Quarantasei

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 Diana rimase immobile con la mente che ambiva a farle perdere la ragione, le urla dei suoi compagni le entrarono nelle membra e le corde attorno agli arti le ricordarono quanto fosse debole di fronte alla vita

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Diana rimase immobile con la mente che ambiva a farle perdere la ragione, le urla dei suoi compagni le entrarono nelle membra e le corde attorno agli arti le ricordarono quanto fosse debole di fronte alla vita.
In tutto quel trambusto dentro di sé, quelle cinque lettere le sentì eccome. Quella dannata voce. Non può essere. Alzò il mento flemmaticamente, focalizzando tra le lacrime la figura di fronte a sé. No, non può essere. Si ripeté Diana confusa e arrabbiata della sua presenza.
Maris era fermo sulla soglia, la fissava trasandato, sporco di sabbia e cenere. I capelli arruffati erano raccolti in un codino. La maglia che aveva indosso era segnata da aloni lasciati dalla salinità del mare e stretta da una fascia al livello della spalle da cui pendevano due Kris. Diana riconobbe subito quello con il manico in oro. Proprio quello del suo sogno.
Il ragazzo camminò fino a superare la parete fatta di sbarre, fece scivolare uno zaino sul pavimento, divorando con cautela la distanza da lei. Senza dirle niente le afferrò il volto fra le mani, la punta dei loro nasi si schiacciò fino a miscelare i respiri affannati. Le accarezzò i capelli, intrecciando le sue dita tra le ciocche. Fu un momento che entrambi non pensavano di rivivere.
Dal canto suo, Diana, non riuscì a dire nulla. Le urla della battaglia continuavano a riecheggiare e non comprese ancora cosa diavolo stesse succedendo. Cosa c'entrava lui con l'attacco?
Ma, per un attimo, non ci pensò più. Le labbra di Maris si posarono sulle sue, facendole scivolare la lingua in bocca. Diana sentì il suo stomaco stringersi in una morsa, la razionalità bussò alla porta dei sentimenti per cedergli il posto l'attimo dopo. Sorpresa e sotto shock, gliela morse con veemenza.
Maris si allontanò, tastandosi la bocca sanguinante. La fossetta tra le sopracciglia si ammorbidì: «Me lo merito.» Mormorò divaricando ripetutamente le mascelle. C'era del sano rancore in quel morso.
«Cosa ci fai qui?» Gli chiese.
«Complicato da spiegare.»
«Quel Kris è quello che penso io?» Domandò ancora Diana. «E cosa cazzo sta succedendo fuori?» Gli occhi guizzarono interrogativi su di lui.
Maris si apprestò a liberarle i polsi mentre lei rimase ancora interdetta a fissare il suo riflesso nell'oro del manico del pugnale dei suoi sogni. Sentì la stessa sensazione della sera al museo, davanti la mela della discordia. Una vibrazione che le sussurrava che c'era qualcosa in più della semplice appartenenza lasciata da Aegir. Una vibrazione che neanche durante la cerimonia di assegnazione aveva percepito.
«Non ho tempo per spiegarti.» Fece lui, tagliando infine le corde serrate attorno alle sue gambe. «Scusami, non dovevo dire quelle cose su tuo padre, su di noi. Non avrei dovuto dire niente.»
Diana si alzò di scatto, finalmente libera, si tastò i polsi insanguinati e rise in modo isterico quando Maris recuperò dal suo zaino una benda arrotolata.
«È lo zaino per le evenienze?» Domandò lei, mentre si fasciava la pelle.
«Non ti risponderò.»
«E allora rispondi a questo... perché mi hai detto quelle cose?» Diana accettò il suo tentativo di medicarla. «Dici tante stronzate ma non ti penti mai.»
«Perché ho mentito.»
«Non sembrava.»
«Lo so, è stato difficile conviverci.»
«Perché tutto questo casino per non farmi concludere la missione?»
Le labbra di Maris si assottigliarono «Saresti morta.» Rivelò lui. «Il Kris avrebbe preso entrambe le vite.»
Diana emise una smorfia. Il pugnale d'oro era così potente? Poi il cuore prese a batterle velocemente, studiò gli occhi tristi di Maris, azzardò pensare che fossero impauriti. Anche lei ora provava paura, ma sentiva ancora che fosse quello il suo cammino. Non poteva sfuggirgli, come il dannato filo rosso del destino di cui i suoi amici al liceo parlavano sempre. Ognuno era legato ad una persona, lei alla morte.
«Ti sei sacrificato per me?» Per poco non pianse, si avvicinò a Maris e lo afferrò per il colletto. Le mancò immergersi in quelle pupille, capì che fosse giorno dal loro chiarore. «Ti odio.» Gli mormorò prima di stampargli un bacio sulle labbra. Quando si erano incontrati la prima voltal'aveva quasi uccisa e ora era stato pronto a morire per lei.
Maris quando si inebriò del suo sapore, fu sul punto di lasciarsi andare, la desiderava, proprio lì, voleva sentirla sua, con le urla della guerra di sottofondo a rendere tutto più eccitante. Voleva mettere in pausa il mondo, scappare con lei in qualche altra dimensione. Ma tornò alla realtà, alla dura realtà. Pose il dito fra le loro labbra, Diana alzò gli occhi verso i suoi. Faccia e Faccia.
«Ti odio anche io.» Maris sbuffò, arretrando per riprendere fiato. «Ma ho fatto un casino, l'ho liberata.» Rivelò con voce tremante.
«Chi hai liberato?»
«Eris» Rispose, ma si corresse. «Didia, così ora si fa chiamare... lunga storia di una crisi d'identità.»
«Dimmi che intendi un'Anima d'Oro che ha preso il nome dalla divinità.»
Maris non rispose e fece solo un cenno di dissenso, per poco Diana non ebbe un mancamento. «Cosa? Hai liberato una divinità oscura?» Lo fissò con gli occhi sbarrati . «Cazzo Maris! Come ti è venuto in mente di liberare il caos?»
Un altro tonfo arrivò alle sue orecchie, entrambi barcollarono vedendo cumuli di polvere scivolare da ogni spiffero. Maris provò a parlare, ma non riuscì a formulare alcuna frase. Non erano le parole di Diana a fargli paura, ma quelle che voleva dirle. Come faceva a spiegarle che era nata in un vulcano?
Diana si avvicinò nuovamente verso di lui e approfittò che fosse caduto tra i pensieri per sfilargli il Kris dal manico in oro. «Questo serve a me!» E gli lanciò un'occhiata torva quando provò a riprenderselo.
«Non fare così.» Ora gli occhi di Maris saettarono severi, provò ad imporsi con la sua forza. «Con me è più al sicuro.»
Diana scansò con un balzo all'indietro quando il ragazzo provò ad afferrarla per il polso. «Lo sai che devo!» Gli urlò, poi si prese un attimo per studiare il pugnale.
Conosceva i particolari del manico, proprio come nel suo sogno, tempestato d'oro e con i bordi diamantati dal contenuto aeriforme. Gli occhi studiarono come un libro la lama a serpentina semi-traspirante. Il cristallo di roccia era variegata con filamenti di un minerale scuro fino a terminare con la punta. La lucentezza della pietra intagliata fu familiare e Diana si tastò involontariamente il petto in cerca del ciondolo.
«Sì, è lo stesso materiale della collana.» Le spiegò Maris. Alzò un braccio, sfilandosi il gioiello dal collo. «Questa è tua, ti proteggerà da lei.»
Diana notò con che delicatezza gliela passò, come un manufatto importante. Ma lei la rifiutò. «Allora tienila tu.»
Maris insistette. La sua preoccupazione rese chiaro che dovesse dirle qualcos'altro di importante. Ma Diana lo strattonò con sé, avevano già perso troppo tempo. Travalicarono le scale, tornando al piano terra ma non riuscirono a vedere alcunché. Le imponenti statue delle prime Anime d'Oro si erano frantumate e il cumulo di detriti oscurarono la loro visuale. Ma, prima di raggiungere la battaglia, Diana doveva fare un'altra cosa. Così si diresse, seguita da Maris, alla porta che trovò accanto a dov'era imprigionata lei. Riuscì ad entrare, studiò la stanza spoglia al termine delle scale. Non c'erano sbarre, solo piccole gabbie vuote e una catena a cui era attaccato Inay, tossiva disteso sul lato, senza fiato.
«Inay!» Diana cercò di attrarre la sua attenzione, alzando il lembo del colletto della maglia fino al naso. Nell'aria la polvere del Tempio mezzo distrutto rese anche quasi impossibile avere gli occhi aperti. Il lupo la guardò appena, gli occhi cerulei erano spenti e deboli. Lei si avventurò verso di lui, liberando dal collare che lo teneva bloccato con un gancio.
«Concentrati su di me, concentrati sulla mia voce.» Gli ripeté ogni volta che Inay chiudeva gli occhi.
«Dobbiamo andare!» Le urlò Maris ma capì che Diana non se ne sarebbe andata senza l'animale. Così lo prese con tutto il suo peso, le tonalità di grigio del pelo si erano schiarite a causa della polvere e a stento percepì il suo respiro.
Quando raggiunsero l'esterno della cella, un colpo fece oscillare l'intera struttura. Diana boccheggiò, strizzando gli occhi per concentrarsi per la tatto-ipnosi. Doveva obbligare il sistema respiratorio di Inay a liberarsi. Ma le urla all'esterno del Tempio, i blocchi di pietra calcarea che continuavano a cadere e il fatto che non avesse ancora un piano per la questione "divinità", si rivelarono fattori inquinanti per la sua mente. Le prese il panico. Non voleva sbagliare.
«Faccio io.» Le mormorò Maris, denudandole i pensieri.
Chiuse gli occhi, toccò Inay disteso sul pavimento e gli sibilò di respirare. E Diana notò come fosse stato semplice per lui, come battere le ciglia. Per lei, invece, la tatto-ipnosi era come il paracadutismo. Doveva concentrarsi e ripetersi di non avere paura, prima di lanciarsi.
Dopo qualche secondo Il lupo si contrasse, come per vomitare, ma riuscì a riprendere fiato velocemente. Si alzò e, con una torsione scattante del corpo, riuscì a ripulirsi della polvere.
Inay guardò i due ragazzi per qualche secondo, con maggiore lucidità, le narici umide si soffermarono su Maris: «Umano, tu hai un odore familiare.» Poi lo associò subito nei suoi ricordi: la scia incerta attorno al cadavere di Iside, sì era proprio lui. «Ma non ho tempo per te.» Si rivolse a Diana, i lividi le solcavano il viso e poteva ancora sentire l'odore delle sue lacrime. «Percepisco tanti Oscuri, sei pronta?»
Diana acconsentì nonostante le mancasse l'arma principale ma a quello avrebbe rimediato. Strinse nella cintura il Kris dorato, in modo da essere sicura di non perderlo in battaglia. Poteva usarlo, solo un volta, e al pensiero il disordine tra le pieghe del suo cervello la fece sentire più esausta che mai.
Gli artigli di Inay tintinnarono sul pavimento, sparì ululando al vento tra le statue. Diana tentò di seguirlo, accelerando il passo ma Maris le bloccò un braccio.
Lei fu sul punto di dissuaderlo ma notò i suoi lineamenti vulnerabili ed allarmati. Aprì un paio di volte la bocca, poi si decise e le afferrò le spalle: «Qualsiasi cosa accadrà, tu sei Diana e nessun altro. La ragazza dolce e sfacciata di cui mi sono innamorato.»
Lei lo squadrò sorpresa delle sue parole, non comprendeva l'amarezza che esprimevano.
«Non credere a qualsiasi cosa che ti dirà ok?» Insistette dopo lui.
«Mi fai paura così.»
Maris sbuffò, le prese una mano e la portò fuori dal Tempio. Nella sala le lastre di pietra, che raccontavano la leggenda del Sacro Triskell, erano in frantumi sul pavimento. Il frontone giaceva su un mucchio di pietre calcarea crollate. L'oro che adornavano le figure su di esso risplendeva al sole, creando dei sfarfallii alla vista se si fissava troppo un unico punto. Le urla della squadra sembrarono più lontane, la battaglia si stava dirigendo verso la Necropoli.
Sulle scale del Tempio, Diana non credette ai suoi occhi.
Tutti i membri del Sacro Triskell, compresi il Branco, combattevano senza tregua con sei! Oscuri. La polverina del Rilevatore luccicava da lontano, qualcuno aveva avuto la brillante idea di riversarne una buona dose in cui erano concentrati.
Sopra ogni Oscuri, dei fil di fumo si innalzavano fino a ramificarsi tra le dita danzanti senza ritmo di una donna sospesa nel cielo.
«Fai bene ad avere paura, invece. Lei è Didia.» Le rivelò Maris. «La versione cattiva del diavolo.»
Diana lo fissò senza capire cosa provare davvero. A parlarne, ok, ma a vederlo fu una cosa che la suggestionò per un momento.
«Andiamo.» Fu l'unica cosa che riuscì a dire Diana.
I due presero a correre uno affianco all'altro, scambiandosi occhiate sfuggenti.
«Promettiti che non userai il pugnale.» Le intimò Maris mentre la seguiva. Ma lei non gli rispose, così lui aggiunse: «Almeno finché non elaboriamo un piano! Lei è troppo potente, non riuscirai mai ad avvicinarti.»
«Allora non essere preoccupato.» Convenne lei.
«Non usarlo neanche contro gli Oscuri.»
Diana sbuffò per l'insistenza tortuosa che stava subendo per quel Kris. «Ho capito!» Esclamò con un accenno la direzione che aveva in mente.
Superarono le capanne adibite a dormitori disposti in fila indiana. Raggiunsero quelle con le pareti levigate e con i tetti intrecciati da legno e falasco. La tenda di Gabriel, la più grande rispetto alle altre, era posta vicino il casotto del Branco. Forse, pensò Diana, i suoi Kris erano lì dentro da qualche e parte, e se si sbagliava, sperò allora che potesse trovare qualche pugnale di Gabriel o di Iside.
Quando si trovò in prossimità della porta, aumentò il passo, scaraventandosi contro essa. Il legno cedette dai cardini, l'anta ricadde di lato vicino al muro e Diana riuscì ad atterrare in piedi. Il suo volto sembrò quello di suricato in allerta. Studiò ogni punto della stanza con circospezione. Il letto matrimoniale si trovava sulla parete opposta, la scrivania era piena di foto di Iside. Quando gli occhi di Diana colsero il suo volto, una stretta allo stomaco la fece rabbrividire. Poi si concentrò sull'armadio, lo aprì tastando tra i vestiti. Niente.
Poi tornò a guardare Maris, sulla soglia, che controllava la situazione all'esterno. I piedi avanzarono sconsolati verso di lui, per sbaglio il ginocchio urtò contro l'anta della porta e un tintinnio di lame colse all'istante la sua attenzione. Fece un passo a ritroso, studiò la porta che aveva fatto ricadere a terra.
I due Kris erano stati agganciati ad una fascia elastica e appesi ad un gancio che fungeva da attaccapanni. Con un sorriso acceso, Diana prese la fascia e se la fece passare sopra la spalla, collegando le due estremità al fianco apposto. I due pugnali, in corrispondenza della schiena, formavano una croce. Immaginò che uso spavaldo ne avrebbe fatto Gabriel, con chissà quale messa in scena davanti al gruppo, per portare a termine la sua vita.
Maris osservò Diana uscire dalla capanna, il luccichio nei suoi occhi fu immenso. La schiena contratta, i muscoli delle braccia sfioravano l'aria pronte a combattere. Un'aurea di energia si miscelava con la sua pelle, i tre Kris Giavanesi stavano forgiando la loro guerriera. Ognuno di essi, destinato a lei.
«Wow...» Si lasciò sfuggire Maris. «Sei nata per essere fatale e fottutamente attraente.»
Diana gli lanciò una smorfia, gli posò un bacio sfuggente sulla guancia. «E tu per essere bravo a letto.» Gli mormorò sempre più in lontananza, riprendendo a correre verso la battaglia.
I due ragazzi adocchiarono Inay combattere con un Oscuro, vicino la zona circoscritta, ma non fecero in tempo a raggiungerlo che un grosso cavallo iniziò a puntare proprio verso la loro direzione. Diana portò le sue mani dietro la schiena e sfoderò all'unisono i suoi Kris. L'Oscuro trottava sempre più veloce, gli zoccoli incandescenti facevano da base ad una stazza possente. Il collo era allungato, come una giraffa, e tanti piccoli occhi erano infossati sul suo volto. Ma prima che Diana potesse mirare proprio a quelli, l'Oscuro si alzò sulle due zampe, quando ricadde a terra, un'onda d'urto sotto il terreno riuscì a far cadere i due ragazzi. Anche Inay barcollò, le zampe per un momento cedettero e il suo volto si sfregò con la terra.
Diana si rialzò, lo sguardo balenò proprio sul lupo indifeso che non riuscì ad anticipare l'attacco dell'Oscuro con cui stava combattendo da solo. La protuberanza ai lati della testa della creatura le ricordò quelli di uno squalo martello, al di sotto la bocca sottile mostrava la sua collezione di denti affilati. Gli occhi erano posti alle due estremità, gorgoglianti di lava. Il corpo era quello di un leone, grande quanto la capanna da cui erano usciti qualche istante prima. La pelle, come lava intrisa nel terreno, era ricoperta a macchie di peli.
Si stanno evolvendo ancora. Pensò Diana, torturandosi il labbro. Ma dopo, non penso più. Il suo corpo prese a muoversi da solo, in una danza di cui non pensava di saperne i passi.
Sentiva il terreno scorrere sotto di lei, con un balzo si frappose tra Inay e l'Oscuro. Divaricò le braccia, ponendo i Kris puntati verso l'alto. Quando fu il momento giusto, flesse le braccia e dilaniò entrambi gli occhi dell'Oscuro, nei rispettivi lati.
La creatura iniziò a scuotere la testa piatta, la protuberanza la disarcionò dalla presa ai manici. Alle sue spalle, la figura di Inay la superò, attaccando alla gola dell'essere, strattonandosi appeso per far penetrare più a fondo i suoi canini nella pelle spessa. E solo allora che l'Oscuro implose, di lui una scia di polvere lasciate nell'aria si dissolse. Il fil di fumo sopra la sua testa iniziò a ritrarsi, Diana lo seguì con lo sguardo. Quando si ritrasse fino alle dita della donna, alta nel cielo, sussultò dal dolore, come se ne sentisse ogni perdita.
Bene, pensò Diana mentre recuperava i suoi Kris, la chiave sono gli Oscuri.
La ragazza e il lupo si scambiarono un accenno del capo dividendosi: lei si diresse verso Maris, Inay verso il restante del Branco per difenderlo.
Diana lanciò uno sguardo al cavallo demoniaco, scalciava il ragazzo con le sue zampe posteriori. Maris era riuscito a lacerargli la pelle dura dell'addome ma non fu abbastanza.
Facendo leva sui suoi piedi, Diana annullò la distanza che vi era e con un balzo riuscì a stabilizzarsi in groppa all'Oscuro. Urlò con tutta il fiato che avesse in corpo, con un taglio netto, la gola si squarciò come carta da regalo. Il cavallo si frantumò e un altro fil di fumo si ritirò.
Diana cadde a terra, riprendendo aria. Maris le si avvicinò porgendole la mano per rialzarla con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Non dirlo...» Sospirò lei, accettando il suo invito, furono evidenti le sue intenzioni di commentare.
«Che sono eccitato?» Maris la strinse fra le braccia, le stampò un bacio a volo e con una mano le toccò il sedere. «Oh certo che te lo dico.» 

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