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Quando si svegliò nel cuore della notte, Diana imprecò per essersi addormentata troppo presto

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Quando si svegliò nel cuore della notte, Diana imprecò per essersi addormentata troppo presto.

La stanza era immersa in una luce fioca e il silenzio regnava sovrano, interrotto solo dal gocciolio ritmico della flebo.

Guardò un orologio appeso al muro: erano le quattro del mattino. Suo padre l'avrebbe raggiunta tra sole quattro ore.

Già annoiata, afferrò il telecomando e accese la TV. I colori si stabilizzarono lentamente, rivelando un documentario in onda. Provò a cambiare canale, ma il telecomando non rispose. Con un sospiro frustrato, si abbandonò al cuscino.

Lo schermo mostrava le immagini dell'isola del NeverDied, un luogo che in città tutti conoscevano. Nessuno osava avvicinarsi: le correnti trascinavano le barche contro scogli di pietra calcarea, e i racconti locali parlavano di pescatori scomparsi.

Il NeverDied era un enigma, tanto affascinante quanto inaccessibile. Praticamente un cliché alla King Kong.

Diana si girò su un fianco, lasciando che la voce narrante del documentario facesse da sottofondo ai suoi pensieri.

Ma decise di testare la propria autonomia:voleva lasciare l'ospedale sulle sue gambe, non su una sedia a rotelle. Così si mise a sedere, lasciando penzolare i piedi dal letto. Un capogiro la colpì, ma resistette. Poggiò un piede sul pavimento e rabbrividì per la freddezza delle piastrelle, riconoscendo con sollievo la sensibilità nei nervi.

Si alzò lentamente, aggrappandosi al bordo del letto. I muscoli, dopo cinque giorni di inattività, sembravano tubi di ferro. Con amarezza, non poteva fare altro che aspettare quelle quattro ore.
Un rumore di passi nel corridoio la fece sobbalzare. Alzò i pugni in allerta, ma si rilassò subito, riconoscendo il personale sanitario.

Non possono essere loro, pensò, quei cosi non potrebbero arrivare fin qui.

Ma il sollievo durò poco. Una strana sensazione le attanagliò il basso ventre quando vide delle figure sulla soglia della porta.

Non avevano l'aspetto di infermieri.

Tentò di chiamare aiuto, ma la vista di un lupo le tolse il fiato.

Diana non si accorse della siringa che scintillò sotto la luce soffusa dell'abat-jour. L'ago penetrò nel suo collo prima che potesse urlare. Un'ondata di calore le attraversò il corpo, scacciando ogni pensiero e trascinandola verso l'oblio.

«Devi venire con noi.»
Fu l'ultima cosa che udì prima di perdere i sensi. Ma non era stato l'uomo a parlare.

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Era davvero una bella giornata per Peter: avrebbe firmato le dimissioni di sua figlia.
Non sapeva se fosse solo nella sua testa, ma l'aria sembrava avere un tepore diverso, una fragranza sospesa tra speranza e paura. Era arrivato il momento di affrontare i fantasmi del suo passato, anche se erano il suo peggior incubo.

Negli anni, Peter aveva perso il senso del tempo inseguendo Aegir. Non ci volle molto prima che la polizia archiviasse il caso, riducendo suo fratello a un fascicolo tra tanti. Ma non accettò mai che la speranza potesse dissolversi con una decisione di un giudice. Continuò a rincorrere ogni minimo indizio che potesse riportarlo da lui.

Arrivò persino a coinvolgere un amico poliziotto, l'unico di cui si fidasse. Gli aveva procurato un certificato di nascita falso e gli chiese di indagare su proprietà, carte di credito, qualsiasi traccia.

Ma Aegir sembrava svanito nel nulla.

Ciononostante il fatto che conosceva l'indirizzo esatto della nuova casa, in cui Peter viveva con Megan, gli fece capire che lo osservava. Da lontano.

Fu tutto così inaspettato quella sera. Diana e una lettera d'addio.

Prima di entrare in ospedale, Peter si fermò in un bar vicino e comprò la colazione preferita di Diana. Sorrise, sperando di addolcire il rientro. Ma ogni raggio di sole fu spazzato via dalla vista della polizia all'ingresso della sua stanza.

Il letto era vuoto, scompigliato. Il materasso leggermente spostato, le coperte abbandonate a terra.

Un poliziotto gli si avvicinò con uno sguardo cupo.

«La stavo per chiamare, signor Mitchell.»

«Cos'è successo?» mormorò Peter, poi gridò: «DOVE DIAVOLO È MIA FIGLIA?»

«Andrà tutto bene, signor Mitchell.»
«Qualcuno l'ha vista?»

L'uomo abbassò lo sguardo. «Un testimone afferma di aver visto passare due uomini e un cane. Li stiamo identificando»

«E le videocamere?»
Il poliziotto scosse la testa. «È... complicato. I cavi delle videocamere sono stati rosicchiati dai topi. Attraverso i muri.» Sfogliò delle annotazioni sul taccuino. «La revisione era stata fatta tre giorni fa. Non riusciamo a spiegarcelo.»

Nel resto della spiegazione Peter si perse.

Non poteva essere successo di nuovo.

Sapeva che il poliziotto mentiva: non sarebbe andato tutto bene. Come Aegir, Diana non sarebbe più tornata a casa.

Una Realtà a ColoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora