Quattordici giorni. Due settimane. Trecentotrentasei ore, dalla sera in cui incontrai Harry Styles al Burfly Club.
Quattordici giorni. Due settimane. Trecentotrentasei ore di pura finzione.
Cinque giorni. Centoventi ore dal momento in cui mi lasciò sola su quella strada con mille domande per la testa, senza rimpianti.
Cinque giorni e un'uscita. Solo il tempo di attraversare la via principale e farsi vedere in macchina con me, per poi rispedirmi a casa, come un pacco postale, con un misero ciao.
Tempo stimato? Diciassette minuti.
In quei diciassette minuti riuscì ad essere così freddo, che se mi fossi azzardata a toccarlo, sarei stata investita da una folata di gelo.
In quei diciassette minuti fu così distaccato che la distanza fra me e lui era paragonabile a quella che divideva Canada e Africa.
E quasi sprofondai quando sentii il rombo del motore far partire la macchina in quarta, segno che con me volesse passare meno tempo possibile.
Tre giorni. Settantadue ore dalla nostra seconda foto sul giornale. La sua mascella contratta, le mani strette sul volante e i bicipiti tesi ed evidenti; accanto ad una me indifesa e accecata dai troppi flash.
Due minuti. Da centoventi secondi sentivo il mio cellulare squillare.
Rimasi in silenzio con il telefono all'orecchio, dopo aver accettato riluttante la chiamata.
"Non mettere piede fuori casa, non entrare su Twitter, non cercare il mio nome su Google e soprattutto non rispondere a chiunque ti si presenti alla porta."
Sospirai. Non mi aveva dato il tempo di rispondere che aveva cominciato a parlare a raffica.
"E sentiamo, perché dovrei fare, anzi non fare, tutte queste cose?" Chiesi retorica, mostrando anche un pizzico di acidità di troppo.
"Tu fallo. Per una volta ascoltami, ti prego. Lo faccio per il tuo bene."
Mi supplicò. Lo immaginai tirarsi i capelli e mordersi morbosamente il labbro inferiore. Ma non potevo permetterlo, mi aveva ignorata per cinque lunghi giorni.
"Tu non vuoi il mio bene, Harry."
Attaccai senza pensarci troppo. Mi lasciai scivolare lungo la parete e mi presi la testa fra le mani, troppo debole per fare altro.
Harry's point of view
Stronza, cocciuta e impertinente. Ma chi me l'aveva fatta fare? Ho già detto che è una stronza?
E io, come bravo coglione, non smisi di andarle dietro. Dov'ero in quel momento? Davanti alla famosa porta sul retro, pregando che lei fosse in casa e l'avesse lasciata aperta.
Entrai di soppiatto ringraziando Dio, e subito notai Annabeth seduta sul bancone della cucina. Si portava una sigaretta alle labbra mentre teneva gli occhi chiusi, al massimo livello di relax.
Piccole nuvole di fumo uscivano dalla sua bocca e sparivano nell'aria, mentre io rimanevo lì fermo, a contemplare quella visione paradisiaca.
«Cosa ci fai qui?»
Cazzo, non sapevo che si fosse accorta di me.
Non risposi e mi spostai verso il centro della cucina, appoggiandomi al frigorifero, direttamente davanti a lei.
Con una mossa rapida scese dal piano della cucina e si allontanò da me, incurante del fatto che potei ammirare il suo bel culo stretto nei leggins neri e la pancia lasciata scoperta dalla maglietta corta.
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month » h.s
Fanfiction❝E forse mi accorsi troppo tardi che le bastò solo un mese per farmi cadere nella sua ragnatela d'amore.❞ lostsof © all right reserved cover by @woahmarvel highest rank in fanfiction #1