Cinque

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«Ematoma Subdurale

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«Ematoma Subdurale.»
«Arteria radiale compromessa.»
«Preparate la sala operatoria.»
«Poche possibilità di sopravvivenza.»

Diana si svegliò di colpo, il dolore le esplose nel petto come se qualcuno l'avesse appena trascinata nel mondo dei vivi.

L'odore di disinfettante le bruciò le narici, tossì, e quel rumore bastò a far sobbalzare Peter, che dormiva accartocciato su una poltroncina.

«Finalmente ti sei svegliata.» Le disse, alzandosi dal letto per abbracciarla.

Diana cercò di riprendere il controllo del respiro. «Mi dispiace, ier-»
Ma prima che potesse continuare la frase, Peter le spiegò che erano passati cinque giorni da quella sera.

L'aiutò ad alzarle la manica del pigiama. Lì, sulla pelle pallida, la sutura nera le correva lungo il braccio e parte della mano. Sfiorarla le fece salire un brivido gelido fino alla nuca.

Peter le spiegò che, se non fosse stato per un gruppo di motociclisti di passaggio, non ce l'avrebbe fatta. I dottori l'avevano definita miracolata.

Diana ruotò gli occhi al soffitto. Pensò allo sconosciuto che l'aveva lasciata lì.

L'aveva salvata, sì. Ma anche condannata.

Stronzo, pensò.

«Vado a chiamare tua madre e i tuoi amici per riferire la notizia, non ti muovere.»

«Anche se volessi, non posso.» Mormorò avvilita, lasciandosi cadere contro il cuscino.

Il silenzio della stanza si riempì del ticchettio dei macchinari. Diana rimase a fissare il soffitto bianco, rivedendo a scatti la notte dell'incidente: le luci, l'asfalto, la sagoma di quella cosa che non poteva essere reale. Se non era una delle sue allucinazioni, allora nessuno era al sicuro.

E lei non sapeva come dirlo a Peter.

«Si è svegliata, dobbiamo avvisare il capo.»

Diana si tese con i muscoli contratti e doloranti. Udì quella voce in tono quasi impercettibile e pensò che provenissero dal corridoio.

«Secondo me ci sente.»
«Allora non parlare, stupido.»

Diana afferrò un coltello di plastica sul comodino e guardò in ogni punto della stanza, anche verso il soffitto. Oltre lei e due mosche che la infastidivano con il loro ronzio, non c'era nessuno. Forse stava davvero impazzendo.

La porta poi si aprì di colpo. Un medico entrò, seguito da suo padre, trascinandosi dietro delle lastre nere. «Sono contento di vederti sveglia.» Le disse. «Hai fatto la bella addormentata per un po'.» Inarcò un sorriso, fiero della propria battuta.

Diana ricambiò, accennandone uno tirato.

Attaccò le lastre su un pannello e le illuminò. Il cervello di Diana apparve, attraversato da luci e ombre.

«Mi sai dire come ti chiami?»
«Diana Mitchell»
«Quanti anni hai?»
«Diciotto.»
«Sai raccontarmi cos'è successo il giorno dell'incidente?»
«Perchè lo vuole sapere?»
Il dottore annotò qualcosa sul tablet. «Nessun segno di afasia, interessante.»

«C'è qualcosa che non va?» Chiese preoccupato Peter.

Con un dito il dottore indicò una zona precisa della lastra. «Questa che vedete si chiama area di Wernicke. Si trova nella parte posteriore della corteccia cerebrale del lobo temporale sinistro e serve per la comprensione del linguaggio.»

Diana guardò attentamente, cercando di capire cosa vedesse il dottore. Lì, in quella zona, c'era una strana macchia dai colori vivaci.

«Risulta essere stimolata... oserei dire: sovrastimolata»
«É qualcosa di preoccupante?» Domandò Peter, con voce ansiosa.

«In verità non lo so.» Meditò lui. «Il cervello sembra funzionare meglio del previsto. Solo... in modo autonomo. Come se alcune aree si fossero scollegate dal resto e avessero deciso di lavorare per conto loro.» Ma rassicurò che, per quanto inspiegabile, non sembrava essere motivo per un ricovero prolungato. «Nei mesi a seguire ti terremo sott'occhio, faremo un'altra Tac e se ci sarà il bisogno ti consiglierò uno psicologo. Ma ora hai bisogno di stare tra le mura di casa tua e riposarti.»

Peter fu al settimo cielo, ma Diana non si sentì così.
Il malessere psicologico si mise a braccetto con il malessere fisico. Un duo non proprio ben accetto.

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«Perché sei scappata?»
Peter si sedette accanto al letto con il volto scavato dalla stanchezza. «Quando ci hanno chiamato ho creduto di averti persa.» Si passò una mano tra i capelli totalmente alla deriva.

«Non puoi capirmi.» Sussurrò Diana.
«Allora fammelo capire.» Peter le prese la mano, accarezzandole le escoriazioni sulle nocche.

«Ho bisogno di capire, di scoprire i segreti del mio passato. Di Aegir e di mia madre, chiunque essa sia. Non posso fare finta di niente.»

«Nessuno ha detto che dovrai farlo.»

«Ma... come faccio a vivere così? Che non riesco a riconoscere me stessa?»

Peter inspirò: «Cosa ti dico sempre?»

Diana sbuffò: «Non permettere che, oltre al corpo, la vita ti consumi anche il cuore.» Cantilenò. «Lo so.»

«Ecco, quando tornerai a casa capiremo cos'è successo e partiremo da lì. Per certe cose ci vuole solo un po' di tempo per conoscerle.» Peter questa volta la fissò con i suoi occhi grigi. Poi sospirò, recuperando una catenina dalla tasca. «Hanno trovato questa nella tasca dei tuoi jeans, sicuramente la rivorrai.»

Le mostrò la collana e Diana fu felice di poterla riavere tra le mani. La superficie fredda della pietra splendente come l'ossidiana, le pizzicò la pelle. La ripose nel taschino del pigiama, non aveva ancora avuto il coraggio di indossarla.

«Grazie.» Sussurrò con la gola secca. «Ma ora sono stanca morta e anche tu.» Gli fece notare le occhiaie che aveva collezionato e la camicia stropicciata.

«Rimango qui con te.» Rispose lui. «Sta arrivando anche tua madre.»

«Giusto in tempo per portarti a casa.»
«Non se ne parla.»
Tra le labbra di Diana si formò un ghigno malizioso: «Se non riusciamo a trovare una soluzione, la morra cinese lo farà per noi.»

Un piccolo rituale tra padre e figlia ogni volta che non arrivavano a prendere una decisione. Insistendo che, sono io il genitore, non rappresentasse una valida motivazione per avere la sovranità sulle situazioni.

Lui la guardò con dolcezza. Non si oppose, portando il pugno a mezz'aria con l'angolo della lingua stretta tra i denti. Diana vinse con grande margine, conosceva a memoria la sequenza di mosse che adoperava Peter.

Quando provò a controbattere l'ennesima volta, lei lo sorpassò «In caso di necessità ci sono medici e infermieri ovunque.» Lo confortò «Domani mattina mi troverai sempre qui ad aspettarti.»

Una Realtà a ColoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora