𝐏𝐒𝐘𝐂𝐇𝐎𝐌𝐀𝐂𝐇𝐘:
𝑈𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑙𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑟𝑎 𝑙'𝑎𝑛𝑖𝑚𝑎 𝑒 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑟𝑝𝑜, 𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑖𝑙 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝑒 𝑖𝑙 𝑚𝑎𝑙𝑒.Maris non comprese se quella fosse stata una conferma dei suoi tumori ma finì soli per chiedersi: cosa c'entra Diana in tutto questo?
«Hai delle questioni da sbrigare.» Continuò infine la lupa. «Sii ferreo nella mente o morirai prima del tempo.»
Maris alzò gli occhi al cielo, sorpassandola. «Criptica e sinistra, bene.» Borbottò tra sé e sé, consapevole che fosse stato lo stesso sentito.
Quello che trovò di fronte a sé, scavato nella pietra, potette essere catalogato come una delle sette meraviglie del mondo. Il monumento era formato da due facciate: quella inferiore era stata costruita come un Tempio con tanto di frontone, sostenuto da quattro colonne. Su di esso, erano state raffigurate figure femminili di varie etnie ma con il medesimo simbolo stampato sulla fronte: una luna nera. La facciata superiore, invece, sormontata da frontoni spezzati, accentuava la struttura circolare che vi era nel mezzo, composto infine da un tetto a cono.
Appena Maris oltrepassò la soglia fu inglobato dal buio. Fu come avere gli occhi chiusi. Senza azzardare passi alla cieca, fece scivolare la spallina dal suo zaino. Questa volta aveva provveduto a portarsi una torcia.
Ma qualcosa si illuminò prima di essa, qualcosa sotto al tessuto della sua maglia.
Maris inclinò il capo, trattenendo il respiro per lo stupore. Il ciondolo della sua collana si era illuminata come un faro. Lo prese tra le dita, al tatto era fredda e l'intensità non lo accecò. Non comprese cosa avesse avviato il meccanismo di accensione o cosa alimentasse quella luce ma accantonò l'idea di usare la torcia, quel bagliore fu abbastanza per rendere nitido il corridoio che stava percorrendo. Era un tunnel nella roccia, le pareti umide erano ricoperte da chiazze di fiori e altre da chiazze bioluminescenti.
Maris iniziò a camminare, prestando poco interesse attorno a sé. La sua mente si stava torturando per altro: Come fa essere Diana legata a questo posto? Come fa ad essere nata qui dentro?
Lei, la collana, suo padre... per Maris nulla sembrò avere senso. E se non fosse sua figlia? No, non può essere. Diana è figlia di Aegir e Evelyn.
Tra un pensiero e l'altro percepì le pareti del corridoio addossarsi pian pian su di lui. L'ultimo tratto fu costretto a percorrerlo con il busto piegato da un lato. Quando lo terminò, le pareti scomparirono alle sue spalle. Pensò di trovarsi in una stanza più grande perché il bagliore della collana ricoprì solo un raggio limitato. Maris respirò appena per rendere più nitido il suo udito, era tutto così solenne e immobile che lo stomaco gli si era ristretto per l'inquietudine.
Il terriccio, sotto alla suola delle scarpe, iniziò a sfumarsi con delle lastre di legno scricchiolanti. L'andamento prese ad inclinarsi verso l'alto come se stesse attraversando una piattaforma. Così Maris prese la collana e la tese di lato. Suggestione e paura gli fecero arrestare il passo. Si trovava letteralmente su un ponte, al di sotto, un lago dal quale emergevano centinaia di braccia tese verso l'alto. Le dita affusolate era schiuse con avidità come se pronte a trascinarlo giù con loro. Maris dovette guardare con più attenzione per capire che fossero solo braccia di pietra. Non si aspettava di trovare così tanta scenografia intimidatoria.
Al termine del ponte non vi era altro che un'apertura nella roccia. Intravide l'ombra di un fuoco ardere senza fine. Quando vi giunse, la collana smise di illuminarsi. Dopo un bagliore intenso si spense, come se Maris si fosse immaginato tutto.
Quando alzò lo sguardo notò di trovarsi in una sorta di cripta. Fu strano avere la conferma, ogni dettaglio combaciava con il sogno di Diana. Tre statue erano collocate in scavature nel muro opposto dell'entrata. Maris si avvicinò a passo felpato per osservarle meglio: erano proprio Afrodite, Atena ed Era. Il marmo era perfettamente levigato e delle tuniche fasciavano le spalle evidenziando le curve dei loro seni.
«Tanto belle quanto stupide.» Una voce liliale si levò nell'aria.
Maris sussultò roteando gli occhi di lato. Vi era una stanza comunicante, un piccolo spazio dalle pareti luccicanti. Ematite, era incastonata ovunque. In alcuni punti erano stati disegnati strani simboli con del sangue. Dei teschi consumati dal tempo giacevano a terra come una Necropoli. Al centro una figura, coperta da una lunga stola, sembrava fluttuare ad un soffio dal pavimento.
Maris non comprese cosa o chi avesse di fronte ma notò, in corrispondenza della soglia, una barriera torbida. Era diversa da quella che aveva attraversato prima che diventasse crocchette per Oscuri. Questa sembrava essere alimentata da qualcos'altro, sfarfallava ad ogni respiro.
«È bastato incidere sopra una mela d'oro alla più bella per far scatenare una guerra, sciocco non trovi?» Un sogghigno fece sussultare il lembo della stola.
«Sciocco per loro, appagante per te.»
«Manovrare le decisioni delle persone è estremamente eccitante, non appagante.» Un respiro pesante si propagò nella cripta. «Ma alla fine diedero la colpa a me per il loro egocentrismo, ora ammirerai la nostra bellezza per sempre, mi cantarono prima di diventare solo ricordi.»
Maris avanzò verso la barriera torbida, osservando sbalordito ogni dettaglio che riusciva a catturare.
«Non vorrei di certo mancarti di rispetto ma ben poco mi frega.»
«Hai ragione, chiedo scusa. Era da tanto che non ricevevo visite di cortesia.» Continuò la donna, avvicinandosi anch'essa.
Maris indietreggiò, quella cosa gli fece venire i brividi. «Non è per la cortesia che mi sono fatto un viaggio a vulcanolandia.» Una smorfia di disapprovazione si formò all'angolo della bocca. «Di solito conosco i nomi delle mie vittime però...» Ipotizzò, indicando le statue dietro di lui. «Posso dedurre dal racconto del Fight Club divino, che tu sia Eris.»
La figura si girò leggiadra, la stola faceva ombra su quello che sembrò un volto sfigurato. Ma non erano ferite, era come fosse fatta di ceramica consumata dal tempo. Maris poté vedere le sue mani, non vi era pelle ma solo lo scheletro di esse. Fu curioso di sapere quanto potesse essere brutta al di sotto della stola.
«Nei secoli ho avuto molti nomi e molti volti.» Uno sbuffo si levò nell'aria. «Allat, Banshee, Sekhemet, Morana. Per citarne solo alcuni, ma hai ragione... in quel fantastico periodo di anarchia ero Eris, la dea della Discordia.» La testa si mosse scandendo la divisione in sillabe: «Ora sono solo Didia.»
«Beh, te l'hanno mai detto che potresti soffrire del disturbo dell'identità?» Maris rise ma sembrò non avere alcun responso di inasprimento.
«L'oscurità ha volti infiniti.» La voce delicata gli solleticò l'orecchio. «Però, ora sai i miei nomi, io non conosco il tuo.»
«Sono Maris e basta.»
«E cosa vuoi da me, Maris?»
Una scarica di brividi saettò lungo la spina dorsale, detto da lei, il suo nome, sembrò una condanna a morta. «Voglio ucciderti.»
«Ma potresti beneficiarne di più se seguissi la rotta inversa.» La voce sembrò intonare un timbro severo.
Nonostante fosse vero, Maris doveva portare a termine quella missione per Diana. «Te lo ripeto, la mia non è una visita di cortesia.» Serrò la mano attorno al manico del Kris, ne poté percepire le vibrazioni di energia.
«Kali, questo era il nome di tua madre?»
Per un momento Maris si bloccò, quel nome gli arrivò dritto nelle orecchie. Non rispose alla domanda, gli sembrò inutile. Immaginasse sapesse anche già il suo nome.
«Una di me, una volta, amava indossare collane adornata con volti umani.» La risata che ne susseguì fu beffarda. «Ero la Dea Kali, l'emblema della distruzione come trascendenza immediata.»
Maris fu scettico, non capiva dove volesse andare a parare con quella storia.
«I genitori di tua madre l'hanno onorata con il mio nome. Forse ho fatto male i calcoli, sei tu il prescelto.» Quella parola fece eco nella cripta. «Vedo dentro te, c'è una nube di tormento e passione.» Le lunghe dita si tesero verso di lui, sfiorando la barriera che li divideva.
«Per tutta la vita la solitudine è stata la tua unica amica perché hai dovuto soffrire costantemente per la perdita delle persone care.»
Maris ingoiò un sussulto, una strana vibrazione sciò dentro al suo corpo.
«Ma chi ha patito la malvagità degli uomini spetta il diritto di poterli piegare ai suoi piedi.»
Il cuore di Maris prese a battere più del dovuto e la testa iniziò a fargli male.
«So che vuoi questo, so che vuoi il caos.» Ora la voce era entrata nella sua mente, ammaliandogli perfino i pensieri. «Liberami e avrai il potere che vorrai.»
Maris non si accorse di aver avanzato qualche passo, con i polpastrelli sfiorò la barriera. Fu come immergere le mani in un lago ghiacciato.
«Sarai un re agli occhi di Diana.»
Sì! Diana concentrati su Diana! Tra i suoi pensieri addormentati, Maris cercò di seguire quel nome come un salvagente nella tempesta. Spinse il busto all'indietro, sviando da quella voce ipnotica.
«Ah, in tutti questi secoli hai imparato a dire solo un gran numero di cazzate.» Riuscì a commentare lui, felice di poter percepire solo la sua voce nella mente. Sfoderò il Kris, la lama in cristallo di roccia brillò alla tremula fiamma che illuminava la cripta.
Didia arretrò, quasi inciampando: «Ti prego no! Qualsiasi cosa purché la morte.» Dischiuse le dita ossee, svelando una bruciatura proprio al centro del palmo della mano.
Tutto combaciava con il sogno di Diana. Quella ferita era un memento della morte di Aegir.
Maris sentì le iridi traboccare dalla persuasione. «Quindi un semplice pugnale è la tua kryptonite?» Con uno scatto tese la punta in Ematite verso di lei osservando la sua reazione terrorizzata.
Ma sapeva di dover stare attento, era sicuro che Didia avrebbe potuto prenderlo in un istante, se solo avesse voluto.
«La tua mente non guarda oltre ciò che vede.» La donna si riprese. «Forse non sei il prescelto, come pensavo. Sei solo un semplice ragazzino che gioca a fare l'eroe.»
«Se stai cercando di giocare la carta della psicologia inversa, non funziona.»
«Volevo solo aiutarti.»
«Certo che puoi farlo, devi morire.»
«Se non lo faccio, potrei aiutarti a liberare Diana.»
D'un tratto Maris sentì il respiro smorzato. «Cosa intendi per liberare?»
«Dopo che le hai spezzato il cuore, l'hanno presa.»
«Chi?» Chiese lui esitante. «Chi l'ha presa?
«In questo momento è prigioniera del Sacro Triskell.»
«Come lo sai?» La domanda gli uscì istintiva. Quell'essere era la personificazione del male, Maris non era così sciocco da fidarsi ma doveva trovare anche una risposta alla storia della lupa: chi era Diana realmente?
«So molte cose, caro mio, cose la tua mente umana non potrebbe reggere.» Ma le spalle si affievolirono. «Ma se proprio lo vuoi sapere, lei è il caos, una mia essenza.»
«Tu menti!»
No, lei è figlia di Aegir e Evelyn. Continuava a ripetere nella sua mente. Però era vero, che di Evelyn, sapevano solo il suo nome e nient'altro, citata una sola volta da Aegir nella lettera, in modo molto divagante.
«Ragazzino la mia pena è costante e affilata, io vivo per il disordine e in nome di esso ti offro un patto.» La voce fece di nuovo quella cosa strana alle orecchie di Maris. «Liberami e ti lascerò Diana, potrete vivere quelle insulse storie d'amore. Ma, soprattutto, liberami e ti lascerò sedere al mio fianco quando distruggerò il Sacro Triskell.» Le dita librarono nell'aria. «Ma se mi uccidi, morirai. Diana non potrà mai essere orgogliosa di te perché ben presto sarà anche lei solo un cadavere.»
Le nocche attorno al manico del Kris si sbiancarono, Maris iniziò ad avvertire delle goccioline di sudore scendere vicino il suo collo. E se era vero? Diana era stata rapita? Ma se Didia non stava mentendo, non lo faceva neanche al fatto che Diana fosse una sua creazione.
Maris respirò, doveva provvedere ad una cosa alla volta. Stavano succedendo così tante cose strane una dopo l'altra, che la sua mente faceva fatica a metabolizzare come realtà.
Per quanto potesse essere folle, però, pensò di accettare. Doveva salvare Diana. E sì, per un momento aveva pensato che assistere alla caduta del Sacro Triskell non era male. Doveva ottenere la fiducia di Didia, alla prima distrazione avrebbe potuto pugnalarla alle spalle. Era spaventata dal pugnale, poteva ferirla e ciò poteva essere un perfetto asso nella manica.
«Come posso liberarti?»
Sotto la suola delle scarpe per un attimo il terreno sembrò vibrare. La figura accarezzò il pavimento, fino a raggiungere a bruciapelo la barriera.
Ora Maris la vedeva meglio, almeno le labbra si mostrarono. Una parte della guancia erano raggrinzita, si potevano scorgere anche i denti, alcuni mancanti. L'altra parte era ricoperta da una pelle cerea, sembrò delicata, sul punto di staccarsi. Ma la stola scura copriva il suo gracile corpo fluttuante e l'angolo del tessuto pendeva accarezzando il pavimento.
«La collana.» Mormorò con leggerezza Didia.
Maris aggrottò le sopracciglia. «La collana-torcia?» Pensò che Diana non avesse la ben che minima conoscenza delle utilità di quel ciondolo.
«La tua è solo una parte, l'altra la possiede la discendente delle ceneri.» Rivelò Didia, indicando la mezza luna nera al collo di Maris. «Unisci le due lune e portale da me.»
«Quella lupa non mi darà mai la sua collana.»
«Allora fai la cosa che ti riesce meglio: uccidere.» Sbottò lei, con una voce carica di sfida. «Ma fai presto, non muore tanto facilmente.»
Poi Didia si apprestò a frantumare tra le dita i crani umani sul pavimento. Lasciò cadere la polverina bianca ai suoi piedi, seguendo una linea circolare.
Maris le diede le spalle e si fece forza in quello che stava per fare. In verità era un salto nel vuoto.
Quando oltrepassò la soglia di quella stanza, la collana tornò ad illuminarsi. Questa volta aumentò il passo escogitando un piano su due piedi. Quando si infilò di nuovo nel tunnel a cono, iniziò ad avere una miriade di ripensamenti. Lontano da Didia, sembrava essere più lucido. Però il pensiero che Diana davvero fosse prigioniera del Sacro Triskell lo torturava. Sarebbe stata uccisa per una crimine che aveva commesso lui.
Sulla soglia dell'entrata, addossata dalla pietra scolpita, Maris si prese qualche istante per inebriare le sue narici dell'aria aperta. Si sentì libero da una rete da pesca. Studiò la figura della lupa che non faceva altro che dedicargli le spalle, immobile come una statua. Lo sfarfallio attorno a lei era costante, calmo. Varie tonalità di rosso sfumavano tra di loro come una danza.
Ad ogni passo Maris, cercò di non emettere neanche un fiato. Le dita si serrarono attorno al manico del suo Kris, ne sentiva ogni particolare intagliato al di sotto del palmo. L'inclinazione della testa leonina del pugnale gli ricordò le tre virtù che doveva tenere con sé ad ogni missione: pazienza, devozione e fermezza.
La distanza diminuì con rapidità, Maris tese la punta rivolta verso la gola della lupa pronto a sferrare il colpo.
«Cosa stai facendo?»
Ma lui non rispose alla domanda ma provò intimidazione dal terzo occhio invisibile che potesse avere quell'essere strano. Era sicuro che la lupa avesse solo le sembianze di un mammifero, doveva trattarsi di una forza ancora più intricata. Infatti non ci provò neanche con la tatto-ipnosi.
Fece scivolare il suo Kris verso il basso ma la discendente delle ceneri si girò di lato, facendosi toccare solo a bruciapelo.
«Mi dispiace, cambio di programma.» Esordì lui, contraendo il busto quando fu colpito dalla coda folta. Ma la lupa non sembrò volergli fare male bensì tentò di farlo indietreggiare.
«Non puoi uccidermi.»
Maris la prese come una sfida che come un avvertimento.
Con uno scatto verso di lei, alzò la mano che brandiva il pugnale. Con ottimi riflessi, la lupa si scansò di nuovo nel lato opposto. Ma questa volta Maris fece lo stesso, come un giocoliere fece volare il pugnale nell'altra mano. La lama oltrepassò l'aurea tempestosa, dilaniando la gola della lupa da parte a parte.
Gli occhi le si chiusero all'istante, il corpo ricadde a terra come un fantoccio.
«Mai essere troppo sicuri.» Sbottò Maris, con un sorriso soddisfatto.
Rinfoderò il Kris senza neanche doverlo pulire. La guardiana non era fatta di sangue bensì di cenere. Volata via appena la lama fu a contatto con l'aria.
Quell'isola era davvero un mondo a parte: foreste maledette, Oscuri sguinzagliati, guardiani fatti di cenere e divinità con disturbi dell'identità. Pensava ormai di averle viste tutte.
Maris afferrò la collana nascosta dal pelo nero della lupa inanime, con uno strattono riuscì a far cedere la chiusura. Percorse a passo veloce il corridoio e come un sensore la collana tornò a fargli da guida.
Ma Maris fu troppo preso da quel bagliore da non accorgersi che il rossore dell'aurea della lupa si era trasformato in un fuoco ardente, facendo sciogliere il suo corpo tra le ceneri.
Sul ponte ogni passo fu scandito da uno scricchiolio, Maris si apprestò a liberare anche il suo collo dal pendente. Teneva entrambe le catenine bel salde tra le dita, i ciondoli sbattevano tra di loro mentre il cuore iniziò a tremargli.
Diana mi odierà ancora di più, pensò, ma almeno potrà vivere.
Sulla soglia della porta, il bagliore si spense ma una luce fioca continuò a fluttuare nell'aria. Maris si girò con aria schiva: la lupa avanzava verso di lui con le fauci spalancate. Ad ogni movimento, delle ceneri ricadevano dal pelo e ora l'aurea scoppiettava ardente.
Maris corse vicino la barriera, oltre, Didia attendeva con le mani congiunte e il volto chino, stava pregando in una lingua antica.
«Che devo fare?» Chiese lui, spaesato.
Lei alzò il dito scheletrico. «La barriera è alimentata dalla mia stessa oscurità ma unita al sacro simbolo, dovrà annullarsi.»
Maris unì con cautela le due collane. La curvatura della mezza luna nera si agganciò come un puzzle alla sfera difforme dell'altro ciondolo. Non vi vide alcun sacro simbolo impresso ma non si curò dei dettagli.
«Maris Jessen, fermo!» La voce melodiosa della lupa sovrastò il mormorio di Didia.
«Non pensavo di avere una babysitter attaccata alle palle.»
«Ti avevo avvisato: non puoi uccidermi.»
Maris se n'era accorto, sbuffò roteando gli occhi al cielo: «Ma cosa diavolo sei tu?»
«Gli Dei mi hanno conferito il potere della Fenice, un continuo rinvio alla vita per sorvegliare l'eterna pena.» Gli artigli graffiavano la pietra sulla superficie. «Dovevo strapparti quella collana dal collo appena l'ho vista. Un giorno avrebbe guidato Diana ad impugnare il pugnale che custodivo per lei, con la sua morte si sarebbe concluso il ciclo.»
Maris tenne stretto i ciondoli uniti mentre esalava respiri affannati per quello che stava udendo. Didia non conferiva alcun interesse alle parole della lupa, continuava il suo sproloquio sottovoce. Era sicura che gli avvenimenti avrebbero giovato i suoi piani.
«Perché il destino voleva Diana al mio posto?» Fu l'unica cosa che riuscì ad elaborare.
«Lei non è come te.»
«Perché dite tutti così?» Maris divenne un fascio di nervi, gli sconvolgimenti lo avevano reso ignaro di agire con lucidità.
«È imperativo che la prigione non venga aperta.»
«Ho la situazione sotto controllo.» Maris per intimarla, poggiò con spavalderia la mano sul Kris dal manico in oro. Ma in verità fu solo una recita che sperò di poter portare avanti. Non voleva mostrarsi isterico davanti a Didia.
«Sei un esemplare proprio stupido della tua specie.» Il muso si arricciò. «Non puoi controllare una dvinità oscura.»
Maris era arrabbiato, impotente, indeciso. Fece per parlare ma la voce oltre la barriera rimbombò nella stanza: «Il disordine ti aspetta... tutto è nelle tue mani.»
«Ascolta dentro di te, questa non è la strada che devi prendere.» Continuò la lupa, fissando i due ciondoli pendere a mezz'aria. Un passo falso e l'Oscurità primordiale sarebbe calata sul mondo.
«Io non ho bisogno di saggiarti di cose che già sai. Conosci già la strada che compirai.»
Per Maris, che aveva la testa che gli stava per scoppiare, fu un po' come avere, sui lati delle spalle, l'angioletto e il diavoletto. Sentiva due energie contrastanti investirlo in entrambi le direzioni. Si trovava in un bivio, non poteva fidarsi di nessuno delle due. Ma qualsiasi sarebbe stata la scelta, sarebbe stata comunque sbagliata.
E lo sapeva anche la discendente delle ceneri, abbassando il capo emise un suono cupo. Con un balzo improvviso, fece incastrare le sue fauci nel tessuto dei pantaloni del ragazzo. Con il tentativo disperato di allontanarlo, per poi punirlo con la morte.
Maris si era distratto, si sentì strattonato verso l'oscurità dell'altra stanza. Nella sua mente la voce liliale di Didia continuò a parlargli senza muovere le labbra, come una connessione mentale. Gli parlava di quanto fosse importante Diana per entrambi, di quando nessuno dei due volesse la sua morte. In quella stanza solo la lupa desiderava ciò. Non era degna di avere la sua fiducia.
Maris agì senza pensare, colpì la fronte della lupa con il manico del Kris, proprio sul tatuaggio del Triskell. Con un movimento fulmineo alle sue spalle, lanciò la collana verso la barriera.
Ci fu un momento che ognuno, presente nella cripta, seguì con lo sguardo il tintinnio della catenina volare a qualche piede da terra.
Il ciondolo non passò la barriera, vi si incastrò nel mezzo come se fosse fatta di gelatina. Onde di energie iniziarono a pulsare sempre più forte. Sul pendente della luna, ormai piena, un solco incandescente si illuminò, incidendo l'Ematite come un laser. Un Triskell prese forma rapidamente e questa volta la collana si illuminò così forte da accecare tutti.
Maris sentì tremare ogni cosa attorno a sé e un fragore intenso partì da sopra la sua testa. Pensò che il vulcano avrebbe potuto eruttare da un momento all'altro. Poi tutto tornò alla normalità, la stanza rimase intatta. Come se quella sequenza di attimi non fosse mai accaduta.
«Cosa hai fatto?» La lupa lasciò la presa, l'aurea fiammeggiante, che accompagnava il suo mantello, sembrò levarsi sempre più.
Non lo degnò neanche di uno sguardo quando glielo chiese, bensì si protese verso la stanza comunicante ormai spoglia da ogni barriera.
Maris ancora stordito, quando riuscì finalmente a mettere a fuoco, adocchiò subito le due collane sul pavimento, proprio al di sotto delle tre statue. Quando le prese tra le mani, notò come l'incisione del Triskell fosse scomparso. Le attorniò entrambe al suo collo, alzò lo sguardo e osservò Didia uscire lentamente da quella stanza dopo ventuno secoli di prigionia.
La lupa si fece leva con le zampe posteriori per saltare verso la donna. Gli artigli anteriori erano sfoderati pronte a dilaniarla.
Didia alzò il volto, la stola le scivolò dal capo. Un essere mostruoso si designò, non aveva gli occhi ma fessure dall'oscurità profonda. Il capo senza capelli era in parte ossa e in parte pelle cerea mangiata dal tempo. Tese la mano a mezz'aria e la lupa fu scaraventata contro la parete all'istante. Così, dal nulla. Senza né pronunciare un incantesimo o scia di luce nell'aria.
Maris guardò la scena in silenzio, con il cuore che batteva contro la gabbia toracica. Seguì con gli occhi l'animale ricadere sul pavimento. Prima di chiudere gli occhi, pronta a diventare di nuovo cenere, gli sussurrò: «Maris Jessen, hai messo fine al mondo.»• 𝑬𝑿𝑻𝑹𝑨
La discendente delle ceneri all'ingresso dell'eterna pena.
(Lo scenario l'ho immaginato un po' così.)- L'immagine delle mani che spuntano dal terreno è in riferimento al Wat Rong Khun, conosciuto anche come White Temple. Si trova in Thailandia e viene considerato come il frutto dell'immaginazione più strana tra modernità e antichità.
-L'ultima foto, invece, ritrae Afrodite, Atena ed Era. Protagoniste della vicenda del pomo della discordia che susseguí a scatenare la guerra di Troia.
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Una Realtà a Colori
FantasiVOLUME 1 - COMPLETO 𝑻𝑹𝑨𝑴𝑨 Tutto è cambiato per Diana. 24 ore 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 dell'incidente era solo una comune ragazza, soffocata dal futuro e dall'inadeguatezza. 24 ore 𝑑𝑜𝑝𝑜 l'incidente, Diana è un membro della triarchia del Sacro Triskell...