Capitolo 18

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Hermione fissò il quadrato di carta che teneva in mano, sconcertata.

Aggrottò le sopracciglia mentre lo piegava a metà e poi si fermò, sentendosi persa.

Non riusciva a ricordare come fare la gru.

Ne aveva fatte più di mille. Grandi e piccole. Giorno dopo giorno. Aveva ricordi distinti di quando li piegava.

Ma in qualche modo...

Non riusciva più a ricordare come fare. Aveva continuato a provarci, ogni mattina dopo aver letto il giornale, ma in qualche modo non riusciva più a capire come.

Non riusciva a ricordare l'ordine delle pieghe. C'era prima quella diagonale? Forse doveva piegarlo a metà e poi di nuovo? Provò in entrambi i modi.

Non riusciva. Quella conoscenza era sparita.

Non aveva nessuna delle sue gru fatte prima da esaminare per invertire il processo. Gli elfi le buttavano sempre tutte entro la fine della giornata.

Sospirò tra sé e sé e mise da parte il foglio.

Doveva aver perso quel ricordo durante la sua crisi. Forse aveva subito un danno cerebrale.

Il ricordo - la conoscenza - era svanito da dove l'aveva conservato. Come se non fosse mai esistito. Solo che lei sapeva che era successo. Ricordava, distintamente, di essere stata in grado di farli.

Non importava.

Non sapeva nemmeno perché lo facesse. Non riusciva a ricordare quando l'aveva imparato. Forse alle elementari...

Si mise il mantello e si diresse fuori.

La tenuta era tetra e fangosa. L'inverno stava dando i suoi ultimi sussulti prima della primavera. Le finestre si tingevano occasionalmente di brina al mattino, ma le giornate si riscaldavano e pioveva a catinelle per giorni interi.

La pioggia scendeva solo leggermente, così Hermione si avventurò fuori.

Era arrivata al punto di poter attraversare la maggior parte dei giardini che circondavano il Manor, purché non fossero troppo aperti. Non riusciva ancora a gestirli del tutto.

Quando di tanto in tanto cercava di forzare sé stessa oltre le siepi e verso le colline aperte era come se qualcuno la stesse sezionando, affettando i suoi nervi via dal corpo e stendendoli al freddo e al vento. La mente le si ripiegava su se stessa e la lasciava sola, in uno stato di puro terrore.

Non poteva... non poteva farcela.

Si chiedeva se prima o poi sarebbe mai stata in grado di gestirlo. Se si sarebbe mai ripresa dall'agorafobia. Era come se si fosse radicata profondamente, attorcigliandosi dentro e attraverso di lei; dal cervello e giù per la gola, nei polmoni e gli organi come una vite, attendendo di strangolarla a morte.

Nei giorni in cui non pioveva a dirotto passava la maggior parte del tempo a vagare per la tenuta. Tornava in casa incrostata di fango e non aveva altra scelta se non quella di trascinarlo all'interno e attraverso i corridoi. Le case magiche non avevano tappetini per le porte o raschietti per gli stivali. Mormorava scuse tra sé e sé agli elfi domestici ogni giorno.

Era sprofondata in una sorta di temuta monotonia.

Si svegliava e faceva colazione. Leggeva il giornale più volte. Piegava la carta. Pranzava. Quando non pioveva a dirotto, usciva ad esplorare la proprietà per ore ed ore. Se la pioggia era troppo forte usciva solo brevemente e poi si esercitava nella sua stanza finché non era pronta a crollare. Faceva la doccia. Esplorava il Manor. Cenava. A volte Malfoy arrivava e usava la Legilimanzia. A volte arrivava e la scopava con indifferenza sopra un tavolo. Andava a letto. Si svegliava e ripeteva la routine.

Manacled | TraduzioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora