suo?
Si inumidì le labbra, irritato di essere stato accolto con certo disprezzo e tanta conoscenza. Con fare spavaldo poggiò la sua mano sul manico del Kris agganciato alla fascia delle spalle. «Davvero, ho fatto tanta strada e non è stato per niente facile. Non mi importa chi volevi ma ci sono io.» Sbuffò disorientato. «Ho delle questioni da sbrigare, se per favore mi lasci passare.»
Il muso spigoloso della lupa lo guardò con aria solenne, questa volta la voce risuonò come una melodia minatoria. «Sei giunto per ucciderla o per liberarla?» Lo sfarfallio attorno al manto iniziò a diventare sempre più torbido.
Maris intese di sicuro quale fosse la risposta giusta. «Ucciderla.» Mormorò.
La lupa non si scompose alla sua risposta, bensì fece scattare la sua coda rivelando cosa vi nascondesse al di sotto: Quel dannato Kris!
«Bene.» Fece lei. «Le mie facoltà non mi permettono di poterla uccidere tuttavia gli Dei non mi hanno negato la possibilità di aiutare qualcuno intenzionato a farlo.»
Maris si sporse verso il Kris con cautela, osservando da vicino gli artigli della lupa premuti su piccoli fori di usura della roccia.
«Custodisco questo pugnale da diciotto anni.» Il Kris prese a risplendere di luce propria. «Quando stessa l'Oscurità l'ha espulso dalla sua prigione.»
Di colpo un groppo gli si formò in gola, Maris si ritrasse nello stesso momento. «Cos'è successo diciotto anni fa?» Non sapeva se fosse pronto per la verità, pronto per conoscere la morte di Aegir.
«Un'Anima D'Oro è giunta al mio cospetto chiedendomi di entrare. È scampato alla morte per un soffio ma, con sé, portava tra le braccia una creatura creata dal caos, capace di dominarlo e di annientarlo.»
Maris sentì ogni suo muscolo irrigidirsi, per un attimo pensò di avere il bisogno di sedersi ma rimase immobile. Con l'indice teso provò ad interrompere la lupa, ma non ci riuscì: «Dopo poco la stessa Anima D'Oro fece ritorno, questa volta da solo, ma con sé aveva un'arma in grado di porre fine ad una forza più antica della vita stessa. Ma da quel momento nessuno vi uscì. Ora giungi tu, d'oro nell'anima ma non nel cuore. Non sei in grado di porre fine all'oscurità ma non spetta a me contraddire il disegno del destino. Quindi va' e sta attento!»
Maris la guardò sbigottito, quello che aveva detto la lupa non sembrò avere senso. Cercò di mettere in rassegna quei concetti ma non vi colse alcun nesso logico.
«Essere splendido.» Una buona dose di elogi non poterono mancare. «Può ripetermi la storia con maggiori dettagli. La parte dell'Anima D'oro uscita con la creatura... come hai detto? Sì, creata dal caos non mi è parsa tanta chiara.»
La lupa lo fissò senza scomporsi. «Esisto da due millenni e non ho mai ripetuto niente per due volte.» Il tono rimbombò contro di lui. «Raccogli il pugnale e fai quello per cui sei venuto!»
Maris fece come gli era stato detto.
Sentì un pizzicore alla mano quando maneggiò il Kris. La lama semitrasparente, era formata in cristallo di roccia. Era come guardare un pezzo di ghiaccio solidificato. Al suo interno, filamenti di minerale nero, adornavano la lama a serpentina e, dello stesso materiale vi era formata anche la punta affilata. Il manico, interamente d'oro, era tempestato da alcuni diamanti lungo i bordi. Assottigliando gli occhi, Maris vide che all'interno di questi vi fosse una sostanza aeriforme. Come se i BlackSmith, che l'avevano forgiato, fossero riusciti ad intrappolare l'essenza delle nuvole.
Maris si tastò il collo, mise a paragone il materiale della punta del Kris con il ciondolo della collana.
«Dove l'hai presa?»
Lui distolse lo sguardo, accorgendosi del cambio di espressione della lupa. Le sue narici si muovevano a scatti, le orecchie appuntite erano rizzate sull'attenti.
Maris non rispose, lasciandosi scivolare di nuovo la collana sotto il tessuto umido della maglietta. L'attimo dopo ripose il Kris alla parte della fascia che aveva rimasto vuoto, proprio per quell'utilizzo.
«Per essere solo una portinaia, sei tanto curiosa.» La provocò, togliendosi un sassolino dalla scarpa. Ma non voleva calcare troppo la mano, quell'essere sembrava espellere sprazzi di magia pura.
La coda della lupa si rizzò come un segmento, tra un ringhio e l'altro gli spiegò: «Quella è Ematite, la sacra pietra che protegge dall'Oscurità ed è proprio in essa che saprà guidarti.» La collana che essa aveva al collo tentennò, Maris ebbe la conferma che anche quella della lupa fosse Ematite.
L'ultima frase che gli aveva citato si ricordò di averla già incontrata nella lettera di Aegir. Nonostante tutte quelle conferme, i dubbi continuarono ad accrescere dentro di lui.
«Grazie della delucidazione in cristalloterapia, fa tutto parte del pacchetto?»
Con noncuranza si apprestò a superarla, la guardiana convenne con tono solenne: «Se fallirai o avrai successo diverrai lo stesso un cadavere. E farò in modo che quella collana torni alla creatura che è nata dentro questo vulcano.» Gli occhi gialli scintillarono. «Questo fa parte del pacchetto.» 

Una Realtà a ColoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora