L'indomani T/n si svegliò verso le 5, il timido sole del mattino cominciava a sbucare attraverso una leggera coltre di nuvole, coccolando il suo viso assonnato rivolto verso la finestra.
Rendendosi improvvisamente conto del motivo per cui la sera prima era andata a dormire tardi si rizzò di soprassalto e guardò verso l'altro letto.
Non seppe dire se con delusione o con sollievo lo vide ancora sistemato esattamente come il giorno precedente, la sua timidezza per quel mondo nuovo le impediva a volte di comportarsi come sé stessa ma forse vedendolo vuoto e freddo si sentiva anche peggio.
Voleva dire che non aveva neanche questa occasione per fare amicizia, voleva dire che nessuno voleva avere a che fare con lei.
Si alzò del tutto, stiracchiandosi e tirando indietro le coperte per far prendere aria al letto.
Con un gesto della mano aprì la finestra facendo passare aria pulita mentre si dirigeva al bagno a sciacquarsi per bene il viso.
Era un rituale che aveva imparato a fare da sua madre, lo ricordava bene poiché da bambina lo detestava tanto da nascondersi sotto quelle coperte lise e mangiate dalle tarme assieme a suo fratello.
L'aria non era nemmeno lontanamente fresca e pulita come quella che c'era in superficie e nemmeno l'acqua, ma sua madre non voleva rinunciarci.
Ora però lo comprendeva chiaramente, sia per cercare di tenere una vita sana nonostante il posto in cui si abita e sia perché le ricordava la sua famiglia.
In qualche modo T/n era convinta che in ogni sua azione ci fosse la loro presenza, che loro la guardavano dall'alto.
In realtà dentro di sé sentiva che il motivo principale era per non rischiare di dimenticarli.
Si mise a fatica la divisa, non comprendeva ancora bene dove andassero legati i vari lacci e, anche dopo parecchi tentativi, non era convinta del risultato finale.
Decise che, in fondo, avrebbe potuto chiedere al capitano nella speranza che non perdesse subito la pazienza.
Prese a rifare il letto in modo ordinato e chiuse bene la finestra, lasciando le tendine aperte di modo che i raggi del sole potessero passare.
Prima di scendere a fare colazione alla mensa, come ogni mattina, sfilò la spada dal fodero dietro la schiena e meticolosamente iniziò a passarle un panno umido sulla superficie.
Lo sapeva benissimo anche da sola che non serviva se nemmeno la utilizzava ma per lei quella spada rappresentava una sorta di segno del destino.
Come quella notte la madre le aveva affidato quel coltello in qualche modo il destino aveva voluto che, come regalo di addio, gli venisse affidata quella spada.
Ogni volta che vedeva il suo volto riflesso sulla sua lama questa le sussurrava; combatti.
Adesso che era uscita da quel buco di fogna, ora che aveva visto il cielo doveva continuare lottare.
Lo avrebbe fatto non solo per sé stessa ma anche per Kenjiro che anch'esso sognava il giorno in cui la luce avesse rischiarato i suoi occhi.
Guardò l'ora, le 6 meno 20, e si affrettò a risistemare tutto e a scendere in refettorio.
Seduti ai tavoli c'erano già alcuni cadetti e, prendendo dei biscotti e del latte freddo, si apprestò a prendere posto in uno dei tavoli solitari, all'angolo della grande sala.
Molti occhi inquisitori calarono su di lei, non seppe dire se di disprezzo o di curiosità, ma si sentiva osservata e in soggezione come se in ogni caso la sua presenza non fosse ancora gradita.
Finì in fretta il suo pasto, portando poi le stoviglie sporche nel lavabo e dirigendosi verso il campo indicato il giorno prima dal capitano Mike, chiudendosi la porta della mensa alle spalle.
Alle 6 in punto si sedette su una roccia in attesa che qualcuno si facesse vivo e solo dopo alcuni minuti in lontananza poté scorgere l'alta figura del capitano raggiungerla.
Quando le si avvicinò lei scattò sull'attenti e tentò di fare un saluto militare che però le uscì ancora impacciato e malconcio.
"Buongiorno T/n" lui le rivolse a sua volta i saluto con il pugno: "sei sola?"
"Si capitano." Rispose lei con convinzione, non voleva di certo farlo arrabbiare come il giorno prima.
"Maledetti..." disse sospirando il capitano: "se la vedranno con me appena faranno vedere le loro facce."
La ragazza rimase in attesa senza sapere bene cosa dire mentre Mike sistemava la sua sacca accanto ad un'altra roccia lì accanto.
"Signore..." mormorò lei piano mentre lui le rivolgeva l'attenzione.
"Le posso chiedere se la mia attrezzatura è montata giusta?"
"Non lo sai ancora? Eppure dovresti dopo aver superato le tue prove." Le rispose lui mentre proseguiva con i suoi affari.
Solo dopo che ebbe finito si voltò sospirando ancora più forte di prima, avvicinandosi con fare svogliato alla sua nuova sottoposta.
"Vediamo..." decise dato che gli altri non si erano ancora fatti vivi.
Il capitano le girò attorno, alzandole le braccia in orizzontale e prendendo la fibbia sul petto, slacciandogliela.
"Questa va chiusa con il laccio che viene da sotto la tua ascella sinistra." E così dicendo gliela riallacciò correttamente, facendole notare come di conseguenza si allacciassero meglio anche tutte le altre.
"Per le gambe mi sembra tutto a posto. A parte il fatto anche anche la taglia più piccola ti sta comunque troppo larga." Dichiarò lui girandole ancora una volta attorno.
Lei abbassò le braccia: "la ringrazio, capitano. Non lo dimenticherò."
"Sarà meglio." Disse lui semplicemente in modo serio: "puoi cominciare a correre."
Non era una richiesta qualunque, era un ordine, per cui T/n non ebbe facoltà di decidere e raggiunto il perimetro cominciò a correre per tutto il campo.
Mike intanto stava sistemando la sua attrezzatura e ogni tanto buttava un occhio per controllare quello che faceva la sua nuova sottoposta.
Dopo cinque o dieci minuti la ragazza cominciò ad avere il fiatone e a continuare a fermarsi camminando.
"Hai già dato fondo a tutto?" Chiese il capitano vedendola fermarsi.
Lei di tutta risposta cercò di rimettersi a correre ma con molta difficoltà.
Solo mezz'ora dopo gli altri suoi compagni si fecero vivi, il capitano li sgridò furibondo e si unirono subito a T/n nella corsa, prendendola ogni tanto in giro per quanto lenta andava.
L'esercizio successivo andò anche peggio.
Avrebbe dovuto colpire delle enormi figure umanoidi fatte in legno grezzo, tagliarle proprio dove si trovava il retro del collo con il movimento tridimensionale.
Quelle dovevano rappresentare i giganti...
'I giganti...' Pensò lei che fino a quel momento non ne aveva mai visto uno.
Loro erano le uniche creature del suo libro che forse non avrebbe voluto davvero incontrare, eppure era lì ad allenarsi per ucciderli.
Quella era l'unica possibilità di vivere che gli era stata concessa, anche scappare non sarebbe servito a nulla.
Avrebbe imparato a qualunque costo.
Ma l'esercizio che le aveva messo davanti il capitano sembrava più facile a dirsi che a farsi.
T/n non perse occasione di schiantarcisi sopra almeno una decina di volta e cadere a terra. Nemmeno sfiorarle quelle sagome avrebbe potuto rialzare la sua situazione.
Nemmeno dopo la pausa pranzo T/n poteva dirsi migliorata.
Era stato un vero disastro, non c'era stata una cosa quel giorno che fosse andata per il verso giusto.
Quando rientrò in sala mensa tutti non fecero altro che squadrarla peggio di prima, sembrava che la voce dei suoi fallimenti fosse corsa più in fretta del previsto.
Finì in fretta il suo pasto e, prima di uscire dal refettorio, diede un rapido sguardo a Erwin seduto al tavolo degli ufficiali.
Lui notò il suo sguardo sconsolato e credette che rivolgerle un sorriso potesse tirarla un po' su ma non fu così.
T/n sperava che prima o poi lui l'avrebbe raggiunta per parlarle ma non vide mai nessuno.
Così quella sera e così come tutte le altre sere che seguirono.
In realtà i giorni successivi furono anche peggio.
Non riusciva mai a fare nulla di giusto negli allenamenti, non sopportava più di essere presa in giro o guardata male ma per quanto si sforzasse non cambiava niente.
Solo le punizione le venivano bene.
Ne prese anche parecchie, come correre fino allo sfinimento e numeri indecifrabili di flessioni. Ma anche pulire i piatti sporchi, spazzare il guardino del quartier generale o lucidare tutte le attrezzature degli ufficiali facevano parte di alcuni suoi ruoli.
Nessuna di esse, però, ebbe l'effetto che Mike desiderava anche se lei le portava tutte a termine in modo eccellente.
Quando cercava di scambiare qualche parola con Erwin quegli gli veniva portato via dalla stessa ragazza che aveva incontrato quel giorno in infermeria.
Sarah, capelli neri sistemati in una treccia, occhi verde chiaro e una statura minuta un po' come quella di T/n.
In realtà aveva capito che si trattava di una sottoposta del capitano Erwin ma gli stava sempre accollata e si precipitava da lui ogni qual volta vedeva degli sguardi tra il suo capitano e la nuova cadetta.
Sembrava avesse un non so che di gelosia e antipatia peggiore di tutti gli altri nonostante non si fossero mai rivolte la parola.
Tutto questo non faceva che metterle addosso ancora più pressione del dovuto e la ragazza cominciò a soffrire di insonnie.
Non voleva tornare nella città sotterranea, doveva impegnarsi di più.
Erwin le aveva dato questa occasione e lei non aveva intenzione di sprecarla, non voleva deludere l'unica persona che in quel posto l'aveva veramente accolta.
Quella sera aveva ancora parte della punizione da scontare, pulire i piatti della mensa e approfittò della situazione aspettando che tutti fossero rientrati in camera.
Finì velocemente il resto delle stoviglie e uscì silenziosamente dalla stanza, senza fermarsi a mangiare nulla.
Attraversò tutto il corridoio e svoltò qualche angolo fino a ritrovarsi di fronte all'ufficio del capitano Erwin.
Appena T/n fu in procinto di bussare alla porta dell'ufficio del capitano riconobbe la sua voce.
"Ho visto che hai avuto qualche problema con la tua nuova recluta oggi."
Si bloccò, rimanendo immobile con la mano a pugno ancora sollevata, consapevole del fatto che l'unica persona a cui lui potesse riferirsi era lei.
"Si..." confermò con un sospiro il capitano Mike, sentendo il rumore del vino che veniva versato nei bicchieri: "è un disastro. Pesa il fatto che non abbia avuto un'istruzione da cadetta, cosa credi?"
"Immagino di si." Ammise Erwin.
"Comunque sta ancora finendo la sua punizione, anche se non dovrebbe averne ancora per molto."
"Non hai pensato di controllarla?" Chiese l'amico.
"Non serve." Mike rispose con convinzione, come se fosse una cosa ovvia: "è davvero negata in tutto però una cosa posso dire di averla capita con certezza. È la persona più ligia al dovere che conosca. Forse lo è persino più di te. Il problema è che se dovessi portarla in spedizione non durerebbe nemmeno dieci minuti fuori da queste mura."
"Dalle solo qualche tempo." La ragazza si sentì sollevata per un istante da queste parole.
"Non abbiamo tempo, lo sai bene Erwin. Devo sapere quello che sa fare..." bevve un sorso: "o me lo dici tu al suo posto? Perché se non vado errato l'hai riempita di belle parole quando l'hai portata qui."
Entrambi bevvero il loro vino e ci fu qualche secondo di silenzio. T/n, che aveva abbassato la mano, non riusciva a muovere un muscolo. Si ritrovò a fissare gli intagli e le imperfezioni del legno della porta, paralizzata come un animale abbagliato dalla luce.
Aveva paura potessero dire che era impossibilitata a rimanere nel corpo di ricerca e che avrebbe dovuto fare ritorno alla città sotterranea, la città che non vedeva mai il sole.
Il suo incubo.
Quindi rimase lì, in attesa del suo verdetto, ma fu Erwin a prendere la parola per primo e a darle un po' di speranza.
"Io l'ho vista scappare."
"Pazzesco." Ironizzò Mike prendendo un altro bicchiere di vino.
"Intendo dire che è riuscita a scappare da quelli della gendarmeria centrale." Si spiegò meglio il capitano.
"Quelli della gendarmeria sono tutti dei fannulloni."
"Si ma non è questo il punto"
"Dimmelo tu allora." Lo sfidò il compagno d'armi.
"Lei non sapeva quello che faceva. Se soltanto avesse avuto coscienza delle proprie capacità sarebbe potuta sfuggire persino a noi. Questo significa che può sfuggire anche ai giganti. Dalle del tempo per imparare." Cercò di convincerlo Erwin.
"Questo lo vedremo domani."Si trovava là, seduta sullo sgabello sgangherato della sala mensa.
Non aveva fame, non aveva sete.
Un peso immenso le bloccava lo stomaco e le impediva di fare altro se non rimanere lì, con la testa appoggiata alle braccia, distesa sul tavolo di legno.
Alcune lacrime cominciavano a solcarle il viso ma nessuno poteva vedere.
Nessuno vedeva mai o voleva vedere.
Chi lo sa?
Forse domani avrebbe fatto ritorno alla città sotterranea... e non avrebbe più provato a fuggire alle sue tenebre.
Alla fine anche lei era sporca come quel posto in cui era nata, il suo cuore era macchiato dalla sofferenza e per quanto si sforzasse a negarlo non poteva farci nulla.
Forse doveva solo convincere sé stessa di ciò che era realmente, che forse gli sforzi dei suoi genitori e il sacrificio di Kenjiro erano vani per una come lei.
Solo verso tarda notte i suoi occhi gonfi e arrossati cedettero alla stanchezza e si addormentò lì, in quella stanza illuminata solo dalla fioca luce della luna.4chiacchiere in compagnia:
Eccoci qui alla fine di questo capitolo, scusate l'assenza in questi giorni ma adesso vedo di riprendere come si deve.
Ci sentiamo domani per il seguito! Spero vi stia piacendo ✌
Ciao ciao!
😘 SilverANBU
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Ovunque Tu Sarai (Erwin X Reader)
FanfictionT/n è una bambina che vive assieme alla sua famiglia nella città sotterranea, dalla quale poi riuscirà a fuggire. Aiutata da un capitano della legione esplorativa e ad un oggetto misterioso si unisce alle fila dei cadetti e combatterà sotto il simbo...