Ventotto

70 4 2
                                    

Il comun denominatore di tutta quella crudeltà era solo una sciocca esaltazione della diversità come forma di competizione

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Il comun denominatore di tutta quella crudeltà era solo una sciocca esaltazione della diversità come forma di competizione. Anche se di essa, Diana, non vi vedeva neanche l'orizzonte.
La "differenza" tra Invisibili e Anime d'Oro, nel tempo, si era radicalizzata con un continuo richiamo ad ottenere il potere, enfatizzando l'incline difetto primordiale dell'uomo: il controllo. Per di più la tradizione di imporre, solo a chi detenesse la voglia del Triskell, un nome riferito ad una divinità, non era stato altro che il carburante per il disparità e il Diario aveva rappresentato la miccia fatale.

Perfino il Branco, era più umano degli umani. Nonostante la loro natura, predatori e prede, convivevano tra loro senza osservare stupide etichette. Zowie non odiava Adele per non saper strisciare. Javier non odiava Iris perché lei potesse volare e lui no. Erano diversi ma uniti dal senso di appartenenza per un obiettivo superiore.

Nessuno comprendeva le origini degli Invisibili – come quella delle Anime d'Oro – ma, come molte domande al mondo, una risposta non serviva. Perché la vita doveva essere ragionata?

Gli Invisibili non detenevano i due eleggenti dei tre del Triskell, segno di debolezza? Per Diana no. Erano pur sempre guerrieri migliori e con sensi più sviluppati, siccome privi della vista.
Gli Invisibili, inoltre, erano esenti degli effetti a lungo termine della tatto-ipnosi. Essa era come una clessidra, dopo ogni connessione, la mente faceva ricadere un granello di sé.

Il loro senso di fallimento non era altro che il risultato del bisogno di superamento. Il continuo bisogno a essere di più. Gli Invisibili lottavano per mantenere l'equilibrio del mondo, insieme agli altri due gruppi del Sacro Triskell. Ciò rappresentava un motivo valido per essere fieri di sé stessi. Ma la loro storia non glielo permetteva.

E tutto questo aveva permesso un atto di crudeltà verso un membro della squadra – e chissà di quanti altri. Agrotes era stato ucciso e dissanguato per un malsana convinzione. E Diana davvero si sentì persa. Ogni persona a cui aveva voluto bene divenne una lancia nel suo petto. Ogni momento passato con Iside e Gabriel, ogni loro insegnamento e ogni parola motivazionale che le avevano concesso le fecero solo ribrezzo.
Maris non le sembrò l'unico psicopatico che avesse conosciuto.

I suoi occhi azzurri rimasero fissi in quelli pensosi di Diana. «Quelle persone hanno il delirio dell'onnipotenza, sono pronti a tutto.»

«Dimentichi un particolare.» Aggiunse lei con tono sommesso. «Non li conosci, non tutti sanno la verità.» Cercò di essere convincente anche se non sapeva neanche lei se li conoscesse davvero.

Marcel le aveva mentito, per gli altri era solo una consapevolezza che non voleva accettare.

«Tanta cecità l'avrà potuta portare solo l'amore.» Mormorò lui con tono smielato. «Una lei?» Le chiese per prima, assottigliando gli occhi per osservare ogni dettaglio del suo volto. «O un lui?» Chiese infine, notando il petto di Diana arrestarsi per qualche secondo, trattenendo il fiato.

Una Realtà a ColoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora