Ventiquattro

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Vorrei sentire lo schiocco del tuo collo che si spezza, questo scattò nella mente di Diana quando percepì il caldo tocco di Maris, appena al di sotto della cintura

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Vorrei sentire lo schiocco del tuo collo che si spezza, questo scattò nella mente di Diana quando percepì il caldo tocco di Maris, appena al di sotto della cintura. Il sudore si posò sulla sua pelle come la brina all'alba che ricopre i rami degli alberi.

Fissò il suo sorriso soddisfatto mentre si torturò l'interno guancia con i denti. Pensò ad una infinità di modi per fargli male: un colpo assestato con la testa - ma non era così vicino - o un tentativo di rompergli le dita con le gambe - ma era troppo debole e non sapeva se il suo corpo sarebbe stato all'altezza delle aspettative.

Finì solo per rimanere immobile, con il frastuono del dolore esploderle dietro gli occhi. Un'autentica agonia la fece a pezzi, non risparmiandole neanche le ossa.
Fece un respiro interiore, cercando di essere razionale e di non dimenticarsi il lato sadico di Maris. Mirava a quello, a farla impazzire e di rendersi il più seccante possibile. Così Diana alzò gli occhi al cielo, sminuendo il momento di tensione che, invece, lui riuscì a raggiungere.

«Dimmi cosa vuoi e facciamola finita.» Lo intimò, lanciandogli poi un'occhiataccia di sfida.

«Dov'è la Giungla?» Le pose Maris, ignorando la sua aria di superiorità. Avrebbe riscosso la sua rivincita dopo che l'avrebbe rimasta appesa lì, fino a farle spezzare le ossa. Respira, si ripeté nella mente. Non doveva perdere le staffe di nuovo. Doveva mostrarsi imperturbabile.

«Non lo so!» A Diana le venne da ridere, perché era sincera. «Chi cerca, trova.» Gli cantilenò con voce infantile, in preda al delirio del digiuno.

«Per quanto riuscirai a resistere alla fame? Vuoi morire così?» Insistette lui con fare impaziente.

Oltre ad averne le palle piene, gli facevano anche male.

Maris osservò Diana tentare di mantenere uno sguardo competitivo, nonostante fosse evidente lo strazio che avvertiva lungo le braccia. Delle goccioline di sudore le rigarono il volto coperto di pallore e le ombre violacee accompagnarono i suoi occhi vitrei. È dannatamente testarda, pensò lui mentre studiava quell'impavido e odioso temperamento.

Ma Maris non aveva molto tempo, come voleva far credere, doveva considerare sia la banda assassina sulle loro tracce sia il livello di autonomia di Diana. Con il tormento che le stava affliggendo e il digiuno forzato, non sarebbe durata ancora per molto. Ma lui non voleva cedere di fronte la sua prepotenza, così tentò di provare un altro approccio. Non soddisfacente per i suoi canoni ma forse, così, sarebbe riuscito a farla parlare.

Andò a riprendersi la sedia, posizionandola a un'equa distanza di sicurezza.

«Lo so che ce l'hai con me perché ho ucciso Iside ma dovresti fartene una ragione. Non voglio che ci sia questo rancore tra di noi. Ricominciamo da capo ok?» Le chiese con disinvoltura. «Se mi dai le informazioni che voglio, forse, posso rivelarti anche io qualcosa.»

«D'accordo» sussurrò Diana. «Comincio io questa volta, chi... chi è Kali?»

Si lanciò spedita in quell'argomento personale, facendo finta di non saperne niente e stroncando sul nascere la continua tiritera di richieste a cui, effettivamente, non aveva soluzione.
Con un ghigno intersecato tra le labbra, Maris rispose: «Non sei nella posizione di fare domande.»

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