13th: lunch

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Nevermind I'll find someone like you

Una fastidiosa voce che non azzeccava una sola nota mi svegliò.

Era Ella, la stronza che cantava a squarciagola alle sette del mattino.

«Perché devi fottutamente cantare Adele a quest'ora del mattino? Il primo giorno in cui non devo andare a lavoro tu mi svegli così. Ah, e per la precisione, sembri una gallina in fase pre-sgozzamento e non hai preso una nota alta nemmeno a pagarla oro. Ora fuori dai coglioni.»

Ero la persona più acida, menefreghista e irritante dell'intero pianeta la mattina, e lei lo sapeva bene perciò non si offendeva nemmeno.

Mi tirai il piumone oltre la testa e mi coprii con un cuscino sperando di riprendere sonno. Mi muovevo ogni minuto non riuscendo a stare comoda in nessuna posizione. Mi arresi e saltai giù dal letto infastidita come una vecchia vedova.

Mi preparai il mio espresso abituale e mi appollaiai sul divano.

Meraviglioso. Erano le sette e quaranta e non avevo impegni fino alle quattro di pomeriggio. Che vita interessante.

Mi ritrovai a guardare il programma delle Kardashian che mi interessava tanto quanto le marmellate di nonna Mary, quindi pari a zero.

Presi il cellulare con l'intenzione di chiamare mamma. Scorrendo i nomi nella rubrica mi apparve un nome. Kenneth.

Bingo. Chi meglio di un bel ragazzo poteva rallegrarti la mattina?

"Ti va di pranzare insieme? Sempre che tu sia sveglio ;)

Annabeth xx"

La sua risposta non tardò ad arrivare.

"Fra un'ora davanti all Hyde Park.
Stavolta non darmi buca:)

Ken xx"

Sorrisi e cominciai a prepararmi.

Mi lavai, mi truccai leggermente e legai i capelli in una treccia.

Indossai una camicetta e un paio di jeans arrotolati in fondo, infilai delle scarpe basse e presi il cappotto e la borsa.

***

Quando vidi l'autobus accostare davanti alla mia fermata strabuzzai gli occhi. Era pieno come l'inferno. Riuscii ad entrare per il miracolo di chissà quale santo. Pullulava di ragazzini che tornavano da scuola e qualche sessantenne.

Mi aggrappai saldamente al palo schiacciata dalla folla e pregando che magicamente scendessero tutti alla fermata successiva.

Qualcosa afferrò il mio sedere e sussultai per la paura. Quando mi voltai di scatto un ragazzino sui sedici anni mi guardava malizioso.

«Giù le mani!» Gli sferrai incoscientemente un colpo nelle parti basse che lo fece piegare e gemere dal dolore. Mi portai una mano alla bocca scioccata.

È morto? Non posso aver ucciso un adolescente con un calcio nelle palle.

Non vedendo il ragazzino in buone condizioni mi spostai quanto potevo verso un altra parte dell'autobus mentre lui mi imprecava contro.

Scesi e mi diressi verso il punto di incontro. Mezzogiorno spaccato, ero impeccabilmente in orario.

Lui era già lì, con un sorriso bello come il sole che mi aspettava appoggiato ad una panchina.

Gli sorrisi a mia volta e gli lasciai un tenero bacio sulla guancia come saluto. Era troppo per due persone che si erano appena conosciute?

«Hey.» mi sorrise.

month » h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora