Capitolo Quaranta

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Alessandro

"Sto arrivando, sto arrivando!" Urlai, infilandomi un paio di pantaloni della tuta. Fuori stava piovendo ed erano appena le quattro del mattino. Chi diamine stava bussando a quest'ora?

Continuarono a bussare facendomi infastidire perché avrebbero potuto svegliare Athena. Aprii la porta con un gesto secco. "Rosa, Kano. Perché siete qui ragazzi?" Si guardarono con un'espressione preoccupata. "Se non cominciate a parlare vi sbatto la porta in faccia e torno nel mio confortevole e morbido letto."

Fecero entrambi un respiro profondo, per poi parlare all'unisono, "Wren è in ospedale." Il mio cuore smise di battere.

"Sabrina?"

"Noi non sappiamo dove sia. Vuoi-"

"No," la interruppi. "Devo andare a svegliarla. Scendiamo tra un momento."

"Lei è al tuo ospedale." Annuii e chiusi la porta. La mia mente era annebbiata, ma dovevo rimanere calmo. Corsi nella mia stanza, Athena stava dormendo pacificamente ed odiavo doverla svegliare solamente per darle delle brutte notizie. Le baciai il volto, cercando di svegliarla in maniera serena. "Piccola, svegliati."

Il suo sorriso mi scaldò il cuore. Borbottò, ma si voltò verso di me, tenendomi stretto. "Che ore sono?"

"Le quattro del mattino. Devo dirti una cosa." Lei spalancò gli occhi prima di sedersi con la schiena contro la testiera del letto. Questa fece un crepitio che fece ridere entrambi.

"Hai rotto il letto?" Mi chiese con un sorriso.

"Penso che sia colpa tua," lei alzò gli occhi al cielo. "Ma davvero, devo dirti una cosa." Mi guardò con gli occhi assonnati ed io feci un respiro profondo. "Wren è in ospedale. Ma-"

"Cosa? Quale? Possiamo andare da lei?" Non appena i suoi piedi si appoggiarono al pavimento, era già pronta ad uscire.

"Innanzitutto ti ricordo che sei nuda." Prese immediatamente il lenzuolo, avvolgendoselo attorno al corpo. "E sì, possiamo andare a vederla, ma non so in che condizioni sia." Si catapultò nella cabina armadio, facendo cadere il lenzuolo ed in un secondo si mise addosso un paio di leggings ed una canottierina corta, con sopra una delle mie felpe.

Mi infilai una maglietta ed una felpa prima di seguire Athena fuori dalla porta. Riuscivo notare la sua ansia mentre guidavo, quindi le presi la mano e la intrecciai alla mia, stringendola lievemente per rassicurarla. Non appena parcheggiai, corse fuori dall'auto ed entrò dalle porte scorrevoli in ospedale, con me alle calcagna.

"Wren Sinclair. Non so quale cazzo sia il suo vero cognome!" Urlò alla receptionist, che la guardava con superiorità.

Mi avvicinai alle due. "Wren Adams."

"Oh capo. Stavo dicendo a questa donna-"

"Non mi importa cosa le stavi dicendo. Sei licenziata."

Mi guardò con le sopracciglia sollevate. "M-ma Signore, non ho fatto niente."

"Hai mancato di rispetto alla mia donna. Sei licenziata e mandami una delle infermiere." Lei guardò tra me ed Athena prima di annuire ed allontanarsi.

Un'infermiera ci raggiunse immediatamente, ricercando il nome. "Potrete vederla a breve."

"Quanto è, indicativamente, questo breve?" Chiese Athena.

"Al massimo trenta minuti." Lei sospirò profondamente, mordendosi il labbro inferiore e camminando nervosamente nella sala di aspetto. C'era tutta la famiglia e quando ci videro si alzarono in piedi per stringere Athena in un abbraccio. Sapevano tutti del nostro bambino e di quanto Athena fosse vicina a Wren. Quando si allontanarono da lei, venne verso di me, cominciando a singhiozzare silenziosamente. Mi sedetti su una delle sedie libere e la feci accomodare sul mio grembo.

Un mio problemaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora