Differenze linguistiche

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"Coma mai qui Brahim? L'allenamento è già finito?" domandò Ante allo spagnolo che ancora se la stava ridendo di gusto.

Il giovane fantasista rossonero smise finalmente di sghignazzare e si ricompose. "No, è solo che ho sentito male aquí" spiegò al compagno toccandosi la coscia destra. "Dovrebbe essere solo uno strappo muscolare ma meglio non rischiare visto che da sabato tra campionato e Champions giocheremo una partita ogni tre giorni".

"Sì hai fatto bene. Beh, puoi anche andare a farti la doccia adesso" rispose il croato guardando un punto imprecisato oltre le spalle del compagno. Emma intuì che gli spogliatoi della prima squadra fossero nell'altro corridoio che partiva dalla palestra e, dopo un fugace pensiero di lui sotto la doccia, si domandò come mai il numero 10 non fosse andato direttamente da quella parte dopo aver lasciato l'allenamento.

Probabilmente per venire qui a prendere in giro me, fu l'unica risposta che razionalmente riuscì a darsi, ancora irritata a causa di quella risata alle sue spalle.

"Sì ora vado" rispose di nuovo lo spagnolo. "Tu invece hai finito con gli esercizi?"

"Sì, il fisioterapista mi ha confermato che sono pronto a tornare ad allenarmi e volendo anche a giocare sabato" confermò Ante facendo il segno di vittoria con la mano destra.

"Se giochi e fai un goal mi regali la tua maglia?" azzardò Riccardo. Emma gli lanciò un'occhiataccia che lui ignorò alzando invece uno sguardo speranzoso verso il suo giocatore preferito.

"Come no! Non so se giocherò già sabato, comunque ti farò avere la mia maglia anche se ti sarà un po' grande adesso. E sappi che il mio prossimo goal sarà dedicato a te" fu la risposta del numero 12 rossonero. Riccardo era pazzo di felicità, abbracciò il suo idolo e poi si mise a saltellare per il corridoio perché l'emozione che stava provando era troppa da contenere. Ante lo guardò sorridendo mentre Emma scuoteva la testa sconsolata.

"Che ne dite di andare al campo? Vediamo come va la partitella di fine allenamento" propose Ante.

"Va bene però solo se resti a vederla vicino a me" rispose Riccardo che non voleva più saperne di staccarsi da lui. Emma lo capiva, avrebbe fatto lo stesso con Brahim se non fosse stata costretta in quanto accompagnatrice del fratello a mantenere un certo contegno.

O forse no, non lo avrebbe fatto.

Perché mai avrebbe dovuto volersene stare appiccicata ad un tizio che, per quanto attraente, prima aveva riso di lei ed ora era scomparso senza nemmeno salutare?

Oltre che stronzo è pure maleducato. Beh, del resto cosa mi potevo aspettare da un calciatore famoso? pensò Emma tra sé e sé. Però era anche vero che non erano tutti così. Ante, ad esempio, era stato educato nei suoi confronti, oltre che estremamente gentile e disponibile con Ricky. Non doveva generalizzare, anche se nel corso di quella catastrofica giornata aveva imparato a ridimensionare parecchio quel mondo che considerava inavvicinabile e tutti coloro che ne facevano parte. Dopotutto erano ragazzi come lei, con i loro pregi e i loro difetti, solo che Brahim sembrava avere più difetti di tutti gli altri.

Terminato l'allenamento, bambini e giocatori della prima squadra tornarono nei rispettivi spogliatoi per lavarsi e cambiarsi. Prima che i piccoli calciatori ripartissero, infatti, era previsto un momento di ritrovo al bar del Centro Sportivo. Emma pensò che avrebbe potuto approfittarne per recuperare gli autografi che le aveva chiesto Greta. Rafa Leão e Theo Hernandez, oltre ad Olivier Giroud, erano però i giocatori più ambiti, quelli con cui tutti volevano parlare e da cui volevano un autografo, quindi aveva dovuto mettersi in coda alla piccola folla che già si era radunata attorno a loro.

Mentre aspettava il proprio turno, Emma si guardò intorno nella speranza di rivedere Brahim ma probabilmente lui, avendo finito prima degli altri, se ne era già andato. La ragazza non sapeva spiegarsi come mai, nonostante tutto, sperasse di vederlo ancora una volta, era un desiderio del tutto irrazionale, eppure non poteva impedire ai suoi occhi di vagare ancora in cerca di quel sorriso.

"Mai che Greta mi renda le cose facili" borbottò tra sé mentre, rassegnata, cercava di aprirsi un varco tra la piccola folla di bambini e accompagnatori che circondava l'attaccante portoghese e il terzino francese, i suoi due obiettivi.

"Chi è Greta?"

La voce alle sue spalle scatenò in lei una sensazione che aveva già provato, quel pomeriggio. La sensazione che quella voce rimbalzasse direttamente nel suo stomaco e lo stringesse in una morsa che le toglieva il respiro e da cui non era possibile liberarsi. Lui era proprio lì, dietro di lei.

Emma sospirò profondamente sentendo di nuovo le guance andare in fiamme, poi si voltò appena incontrando le iridi nocciola dello spagnolo. Non era molto più alto di lei, non era certo famoso per la sua altezza e per le sue giocate aeree, quindi la ragazza non dovette alzare troppo la testa per guardarlo in viso come le era capitato con Ante quando le si era avvicinato.

"Greta è una delle mie migliori amiche. Le ho promesso gli autografi di Theo e Rafael" spiegò brevemente tornando a voltare le spalle allo spagnolo. Quegli occhi nocciola avevano lo straordinario potere di farla sentire a disagio al punto da augurarsi di sprofondare sottoterra.

"E il mio no?" domandò il numero 10. Emma tornò a voltarsi verso di lui e si trovò davanti un broncio così evidente che non potè fare a meno di scoppiare in una risata.

"Lo sapevo, le ragazze vogliono sempre loro due" si lamentò Brahim incrociando le braccia al petto e sporgendo ancora di più in fuori il labbro inferiore.

Se sapessi cosa pensa Greta di te... e che non mi ha chiesto il tuo autografo solo perché altrimenti l'avrei sbranata viva... pensò la ragazza tra sé e sé. Ma questo a Brahim non lo avrebbe detto. Si limitò a sorridere scuotendo la testa.

Nel frattempo i bambini lo avevano visto arrivare e, dato che era l'ultimo che mancava, ora lo stavano assediando per avere un autografo o una foto, incalzati dagli organizzatori della giornata che stavano facendo notare a tutti che era ora di dirigersi verso il pullaman per rientrare a Milano. Emma ebbe finalmente campo libero per raggiungere Theo e Rafael che si dimostrarono molto simpatici e gentili e le fecero anche un autografo personale, oltre a quello che lei aveva chiesto per l'amica.

La giornata era giunta al termine: mentre la piccola folla si accalcava per uscire dal Centro Sportivo, Emma sentì nuovamente quella voce alle sue spalle e avvertì di nuovo quella sensazione allo stomaco, ormai divenuta fin troppo familiare.

"Sai, chica italiana, in spagnolo la parola colpo di testa non si usa nel significado di azione impulsiva e avventata come hai detto tu a tuo fratello. In Spagna esiste solo il cabezazo, nel significado di azione che si fa nel fútbol. Quelli che io non faccio mai perché sono troppo basso, per farti capire".

Emma registrò con attenzione ogni parola uscita dalle labbra dal numero 10 rossonero; ripensando a quello che aveva detto a suo fratello, una serie di domande si fece largo nella sua mente. Quindi era dovuta a questo la risata incontenibile dello spagnolo fuori dallo spogliatoio dei bambini? A una semplice differenza linguistica che lui trovava divertente? E perché lui stava sentendo la necessità di spiegarglielo proprio in quel momento?

"Ok, ho capito. E comunque mi chiamo Emma" si limitò a puntualizzare in risposta, prima di voltargli le spalle e salire sul pullman. E mentre l'automezzo lasciava Milanello, Emma pensò che forse, dopotutto, Brahim Diaz non era poi così stronzo e maleducato come le era sembrato.

Peccato non avere la possibilità di rivederlo per averne la certezza.

Colpo di testa | Brahim DíazDove le storie prendono vita. Scoprilo ora