Trenta

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Guarda da un'altra prospettiva

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Guarda da un'altra prospettiva.

Gli occhi le si sbarrarono quando quelle parole invisibili le diedero il buongiorno, seguite dalla solita e orrenda emicrania.
Diana si strinse il volto fra le mani cercando di contrastarla sotto il suo controllo. Subito dopo alzò lo sguardo stanco, ispezionando in giro se vi fosse qualcun altro oltre che a lei. Ma il silenzio solenne nella casa le diede la conferma di essere sola.

Così si ricompose, trascinandosi fino alla cucina per mangiare qualcosa. Uscì dal magazzino per prendere un po' d'aria e osservò il cielo risplendeva di varie sfumature. Le nuvole danzavano abbracciate, facendosi cullare dalla brezza del mare.

Poi si guardò in giro, pensando a Maris. Era sicura che fosse nei dintorni perché, altrimenti, le avrebbe lasciato un biglietto per avvisarla. Così lo andò a cercare, voleva iniziare il più presto e possibile la loro ricerca. Si diresse prima nel container cella-palestra ma non vi era alcuna traccia. Dovette fare un giro intero tra gli altri container prima di adocchiarne uno, non troppo lontano dal magazzino, con un anta leggermente sovrapposta.

Quando varcò la soglia dell'abitacolo in acciaio vide Maris di spalle, seduto ad una scrivania. Le trecce erano tornate ad adornare i suoi capelli, piegando ogni ciocca ribelle alla severità dell'acconciatura. Indossava una canottiera bianca, le scapole ben pronunciate misero in risalto la solidità della schiena. Ogni curvatura dei muscoli delle braccia erano tese a fare qualcosa che Diana non potette osservare a primo sguardo.

Si passò una mano sulla fronte, percependo dentro di sé uno strano calore calcare dietro ai suoi occhi. Per un attimo mise da parte il motivo per il quale lo stesso cercando.«Quindi è qui che avviene la magia?» Chiese e fu solo allora che Diana levò lo sguardo sulle pareti circostanti, studiando così il container.

Da come fosse strutturato, sembrò essere il laboratorio di Maris.

Ad una parete pendevano una varietà di attrezzi, sia quelli manuali che quelli elettrici. Sul pavimento sostavano mucchi di materiali come legno, pezzi di plastica e ferro. E oltre alla scrivania, dove fosse seduto a lui, vi era una sega da tavolo. Dei trucioli sparpagliati su di essa le sembrarono dei cumuli di neve. Un odore di vernice e acciaio si era stanziato nell'aria.

Maris si girò per rivolgerle appena uno sguardo, poi ritornò a lavoro.

«Non dovresti entrare qui dentro.»

«E perché?»

«Perché ti sto permettendo di vivere con me, di metterti i miei vestiti addosso ma non ti permetto di interrompere l'unico momento della giornata che mi fa sentire bene.»

Diana iniziò a gironzolare per il container, osservando delle piccole statuette di legno poste su varie mensole. Si accorse che fossero delle rappresentazione in miniature degli Oscuri. Le venature della loro pelle difforme era stato inciso con della pittura rossa. «Ah, capisco.» Sospirò infine.

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