Trentasei

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 Dai, Diana, sei seria? Questo iniziò a ripetersi quando si accorse che osservare Maris in ogni sua movenza, facesse risultare superficiale ogni altra cosa

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Dai, Diana, sei seria? Questo iniziò a ripetersi quando si accorse che osservare Maris in ogni sua movenza, facesse risultare superficiale ogni altra cosa. La sua visuale rimase ingaggiata su di lui anche quando scese tra la folla. L'inconfondibile linea delle spalle, i capelli bruni e selvaggi, la curva del bacino e la camicia etnica lo fecero risaltare come un ago brillante tra la paglia. Lo fissò con un sorriso di complicità anche quando interpretò la parte del bravo ragazzo e si imbatté nel direttore, così sicuro di sé e del suo corpo. Basta! Dovette sospirare, distraendosi da quella spirale ipnotica e pericolosa. Fremeva di portare a termine la missione e, ora che forse avevano le chiavi, pensò che la fase successiva potesse iniziare. Così fece attenzione alla gonna del vestito, che non si intrecciasse fra le gambe, mentre scendeva le scale della piattaforma.
Ma d'un tratto Diana si immobilizzò sul posto, con il piede bloccato ad un soffio dal gradino, fu fortunata che non perse l'equilibrio, cadendo di fronte a tutti. I muscoli del collo si solidificarono nella direzione delle due figure che l'avevano colta di sorpresa. Un tuffo in quella che, una volta, era la sua normalità.
«Quando Tommy mi ha detto: non ne sono sicuro, ma Diana è qui...» La voce di Arianna fu come una melodia dimenticata, era proprio davanti a lei, in divisa per l'evento del museo. «Ho pensato: è impossibile.» I capelli mossi racchiusi in una coda malfatta e gli occhi furibondi contornarono la sua reazione.
Con un movimento veemente, Arianna passò il vassoio vuoto a Tommy, dietro di sé. Anch'esso la guardava come se stesse fissando un fantasma, anziché Diana, in carne ed ossa. «Dopo due mesi dalla tua scomparsa, due mesi in cui i tuoi genitori non hanno detto altro che: non sappiamo dov'è ma è viva.» Intonò con voce irata, sbattendo il suo indice contro la sua spalla. «Ho aspettato con dolore un tuo messaggio perché avevo la consapevolezza che fossi troppo testarda per morire. E tu che fai? Dopo due mesi la tua unica priorità è venire a ciondolare ad un evento in città come se niente fosse. Mi viene da pensare: Che razza di stronza!»
Il cuore di Diana prese a battere freneticamente e un senso di panico strisciò sotto la sua pelle. Aveva completamente ignorato quella minima possibilità, non tenendo conto della loro partecipazione all'alternanza scuola-lavoro. Si ritrovò a non essere per niente preparata su come gestire quel tipo di situazione perché, per i suoi genitori, sapeva che erano troppo presi dall'arte per assistere a quell'evento che, di arte, agli invitati, fregava poco. C'era musica, champagne gratis e alla gente bastava. Se vi era anche qualcosa da poter fotografare e pubblicare sui social, ancora meglio. Ma rivedere i suoi due migliori amici, nonostante l'effetto sorpresa non desiderato, fu una gioia per i suoi occhi. Così non tenne conto del loro stato di rabbia, del tutto giustificata, si avventurò su di loro per sciogliersi in un abbraccio che desiderò da tempo. La freddezza in loro la raggelò ma, poco dopo, ricambiarono con intensità, riassaporando ogni momento.
«Sono stati due mesi d'inferno.» Le sussurrò Tommy. «Senza di te niente è più normale.»
Diana sorrise con tristezza. «Vi devo tantissime spiegazioni.» Rispose. «Mi siete mancati così tanto.»
Tommy e Arianna la presero per mano, trascinandola verso una stanza stretta come un corridoio senza uscita. All'interno vi era disposti tavoli contro il muro, ricolmi di calici vuoti e alcuni lasciati a metà. Dall'altra parte, una fila di lavastoviglie erano pronte per ripulire il tutto e oltre a qualche cameriere che entrava per ammassare ulteriori calici, furono completamente soli.
«Tutto bene? Come stai?» Arianna la prese per le spalle, guardandola come se fosse un miraggio. Ora la rabbia sembrava essere stata sostituita dalla preoccupazione. «E come ti sta bene questo vestito.»
Diana aizzò gli occhi al cielo divertita. «Si, sto bene, davvero.» Respirò profondamente. «Ma non ho molto tempo.» Odiava non potersi godere appieno quel momento. «Però» ci pensò su prima di completare la richiesta. «Sapete come raggiungere l'ufficio del direttore?»
I due ragazzi si guardarono negli occhi. «Perché?» Chiesero all'unisono. «Diana ce lo devi, non capiamo cosa diavolo ti stia succedendo.» Continuò poi l'amica.
«Tommy» Diana saettò primo lo sguardo su di lui. «Arianna» mormorò dopo, rivolgendosi a questa. «Quando sarà tutto finito, vi prometto che vi spiegherò ogni cosa. E sarà una decisione vostra credermi o no. Ma non so come, non so perché... mio padre mi ha lasciato un oggetto importante nel vaso di Pandora che il direttore ha in ufficio. Era scritto tutto nel biglietto che mi ha lasciato con la collana.» Disse poi indicando il ciondolo lunga la scollatura.
Tommy assottigliò le sopracciglia. «Tuo padre era una spia allora?» Impressionato del fatto che neanche lo staff del catering sapeva di cosa trattasse il manufatto segreto dell'esposizione.
Diana pensò a quale termine fosse giusto da usare. «Tecnicamente si.» Minimizzò infine. «Faceva parte di un gruppo segreto e proprio con loro sono stata in questi mesi. Ma ora opero da sola e la mia missione è il vaso.» Spiegò tutto d'un fiato, tentando di rendere i particolari conformi alla loro realtà in bianco e nero. «Voglio solo il tuo interno, non voglio creare un putiferio. L'evento continuerà senza che nessuno se ne accorga ma ho bisogno del vostro aiuto. »
Diana si sentì egoista, gli stava chiedendo di mettere a rischio il duro lavoro accumulato durante l'ultimo anno di liceo. Li avrebbe compresi se le avessero negato l'aiuto ma fu un passo azzardato che dovette fare.
Arianna, d'altro canto, aveva sempre creduto che Diana non fosse come lei o come tutte le altre ragazze. Negli ultimi tempi aveva assistito a molti episodi ambigui nella sua vita: le voci, gli scatti d'ira, l'incidente senza dinamica e il rapimento, non erano di certo step di una vita normale. Ma era curiosa di sapere in cosa si fosse immischiata, voleva aiutarla anche se era consapevole di non avere abbastanza capacità nel farlo. Però, ora, poteva dare il suo contributo.
«Va bene» le disse infine Arianna, sorridendo con dolcezza. «Noi ci saremo sempre per te.»
Ma d'un tratto Diana notò gli occhi della ragazza scivolare oltre la sua spalla, in direzione dell'entrata. «Lui è con te?»
Lei si girò, consapevole già a chi si stesse riferendo. Adocchiò Maris appoggiato allo stipite della porta con le mani nascoste nelle tasche e con uno sguardo indagatore. Tra un sospiro e l'altro, rispose: «Non opero proprio da sola.»
«Buonasera.» Scoccò Maris, raddrizzandosi sulla schiena e avvicinandosi al gruppo.
Tommy lo osservava indispettito da sotto la coltre di ricci mentre Arianna si dischiuse in un'espressione accorta quando notò il suo portamento presuntuoso. Ma prima che potesse dire qualcosa, Diana le chiese: «Conosci un modo per farmi oltrepassare la security?»
«Farci.» La corresse Maris. Già non era facile trovare un equilibrio stabile con lei e ora, erano apparsi i due camerieri che riconobbe attraverso i racconti sulla vita di Diana. Erano i suoi due migliori amici e sapeva che lei si fidava ciecamente ma lui no. «Non penso che dovremmo farci aiutare.» Le disse, come se i due nella stanza non potessero sentirlo. «Ti ricordo che non sono faccende loro.»
«Scusa come?» Formulò Arianna, palesemente irritata.
Maris prese un bicchiere vuoto tra le mani, osservandolo distrattamente a mezz'aria. «Sei troppo giovane per avere problemi all'udito». Con un gesto fulmineo lo sbatté contro il tavolo facendo sussultare tutti. «Ah questo lo hai sentito? Quindi immagino che non ci sia il bisogno che mi ripeta.» Si girò verso l'uscita, intimando Diana di seguirlo.
«Ti diverte spaventare le persone?» Replicò di nuovo Arianna.
«Non quanto mi diverte ucciderle ma per tua fortuna non sto cercando quel tipo di svago.»
«Dovresti lavorare più sui rapporti sociali sai? Questa area un po' American psycho e un po' da vichingo non ti si addice.»
«Ahi, stai cercando di ferire i miei sentimenti?»
«Sto solo cercando la mia amica.»
«Beh, la tua amica sta con me quindi dovresti preoccuparti di darmi un motivo per cederti una possibilità di fiducia.»
«Io mi fido di loro.» Subentrò invece Diana, prendendo le parti di entrambi. Non ci avrebbe pensato due volte ad affidare loro la sua vita in mano.
Maris sospirò. «La cosa peggiore del tradimento è che non viene mai dai tuoi nemici.»
«Citi Il Padrino per dispensare le tue cazzate?»
Anziché essere arrabbiato, Maris rise di gusto, mimando la caricatura di un inchino. «Tu sì che sei acculturata, sorprendente.»
«Come ho detto.» Diana riprese le redini della conversazione. «Vi spiegherò tutto ma è davvero importante per noi raggiungere quell'ufficio.»
«Ok, ok.» Fece Tommy, fissando ancora Maris con timore. «Ma servono le chiavi per entrare, le avrà addosso il signor Cooper» Disse, grattandosi la nuca.
Diana si avvicinò a Maris, porgendogli la mano, certa che fosse riuscito nell'impresa di prima.
«Non mi faccio mettere da parte da un branco di liceali arroganti.» Canzonò lui, stringendo le chiavi strette nella tasca.
Repentinamente, Diana bloccò Arianna fare un passo avanti. «Calmiamoci, ok?» Disse digrignando i denti e desiderando una vista laser per le parole espresse. Quella situazione le aveva già impegnato rintocchi di un tempo che non avevano. «Vuoi completare la missione, sì o no?» Sbottò infine, insistendo con la mano aperta nei confronti di Maris.
«Ma non hai neanche un piano.»
«Certo che lo abbiamo.» Subentrò Arianna, felice di contraddirlo. «Diana può passare inosservata, se è accompagnata da qualcuno dello staff. Ma l'aiuto è riservato solo a chi si fida degli amici.»
Maris si lasciò a un sospiro spazientito, controllando la sua indole a ribellarsi. Con uno sguardo angusto passò il mazzo di chiavi a Diana, avvertendola di avere un massimo di dieci minuti, prima che il direttore avesse potuto accorgersene. «Se non ce la fai, faremo le cose a modo mio.»
Diana poi si rivolse confusa verso Arianna, mentre cercava un calice finito a metà. Una volta individuato, lo afferrò tra le mani e le disse: «Scusami per quello che sto per fare.»
Lei deglutì, realizzando solo dopo il motivo delle sue scuse. Arianna le lanciò sul vestito il contenuto del calice, facendole insidiare nel naso l'odore amaro dello champagne. Il corpetto si macchiò completamente e la sua pelle si ricoprì gocciolante di schiuma.
«Fa che sia una buona idea.» Grugnì Diana, respirando a tratti mentre la risata di Maris sovrastava il tremolio dell'irritazione.
«Inizio ad essere felice per non aver insistito.» Puntualizzò lui ma arrossì inconsapevolmente quando notò come il vestito le si fosse compresso addosso, mostrando ogni particolarità dei suoi seni. Non vide l'ora di completare la missione e tornare a casa per poter proseguire ciò che vi fosse in sospeso.
«Qualsiasi movimento strano: chiamami!» Delegò infine Arianna, scambiandosi un cenno del capo con Tommy. Poi, con un sorriso forzato e schivo, mentre prendeva l'amica per la mano, indirizzò a Maris un occhiolino compiaciuto. «E tieni d'occhio Mr Simpatia.»
Diana osservò in silenzio la scena divertita e, mentre si allontanava verso l'esterno del corridoio, si girò a guardarlo. Lui fece altrettanto, come se stesse aspettando solo i suoi occhi. Roteò l'indice a mezz'aria con un sorriso malizioso, leggendo il movimento delle sue labbra : Io e te, ce la vedremo dopo.
Arianna guidò Diana di nuovo in una delle sale dove vi erano i festeggiamenti, fino ad una porta con su scritto "Vietato l'accesso al pubblico", sorvegliata da un omone con un microfono a spirale pendente da un orecchio. Poco prima di rivolgergli la parola, Arianna, d'un tratto, cambiò atteggiamento nei suoi confronti come se non la conoscesse. «Signorina, chiedo sentitamente scusa. Ora provvederò a tutto io.» Disse con tono supplichevole.
Diana trattenne una risata ma aveva capito il gioco così cercò di similare una faccia infuriata mentre si lamentava sotto voce del suo vestito bagnato.
«Dove andate?» Chiese l'omone, guardando la gracile ragazza in divisa di fronte a sé.
«Tu sei Gerald, vero?» Chiese Arianna, soffocando il sorriso che aveva in volto quando non ricevette alcuna risposta. «Ho urtato la signorina con un bicchiere, vorrei portarla nel nostro spogliatoio dove abbiamo la soluzione per quella macchia.» Spiegò, indicandogli il vestito da sera compromesso.
L'omone grugnì spazientito, così Arianna insistette, alzandosi sulle punte e sporgendosi verso di lui. Diana fece finta di niente ma riuscì a cogliere lo stesso le parole sussurrate: «Se non le tolgo quella macchia si lamenterà con il capo, Gerald, non farmi licenziare. Mi servono i crediti per il diploma.»
E, a quanto pare, con le giuste parole supplichevoli, Gerald si dimostrò facilmente convincibile. Con un ulteriore grugnito, serrò la mano attorno alla maniglia aprendo abbastanza la porta per dare la possibilità alle due ragazze di oltrepassarne la soglia.
Diana rise divertita mentre stava cercando di asciugarsi la pelle con la manica del vestito. «Avevi quasi convinto anche me.» Sospirò, ricevendo sollievo alle orecchie per il silenzio che vi era tra i corridoi riservato al personale. Tuttavia, la tensione fece capolino, si strattonò le mani per farla scivolare via. «Grazie.» Continuò dopo qualche secondo. «É davvero tanto quello che stai facendo.»
«Mi vuoi spiegare che succede o vuoi continuare con la farsa del gruppo segreto? Abbi il coraggio di dirmi chi sei!» Fece Arianna, travalicando le varie porte poste lungo il corridoio. «Io e Tommy abbiamo capito che sei diversa. Ma non sodi cosa si tratta, ma so per certo che sono stata in pensiero per tutto questo tempo. E ora ti vedo qui così muscolosa e piene di cicatrici che ti fanno super figa.» Le indicò la gamba nuda segnata da quello che le sembrò essere le orme di un combattimento.
Diana sorrise, avvertendo il rossore colorare le sue gote. Le era mancata la sua migliore amica e la sua sincerità.
«E vogliamo parlare di quel tipo?» Continuò Arianna a ruota libera. «Così stronzo e dannato.»
Diana trasse un sospiro, pensò che si meritasse almeno quella piccola parte di verità. Perché un tempo Maris, aveva riguardato anche lei. «Ricordi quando feci quei sogni sul ragazzo misterioso?»
Arianna si contrasse in una smorfia. «Certo!» Sbottò. «Come posso dimenticare le notti passate ad immaginarlo... e quando abbiamo chiesto ai ragazzi della nostra scuola se avessero quella cicatrice?» Rise di gusto. «Che carini quelli della squadra di rugby che si sono fatti credere sulla parola... Ricordi? È stato notevolmente soddisfacente vedere tutte quelle magliette essere sfilate via.» Mormorò infine, portando la sua mente a quei momenti spensierati.
Diana si morse un labbro, realizzando solo con quelle parole a quanto avesse desiderato Maris ancor prima di incontrarlo. Così si lasciò ad un gemito esasperante. «Beh, è lui.» Rivelò. «Lui ha quella fottuta cicatrice.» Ed è stato come un figlio per mio padre, ma questo lo lasciò detto solo a sé stessa.
Arianna si fermò sul posto, con gli occhi sgranati dalla sorpresa ma si contenne quando vide passare un inserviente delle pulizie. «Vedi!» Soffocò la voce squittente, continuando a camminare e aggiungendo alla lista di peculiarità di Diana anche i sogni premonitori. «Non mi sembra normale sognare un ragazzo e incontrarlo nella realtà, tra l'altro si scopre che è frutto di una scopata tra Thor e Afrodite... un figlio sopra ogni canone estetico.» Arianna riprese fiato. «E penso che ci sia qualcosa fra di voi.»
Diana alzò il volto di scatto. «No, che dici.» Rispose di rimando. «Ci aiutiamo a vicenda.»
L'amica rise come se le aveva appena fatto una battuta squallida. «Quanta complicità sprecata.» Disse subito dopo. «Basta che alla fine di tutto, ti riporta sana e salva da me.»
Diana si chiuse in una bolla... alla fine di tutto... ci sarebbe mai stata una fine?
«Sono io, puoi parlarmi.» Le disse d'un tratto. «Cosa ti sta succedendo?»
Avvertiva il corpo pesante, non poteva dirle la verità così com'era. Diana era sicuro che non l'avrebbe potuta capire. «Sembra che la vita mi abbia incastrata in un romanzo fantasy.» Si morse un labbro. «Non so come spiegarlo, ho delle capacità.» Balbettò per paura di essere considerata prossima al manicomio.
«Se parli della capacità di rompere le palle, sì approvo pienamente.» Sbottò in risposta Arianna. «Bene, quindi ricapitolando ho un'amica: spia, strega e veggente.» Il suo scetticismo fu palpabile.
Ma non ci fu modo di parlare ulteriormente che si fermarono di fronte una porta realizzata con il legno di ciliegio, una piastra in ottone recitava il nome del direttore: Henry Cooper.
Diana le passò le chiavi, con lestezza Arianna trovò quella più adatta e la inserì nella toppa, facendola scattare con uno scricchiolio. Non appena sorvolò la soglia, partì a studiare il lato dell'ufficio che non conosceva. Vi era solo una parete attrezzata con varie statuette in miniature disposte in fila sulle mensole. Al centro, poggiando sul pavimento, vi era una cassa di legno con su sopra una copia della Distruzione del Leviatano. I bordi leggermente rialzati risaltarono subito all'occhio, costatando che il quadro funzionasse da anta.
«Chi sieteee?»
Diana udì la gufa all'interno della gabbia, con un gesto istintivo posò gli occhi su di essa e affogò la risposta infondo alla gola.
«Tu mi capisci?»
Continuò ad ignorarla, al contrario si rivolse ad Arianna. «Puoi aspettarmi fuori?»
«Perché?» Chiese lei con voce sommessa. «Aah, devi usare i tuoi poteri?» La voce mista all'ironia risuonò dalla sua bocca.
Diana serrò le mani, respirando profondamente attraverso le narici. «Ti chiedo solo cinque minuti.»
«Ok, ok!» Borbottando, Arianna fece cigolare di nuovo la porta, studiando se prima il corridoio fosse libero. «Aspetto qui.»
Quando fu finalmente sola, Diana girò il collo, rivolgendosi al volatile. «Rispondendo alle tue risposte: sono Diana e sì, posso comprenderti. Come ti chiami?»
«Nebula.» La voce sottile si librò nell'aria e le ali sbatterono per la sorpresa.
«Bene, Nebula, ho una proposta da farti.» Proferì infine, accarezzando con le dita il bordo della cornice che aveva adocchiato. Spinse leggermente verso l'interno, un clic risuonò acuto e il dipinto si aprì come un mobile. La cassaforte si rivelò ai suoi occhi, scacco.
«Un esemplare magnifico come te non può rimanere in una gabbia, il cielo azzurro ti aspetta e io posso essere il tuo lasciapassare per la libertà... ma in cambio vorrei solo un piccolo favore: la combinazione.» Continuò con voce dura.
«Cosa ti fa pensare che io la sappia?»
«L'avrai vista inserire almeno un centinaio di volte, quindi sorvoliamo questi convenevoli.» Si pentì del tono usato.
«E permetterti di rubare?»
Diana sospirò. «Non ruberò niente, mi serve solo una cosa all'interno che appartiene a me. Come la libertà appartiene a te.»
«Niente da fare.»
«Nebula possiamo aiutarci a vicenda.»
«Non ho neanche un motivo per volare via, quindi no.» La testa dell'animale si muoveva come se fosse dotato di rotelle girevoli. Ai lati fuoriuscivano dei piccoli ciuffi, il piumaggio era colorato da vari strati di macchie, che aumentavano gradualmente di colore. Da un marroncino chiaro fino ad arrivare, vicino gli occhi strabuzzanti, un colore tendente al nero, sembrava indossasse una sorta di maschera.
Diana ripensò alle parole di Maris che le ricordavano che, sfruttare la tatto-ipnosi, poteva risultare la via più facile per la vittoria. Ma lei aveva un debole per il libero arbitrio, anche se ora esso, sembrava non giovare a suo favore. È vero, si era posta con poca diplomazia tuttavia non capiva perché Nebula tenesse fede alla prigionia. E la questione di avere i minuti contanti la portò a non avere un discorso abbastanza convincente per una volontaria collaborazione. Così iniziò ad avvicinarsi con sospiri di disapprovazione rivolti a sé stessa, sentiva le mani sudate nonostante le strofinasse continuamente sul tessuto della gonna.
Diana fece scattare il lucchetto con una delle chiavi del mazzo. «Buona Nebula, non voglio farti del male.» Con uno scatto del polso schivò una beccata da parte della gufa, ma fu più veloce, poggiandole una mano sul dorso.
Diana si sentì inglobare dentro sé stessa, come se le loro menti fossero implose all'unisono. Contrasse ogni muscolo, accelerando la salita dal mare agitato che avviluppava la sua mente. Con un sussurro tra le labbra ordinò: «Dammi la combinazione.»
Quando la gufa recitò la sequenza di quattro numeri sotto l'effetto della tatto-ipnosi, si rinsavì bubolando freneticamente. «Cosa mi hai fatto? Perché ti ho detto quelle cose?»
Diana si guardò in giro, provando a calmare i versi riecheggiante tra le pareti, toccò di nuovo Nebula penetrando nella sua mente. Questa volta si rivelò una sfida combattere per avere la meglio, la gufa cercò continuamente di respingerla ma alla fine riuscì a citare le sue volontà: «Non permettere più a nessuno di metterti in gabbie e dimentic-»
Ma d'un tratto la mente di Diana venne squarciata via dalla connessione, percepì le sue spalle essere strattonate. Aprì gli occhi all'istante, un dolore lancinante la persuase dietro al capo. Non riuscì a respirare, affogando le urla di un collasso interiore. Si focalizzò su Arianna che la stava fissando con preoccupazione.
«Ti senti bene? Eri in trans fino a due secondi fa!» Balbettò lei, aprendo la finestra sulla parete per farle riprendere fiato.
Diana udì quelle parole come un suono assordante di una campana. La vista le si era annebbiata per qualche momento e farfugliò disorientata: «Mare... mare» Non comprese neanche lei cosa avrebbe voluto dire ma desiderò stendersi e avere le capacità di rilassarsi, pensando, appunto, al mare. Ma le continue domande di Arianna si scagliarono contro di lei come sassi e i battiti tachicardici fecero da sottofondo a quei frangenti.
Diana ci mise qualche minuto, che le parvero ore, per recuperare la concentrazione. Stava per essere uccisa dagli effetti indesiderati della tatto-ipnosi.
Non concesse alcuna rassicurazione allo stato allarmante dell'amica, ma dalle sue labbra scivolò un gemito di disperazione quando Nebula aprì le ali e volò via senza un attimo di esitazione. Non sapeva se l'ultima parte del suo discorso, tra l'altro quello fondamentale, era stato accolto dalla mente dell'animale. Ma si rimise dritta sulla schiena, strofinandosi gli occhi.
«Stavi parlando con il gufo?» Arianna balbettò incredula ad un tratto. «È questa la tua capacità? Non ci credo!» Sbottò subito dopo, incrociando le braccia al petto.
Diana si trascinò silenziosa fino alla cassaforte, poggiò due dita sul disco, dove vi erano incisi i numeri lungo il contorno. Ad ogni numero, e con il fiato sospeso di Arianna, le molle sotto al pannello in acciaio scattarono ad ogni girata. All'ultimo rintocco la cassaforte si aprì.
«NON. CI. CREDO.» Sussultò Arianna in preda al panico. «Sei davvero il Dottor Doolittle! Ma è una cosa pazzesca, puoi parlare con gli animali. Come funziona? Li tocchi, chiudi gli occhi e baam? Puoi sentire i loro pensieri?»
Diana si sostenne all'anta socchiusa, per un momento le sue gambe rischiarono di cedere. «Sì, so parlare con gli animali.» Sospirò, sentendosi con le mani legate. «Ma non lo puoi dire a nessuno, neanche a Tommy!»
Non stava andando niente per il verso giusto. E cosa le stava accadendo? Si sentì più instabile che mai e, ancora una volta, stava rischiando di mandare tutto all'aria.
Il corpo continuò a tamburellare ma si protese sulla scatola in legno massiccio che aveva visto all'interno della live. La portò davanti ai suoi piedi, troppo pesante per poterla poggiare da qualche altra parte. O, semplicemente, non ne aveva la forza. Con le pupille bagnate dal nervosismo, cercò nel mazzo di chiavi una che potesse corrispondere al lucchetto.
Arianna rimase per qualche istante a fissare l'amica adoperare sotto i suoi occhi, poi riprese il controllo e andò ad appostarsi alla porta per controllare la situazione che vi era in corridoio. Prese il telefono e controllò se vi fosse qualche aggiornamento. Rise. «Mi ha mandato un messaggio Tommy: questo tizio è insopportabilmente silenzioso.»
Diana sorrise con difficoltà, afferrando il manufatto per i manici, imballato a dovere. «Ci è andata bene, allora.»
Scacco matto. Il vaso di Pandora era alto poco più di mezzo metro, vi erano dei simboli tratteggiati e consumati lungo la parte inferiore. Salendo con lo sguardo si stagliava una raffigurazione mosaicata nei minimi dettagli. Illustrava un giardino dove da un lato, il colore dell'erba sembrava essere rinsecchito e dall'altro, invece, sorgeva prosperoso di un verde brillante. Al centro di questa contrapposizione era stata raffigurata una donna di spalle con la tunica e una corona di alloro dorata tra i capelli. Il mosaico non pronunciò altro se non lo stupore di Diana.
Dopo un lungo sospiro alzò il coperchio ma, quando si sporse per studiare il contenuto, l'aria nei polmoni svanì in una nuvola di fumo.
Il Vaso di Pandora era vuoto. 

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