48th: faults

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Mi svegliai con la pioggia che scrosciava e scivolava lungo le finestre. Il piumone produsse un rumore sgradevole quando lo calciai via dalle gambe. Odiavo il suono eccessivamente sordo e ovattato della coperta che si arrotolava ad ogni minimo movimento. Contraria a sprecare una mattina intera accovacciata fra le coperte, raccolsi tutta la forza di volontà e uscii dalla cuccia di tempore che era diventato il mio letto.

Avevo pianificato di andare ad aiutare il Signor Grooth con la ristrutturazione del locale, ma la pioggia mi aveva fatto improvvisamente cambiare idea.

L'intera giornata di shopping sfrenato a Selfridges il giorno prima insieme a Ella, Esther e Margaret, la coinquilina di Esther, mi aveva stremata, così avevo pensato di dedicarmi a qualcosa di meno faticoso, come annaffiare le piante o seguire il Signor Grooth nella scelta delle nuove piastrelle per il negozio.

Evidentemente il meteo non aveva avuto la mia stessa idea, poiché l'acqua sembrava cadere ininterrottamente. Come se non bastasse, anche una folata di vento decise di farmi visita e muovere le ante delle finestre finché non colpirono il muro con un rumoroso trambusto.

Abbandonai il pezzo di omelette che avevo appena inforchettato e mi precipitai a chiudere la finestra ed evitare ulteriori danni. Di male in peggio: si prospettava una lunga e noiosa giornata.

E fra tutta la confusione una parte di me si chiese: "Cosa starà facendo Harry?"

Harry's point of view

La musica rimbombava all'interno delle mura della discoteca di cui non mi importava nemmeno di ricordarne il nome. Le luci erano eccessivamente colorate e troppe sedicenni svestite affollavano la pista e ballavano sui cubi.

Alla faccia del locale esclusivo, come aveva detto Louis.

Sarei rimasto volentieri a letto a recuperare le ore di sonno perduto, eppure erano le due e il locale sembrava essere diventato ancora più pieno.

Pregai solo che nessuna fan si presentasse e pubblicasse le mie foto su Twitter, sennò sarebbe stata la fine.

Muovevo a tempo di musica il bicchiere riempito per metà, il divano su cui ero accasciato vuoto.

Il privé era così noioso senza la compagnia giusta. Le palpebre minacciavano di chiudersi e la camicia quasi completamente aperta zuppa di sudore per il caldo afoso che abbracciava il locale scadente.

Non avevo voglia né di ballare, né di imbucarmi nel privé di Dan Bilzerian, solo a pochi passi dal mio, per aprire una conversazione su armi, puttane e soldi.

Che serata di merda.

Tirai fuori il cellulare e lo sfondo con una foto di Annabeth mi fece sorridere, l'aveva messa lei prima che partissi.

Le successive due ore si prospettavano ancora più noiose di quelle precedenti.

Il divano che si abbassava accanto a me mi fece intendere che qualcuno si fosse seduto e gradisse un po' della mia attenzione, così scollai gli occhi dallo schermo del telefono.

Geneva trafficava con la sua borsetta di Michael Kors e ne tirò fuori una busta piena di polvere bianca.

Ruotai gli occhi al cielo e non mi preoccupai di salutarla nemmeno.

«Vuoi?»

Declinai l'offerta scuotendo semplicemente la testa e con la coda dell'occhio la osservai disporre la polvere sul tavolo, raccoglierla in una striscia e arrotolare una banconota prima di tirare su con il naso.

Concentrai la mia attenzione sul cellulare anziché su quella scena a dir poco priva di valore, finché non sentii qualcuno muovermi il braccio.

Doveva essere ancora lei. Mi voltai scocciato con la speranza di togliermela presto dai coglioni e la guardai dritta negli occhi pesantemente truccati e mutati dalla droga in corpo. Alzò semplicemente il braccio e indicò una figura ferma in lontananza.

month » h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora