Capitolo 1

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Hermione aveva perso da tempo la speranza di vedere nell'oscurità.

Per un po' aveva pensato che forse, se avesse lasciato adattare gli occhi, alla fine qualcosa le sarebbe diventata visibile.

Non c'erano barlumi di luce lunare che arrivassero così in profondità nei sotterranei. Niente torcia nei corridoi fuori dalla cella. Solo sempre più buio fino a portarla a chiedersi, a volte, se non fosse diventata cieca.

Aveva esplorato ogni centimetro della cella con la punta delle dita. La porta, sigillata con la magia, non aveva serrature che potesse scassinare, anche se lei non aveva altro che paglia e un vaso da notte. Aveva annusato l'aria nella speranza che potesse indicarle qualcosa; la stagione, il profumo lontano di cibo o pozioni. Era stantia, umida, fredda. Senza vita.

Aveva sperato che, se avesse controllato abbastanza attentamente, avrebbe trovato una lastra di pietra allentata nel muro; qualche scomparto segreto che nascondesse un chiodo, un cucchiaio, o anche un po' di corda. A quanto pareva, la cella non aveva mai ospitato prigionieri audaci. Nessun graffio a segnare i giorni. Nessun mattone allentato. Niente.

Nient'altro che oscurità.

Non riusciva nemmeno a parlare ad alta voce per alleviare quel silenzio incessante. Era stato il regalo d'addio della Umbridge dopo che l'avevano trascinata nella cella e le avevano controllato le manette un'ultima volta.

Stavano per andarsene quando aveva fatto una pausa e sussurrato: "Silencio."

Pungolandole il mento con la bacchetta in modo potesse guardarle, le aveva detto: "Capirai presto."

Aveva ridacchiato, lasciandole una zaffata del suo alito stucchevole e zuccheroso sul viso.

Era rimasta nel buio e nel silenzio.

Se l'erano dimenticata? Non era mai sceso nessuno. Non l'avevano torturata. Né interrogata. C'era solo solitudine, buia e silenziosa.

I pasti apparivano. Casualmente, non riusciva nemmeno a tenere il conto del tempo.

Ripeteva ricette di pozioni. Tecniche di Trasfigurazione. Ripassava le rune. Le filastrocche. Muoveva le dita mentre imitava i movimenti delle bacchette, ripetendo l'inflessione degli incantesimi. Contava all'indietro da mille sottraendo i numeri primi.

Cominciò ad allenarsi. Apparentemente a nessuno era venuto in mente di limitarla fisicamente, e la cella era abbastanza spaziosa da permetterle di fare la ruota in diagonale. Imparò a fare la verticale. Trascorse quelle che le sembrarono ore a fare flessioni ed esercizi chiamati burpees, da cui suo cugino era ossessionato. Scoprì che poteva infilare i piedi nelle sbarre della porta della cella e fare degli addominali mentre era appesa a testa in giù.

L'aiutava a spegnere la mente. Il contare. Lo spingersi a nuovi limiti fisici. Quando le braccia e le gambe diventavano gelatina, si accasciava in un angolo e cadeva in un sonno senza sogni.

Era l'unico modo per far sì che la fine della guerra smettesse di passarle davanti agli occhi.

A volte si chiedeva se fosse morta. Forse quello era l'inferno. Buio e solitudine, e nient'altro che i suoi peggiori ricordi sospesi davanti agli occhi per sempre.

Quando finalmente ci fu un rumore, fu assordante. Lo stridore in lontananza di una grossa porta abbandonata che si apriva. Poi la luce. Una luce gigante, accecante.

Era come se l'avessero pugnalata.

Si ritirò di nuovo nell'angolo e si coprì gli occhi.

"È ancora viva." sentì dire alla Umbridge, in tono sorpreso. "Tiratela su, vediamo se è ancora lucida."

Manacled | TraduzioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora