Un Passo Alla Volta

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Nell'istante in cui ci sedemmo sul divano in cerca di coccole e di tranquillità, nella mia mente ci fu il delirio. Tutta la paura che avevo avuto nelle settimane precedenti, e che avevo ricacciato dentro di me con decisione, si tramutò subito in sensi di colpa. Una colpa che sentivo mia per via del mio comportamento malsano degli anni precedenti e che stava intaccando il presente. Quel pensiero mi assalì all'improvviso non lasciandomi scampo. Mi sentii avvampare comprendendo quanto fossi vulnerabile. Volevo dirle milioni di parole per tranquillizzarmi e tranquillizzarla, e le parole erano anche lì sul punto di uscire, ma non mi sentivo capace di saper dire nulla.

Mi sentii come un pesce che non riesce più a respirare.

Premetti la sua mano che stazionava sul mio petto, facendole sentire come batteva il mio cuore. Facendole capire che ero lì con lei, e che quel dolore era anche il mio.

Perché anche io ci avevo creduto. Questa volta ci avevo creduto veramente.

I minuti passavano veloce, mentre l'orologio della cucina segnava ormai l'una di notte. Mi resi conto in quello stesso momento che le forze di Anita vennero meno e che il suo respiro era cambiato. Il suo viso, appoggiato per metà sul mio torace, faceva trasparire la tranquillità ritrovata nel sonno. Strizzai gli occhi amaramente mentre cercavo delicatamente di prenderla tra le mie braccia e portarla in camera da letto. Il rumore dei miei piedi scalzi, mi accompagnò insieme ai miei sospiri, fino a quando non arrivai davanti al letto. Mi appoggiai con le ginocchia, e stringendo gli incisivi sul labbro inferiore, cercai di essere il più delicato possibile. Non avrei mai voluto svegliarla. Non avrei mai voluto privarla di quel sonno ristoratore in cui era caduta tra le mie braccia. Rimasi a guardarla un paio di secondi, prima di farmi venire un magone assurdo. Cercai di ricacciare tutto dentro di me, tappandomi il naso e le labbra con la mano destra.

Non potevo farle anche questo.

Mi rifugiai in terrazza, nel mio piccolo pezzo di mondo. Nel luogo dove trovavo sempre un po' di serenità e pace fin da quando ero piccolo. Mi sedetti sulla sedia di metallo, cadendoci di peso e imprecando mentalmente.

E se non fossi mai riuscito a darle un figlio?

Pensai nel silenzio della notte, tra le stelle e la luna che faceva capolino dietro ad una nuvola passeggera, e come unica compagnia, la mia solita sigaretta tra le labbra. Mi sentii tremendamente impotente. In tutti i modi in cui un uomo ci si possa sentire. Portai entrambe le mani tra i capelli perdendomi nei ricordi frammenti di quello che ero stato. Vidi i volti di tutte le donne che avevo deluso, usato, fatto soffrire, e deriso durante la mia miserabile vita da coglione. Erano stati oggetti nelle mie mani, modellini da collezione, figurine da attaccare al mio album. Vidi anche Paola. Con lei ero stato davvero uno schifoso, pur essendo entrambi consenzienti.

Quindi questa era la mia punizione?

Non sarei riuscito a renderla felice?

Mi sentii perso. Perso nella notte gelida di Milano dove il silenzio mi perforava i timpani. Perso in quella inquietudine che mi avvolgeva come una coperta. Perso nella nebbia fitta dei miei pensieri. Portai alla bocca la sigaretta che avevo ancora tra le dita, prendendone una grossa boccata. Boccata che una volta uscita, si mischiò con il freddo che mi circondava. Mi soffermai a guardare la cenere che bruciava. Quella piccola luce bruciava nonostante il freddo che ci fosse quella sera.

Perché non potevo essere quella luce?

La riportai sulle mie labbra ripetendo l'azione del secondo prima, bruciando nuovamente quel tabacco che stava andando incontro al suo destino.

Potevo anche io andare incontro al mio destino, senza averne paura, per lei.

Un passo alla volta. Un passo alla volta per lei.

Ogni Parte Di NoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora