56th: epilogue

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Dedicato a tutte voi.

6 mesi dopo.

Il livello di disperazione di quella ragazza, nessuno era mai stato capace di provarlo.
Giaceva ai piedi del letto, le grida a smorzare il silenzio non più scandito dai deboli respiri della sorella.

Era passato un giorno, eppure Annabeth non era stata in grado di alzarsi dal pavimento sporco e freddo e lasciare la camera dove sua sorella giaceva inerme.

Si chiedeva perché non fosse stato abbastanza. Si chiedeva cosa sarebbe successo se avesse portato a termine il suo compito in minor tempo. Si chiedeva come sarebbe stato, se sua sorella fosse stata accanto a lei in quel momento.
Fisicamente lo era, spiritualmente no.

La sua anima aveva lasciato la sua figura appena la notte prima, quando il suo debole corpo, dopo anni di lotta, non era stato più capace di sopportare le mille peripezie subite in tredici anni di vita.

Povera piccola, era volata in cielo prendendo posto accanto alla luna, è una parte di Annabeth, se ne era andata con lei.

I giorni precedenti erano stati infernali: la povera bambina era scossa da interminabili fremiti, il suo corpo spossato aveva ceduto di fronte alla malattia e dalla sua bocca non uscivano che desideri di morte.
Annabeth non le aveva lasciato la mano un attimo, e alternando le visite del prete della chiesa vicina, e di tutti i parenti venuti a confortare la famiglia e porgere un ultimo saluto alla piccola Edith, le infondeva tutto il suo amore ripetendole quanto era importante.

Annabeth era stata una sognatrice fino a quel momento. Anche quando, appena tornata a casa sei mesi prima, aveva trovato la sorella in pessime condizioni, non aveva perso la speranza, ed era contenta di avere raccolto abbastanza soldi da poterle permettere le giuste cure.

Poi, tutto era degenerato. Le continue diagnosi che non portavano nulla di buono e la clessidra della vita lasciava cadere granelli sempre più rapidamente.
Annabeth aveva infuso coraggio a Edith fino al suo ultimo respiro, poi, il suo sorriso si era spento insieme a alla vita della sorella.

Non c'era più niente da fare se non ricordare Edith come una tredicenne guerriera.

Annabeth era rimasta seduta sul pavimento tutto il giorno, con le dita ancora incastrate in quelle della sorella a ripetere a bassa voce le stesse parole, incurante delle persone che entravano e uscivano dalla stanza con i visi in lacrime per realizzare la morte della bambina.

Non ce l'ho fatta in tempo, sono una nullità.

Ecco cosa sussurrava da ore la sorella maggiore.

Bussarono alla porta per l'ennesima volta, ormai Annabeth non ci faceva più caso, né rispondeva a chi volesse entrare.

Suo padre fece capolino dalla porta, con le occhiaie di chi era reduce da un lungo pianto e i capelli arruffati.

«Annabeth, c'è una persona per te.»

La ragazza mugolò in risposta e alzò la testa precedentemente appoggiata sul materasso del letto su cui riposava la sorella.

Il rumore dei tacchi contro il pavimento di legno si fece più vicino, tanto che Annabeth dovette tendere le orecchie e aguzzare la vista al suono di quei passi tanto cadenzati.

Che fosse la vicina di casa che ancora una volta si era offerta di portarle una scodella di maccheroni al formaggio? Oppure, più probabilmente era la sua amica Bonny che durante quei giorni le era stata accanto più di qualunque altro.
Ma mai, mai, si sarebbe immaginata che a varcare quella porta sarebbe stato Harry Styles.

month » h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora