Capitolo venti

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Per la prima volta dopo giorni riesco a dormire senza problemi, sotto le coperte, al caldo. Il vero problema è che il mio sonno è sempre stato molto leggero e quando la porta di camera mia si apre e si richiude non riesco a fare finta di niente, apro gli occhi e mi giro per vedere chi è appena entrato e ha disturbato il mio riposo.

Mi alzo a sedere e lui avanza verso di me. Si siede ai piedi del letto e allunga una mano verso il mio viso per portarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Mi vuoi dire cosa è successo oggi?"

Lui scuote la testa e fa per avvicinarsi ancora ma io mi tiro indietro. Deve capire che non succederà niente se non parla. Non riuscirò a dirgli di no a qualsiasi cosa lui stia cercando di fare, ma resisterò finché potrò.

"Hanno cercato di sabotare la nostra festa."

"Chi?"

Lui ritorna dritto. "I Lupi."

"Alle undici di mattina?"

Annuisce. "Hanno appiccato fuoco al nostro edificio, dove organizziamo le feste. Per fortuna erano solo le undici e non c'era nessuno. Delle persone hanno notato il fumo e hanno chiamato i pompieri, ma stasera non ci sarà nessuna festa e neanche domani e chissà quando riprenderemo."

"Perché lo hanno fatto? E perché è stato Peter ad avvertirti?"

"Non so perché Peter abbia chiamato. Eventualmente lo avremmo scoperto lo stesso. Per quanto riguarda il motivo, così la gente non presterà molto attenzione a noi, saremo fuori gioco per un po', perderemo la nostra presenza, e loro ne guadagneranno tra clienti e richieste."

Scuoto la testa. Per me tutto questo non ha senso. "Non eri venuto qui per dirmi queste cose però, vero?"

"Non sono venuto qui con l'intenzione di parlare."

Avevo molte domande in testa oggi, mentre tornavamo a casa. Adesso, mentre osservo il suo viso travagliato, me le dimentico tutte. Non è venuto qui per parlare, e allora rimaniamo in silenzio.

Mi stendo a letto e mi scanso di lato nel caso lui voglia farmi compagnia. Non è una cosa nuova, almeno non questa. Quando tanto, quando meno, ho sempre avuto degli incubi alla notte. Spesso lui veniva in camera mia e stava con me tutta la notte. Quelle erano le notti più piacevole perché, anche se gli incubi tornavano a farmi visita, io mi sentivo al sicuro ad avere qualcuno come lui accanto.

Non è la stessa persona di una volta, l'ho detto molte volte. Ma non è neanche così male come aveva voluto farmi credere il primo giorno.

Lui accetta il mio invito silenzioso e si stende accanto a me. Mi giro su un fianco e lui fa lo stesso e ci guardiamo nel buio. Poggio le dita sulla sua guancia e percorro le linee del suo viso teso. Ad ogni passaggio delle mie dita sembra rilassarsi sempre più.

"Mi odi?" Chiede di punto in bianco e io mi fermo, presa alla sprovvista. Non è tanto la domanda quando il suo tono di voce che mi lasciano di stucco. Insicurezza, ecco cosa arriva alle mie orecchie. Dopo ciò che mi ha fatto oggi, dopo l'effetto che il suo tocco ha sul mio corpo, l'insicurezza dovrebbe essere l'ultima delle sue emozioni.

"Perché mai dovrei?"

"Per come ti tratto."

"Come mi staresti trattando scusa? Io e te a malapena passiamo del tempo insieme."

Lui sorride e io ricambio, contagiata dalle sue labbra inclinate all'insù, "Lo so che non sono la persona più simpatica del mondo. Tu e Peter ne avete parlato, non sono più quello di una volta, non sono il ragazzo che conoscevi."

"Non ti odio. Vorrei solo sapere cosa ti è successo, tutto qui? Siamo tutti preoccupati per te."

"Tu sei qui da solo una settimana."

"Quasi due per l'esattezza. E io ti conosco da tutta la vita, so com'eri e vedo come sei adesso. Non ti odio ma sono preoccupata."

Stavolta è il suo turno di accarezzarmi la guancia. "Sono successe tante cose. Non riesco più a stare vicino a nessuno, nessuno mi sopporta. Tutto ciò che le ragazze vedono è il mio corpo, ciò che mia madre vede è un ragazzo perso dentro chissà quale vuoto. Peter vede in me un pezzo di merda e Ham... non so nemmeno io cosa Hamilton pensi di me," ride, ma non c'è nulla di gioioso in questa risata di gola.

"Se tu non ti impegnassi tanto ad essere un pezzo di merda, piaceresti ancora a tutti. Perché... perché quando sono arrivata mi hai detto di starti lontana?"

"Quello è tutto un altro discorso."

"Parlamene."

Scuote la testa, "Un'altra volta forse," si sporge verso di me e mi bacia. La sua mano va subito ad afferrare il mio fianco lasciato spoglio dalla maglietta del pigiama. Basta un bacio affinché tutti i miei sensi si risveglino. Gli porto una mano tra i capelli, li accarezzo mentre ricambio il suo bacio.

Sua madre è al piano di sotto. Peter probabilmente è in camera sua e noi non ci stiamo preoccupando di non fare rumore.

La sua mano si fa strada verso i miei seni mentre il mio corpo si avvicina istintivamente al suo, come attratto da una calamita, finché non siamo spalmati una contro l'altro.

Lo faccio girare di schiena bruscamente e gli sono sopra. Continuo a baciarlo, a toccarlo e lui fa lo stesso. Una mia mano rimane tra i suoi capelli, l'altra inizia a farsi strada giù, fino alla sua pancia, e poi risale finché la sua maglietta è al livello del collo ed è costretto a togliersela.

Disegno con le dita ogni sua linea. Tutto il suo corpo è un'opera d'arte e in questo momento io lo sto disegnando con le dita.

"Ho sempre avuto un debole per i tuoi capelli," esala a fiato corto passando le dita tra le ciocche che mi ricadono sul viso, nello spazio tra di noi. Mi tiro indietro e lo lascio fare, tutto mi piace quando è lui a toccarmi.

Negli anni i miei capelli mi hanno fatto ricevere non poche battute e insulti per il loro colore rosso. Adesso è come se per una vita non avessi aspettato altro che questo suo complimento, tutte le cose che ho sentito sui miei capelli scompaiono perché il mio colore piace a Trevor e a me basta.

Continuo a tracciare ogni parte del suo corpo con le dita finché non arrivo al suo avambraccio e scopro un tatuaggio che cattura completamente la mia attenzione. Tray non mi era mai sembrato tipo da tatuaggi e invece adesso eccolo qui con uno bello grande.

Al buio non riesco a vederlo bene ma mi sembra un fiore di loto, lo riconosco da quello in camera sua. Ce n'è uno grande, realistico, circondato da ghirigori e subito sotto c'è uno schizzo di un piccolo loto seguito da un altro ghirigoro.

Non risponderà mai a molte mie domande, ma io non smetterò di farle. "Perché i fiori di loto?"

Si rilassa sul materasso e si porta il proprio braccio davanti agli occhi per osservare il tatuaggio. "Perché il loto è forte, resistente, resiliente. I suoi semi possono sopravvivere sul fondo di un fiume, anche se questo si asciuga, per migliaia di anni. È tenace, non si arrende e torna a fiorire anche con solo una goccia d'acqua. Io vorrei essere di più come un loto, più forte."

"Cosa ti fa credere di non essere già così forte?"

"Perché non lo sono Kat, non lo sono mai stato. Dopo che papà è morto mi sono reso conto di quanto davvero io sia debole. Le persone non sono davvero forti come fanno credere, è tutta una facciata per non esternare ciò che siamo davvero dentro."

Porto le labbra sulle sue. "Ciò che importa a me è che tu ti senta a tuo agio con qualcuno tanto da essere te stesso. Hai Hamilton e va bene."

"Io vorrei avere te."

"Io sarò sempre qui se vorrai parlare. Non ti odio Trevor, vorrei solo capirti di più se tu me lo lascerai fare. Non chiudermi fuori come hai fatto i primi giorni, coinvolgimi." Rimango per metà su di lui, poso una mano sul suo petto, proprio sopra il suo cuore e chiudo gli occhi. Forse alla fine non sono cambiate davvero così tante cose.

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